Patrizia Cantini Wine & Food Communication
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Dim Sum tra Hong Kong e Firenze

6/23/2021

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PictureRavioli con ragù di anatra piccante
Il Dim Sum è la cucina della Cina meridionale, ormai molto nota anche da noi in Italia. L’amico e collega Marco Gemelli mi ha invitata a una curiosa “disfida” – che poi una disfida vera e propria non era ma piuttosto un confronto – tra lo chef hongkonghese Kin Cheung, del ristorante Element di via Pratese, e lo chef Salvo Pellegriti della Vetreria via via del Proconsolo. L’incontro si è svolto martedì 22 giugno nella spettacolare terrazza privata dell’Hotel La Scaletta di via Guicciardini, dalla quale si domina Palazzo Pitti, Boboli, il Forte Belvedere e una buona parte dei tetti, delle torri e dei palazzi del centro cittadino intorno a Ponte Vecchio. Salvo Pellegriti in effetti collabora anche con il ristorante dell’albergo e questo spiega la scelta. 

Il menù era composto da 7 portate: 3 di Kin, 3 di Salvo e una a quattro mani. Le prime sei sono state tutte dedicate ai famosi ravioli al vapore, che Salvo ha interpretato in chiave tutta italiana. In pratica, lo chef ha interpretato in maniera Dim Sum 3 piatti della nostra tradizione, ovvero le lasagne, l’Amatriciana e Cacio & Pepe. Esperimento più che riuscito e anche molto divertente: nelle lasagne Dim Sum non mancavano neppure quelle deliziose crosticine che caratterizzano il piatto tradizionale. Kin invece ci ha deliziato con ravioli di tatufo nero al vapore con gamberi, raviolo aperto cotto al vapore con pollo funghi e gamberi e ravioli al ragù di anatra piccante (questi ultimi sinceramente strepitosi).
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Kin Cheung prepara il bao al tè verde e anguilla con salsa di senape
Il piatto a quattro mani, servito come ultima portata, è stato un bao al tè verde (ossia un panino prima cotto al vapore e poi grigliato) con anguilla a cottura lenta e salsa di senape.
I piatti sono stati accompagnati dai vini dell’azienda Podere Casaccia, che ha vigneti sulle colline che dominano Scandicci. L’azienda di Roberto Moretti e Lucia Mori è biodinamica, e nei 7 ettari di vigna sono coltivati i vitigni tipici della tradizione toscana: Sangiovese, Cannaiolo, Pugnitello, Foglia Tonda, Malvasia Nera, Trebbiano, Malvasia Bianca e Vermentino. Molto interessante il Sine Felle Ambrato, un Igt Toscana composto dalle tre uve a bacca bianca e lasciato a macerare sulle bucce per ben 9 mesi, per poi passare 6 mesi in barrique.

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Lucia Mori e nei bicchieri il SIne Felle Ambrato
Una serata incantevole, in ottima compagnia e in un luogo inaspettato, adesso devo solo prenotare una cena all’Element da Kin Cheung e una alla Vetreria da Salvo Pellegriti, oltre che una visita al Podere Casaccia dagli amici Lucia e Roberto. 
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Palazzo Pitti visto dalla terrazza dell'Hote La Scaletta
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Il Castello La Leccia

6/10/2021

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PictureIl Castello La Leccia e il borgo
Quando pensi di aver visto praticamente tutto nel territorio di produzione del Chianti Classico, giri a sinistra lungo la strada che da Castellina conduce a Monteriggioni e arrivi al Castello La Leccia, e allora capisci che c’è ancora qualcosa da scoprire. Il castello, che naturalmente era un avamposto fortificato, faceva parte di quella numerosa rete di difesa che per secoli – fino a quando Siena non venne conquistata da Firenze – caratterizzò la campagna del Chianti. Le prime attestazione scritte del castello risalgono al 1077, quando tal Rodolfo di Guinzo ne acquistò una parte. Successivamente divenne proprietà della famiglia Ricasoli, che al castello di Brolio rappresentava l’ultimo avamposto fiorentino contro Siena. La Leccia fu teatro di saccheggi e di feroci scontri, come scrive Andrea Ricasoli nel 1529: “…forse cinquanta sienesi vennero a un mio luogo in Chianti chiamato La Leccia dove… arsono ciò che era in casa… et da dugento barili di vino era nella cantina et nelle botti tutto versarono…”. 

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Una suggestiva immagine notturna
Con la caduta di Siena nel 1555 per il Chianti iniziò un periodo di grandi trasformazioni. Quelli che erano stati castelli fortificati vennero trasformati in ville e luoghi di vacanza per le nobili famiglie fiorentine, e – soprattutto – in fiorenti fattorie dove il vino era il prodotto principe. ​Mezzadri e contadini animavano le case intorno alle ville padronali, e alla Leccia, nel XVIII secolo, abitavano circa 70 persone. L’ultima grande trasformazione del borgo era avvenuta un secolo prima, con la costruzione della villa settecentesca che possiamo ammirare oggi. La seconda guerra mondiale portò nuove distruzioni, con la perdita della torre medievale e il danneggiamento di parte della villa. All’epoca La Leccia apparteneva alla famiglia Daddi, che l’aveva acquistata del 1920, e da Francesco Daddi in tempi recenti l’intero complesso è stato venduto all’imprenditore svizzero Rolph Sonderegger, che ha trasformato La Leccia in uno splendido luogo dell’accoglienza, con 12 suite, cinque camere e un ristorante aperto anche agli esterni. 

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Il giardino
L’azienda si estende per 170 ettari dei quali 17 sono dedicati alla vigna e 10 all’oliveta, entrambe coltivate in regime di biologico. La produzione vinicola è naturalmente incentrata sul Chianti Classico (annata, Riserva e Gran Selezione) più un Igt Toscana Rosso. La famiglia Sonderegger ha affidato la produzione all’enologo Paolo Salvi, mentre la direzione generale dell’azienda è in mano a Guido Orzalesi, che è approdato in Chianti Classico dopo una lunga esperienza a Montalcino e una collaborazione in Umbria. 
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Il Cihanti Classico annata
Orzalesi e Salvi sono arrivati con la vendemmia 2019, e dunque il progetto vitivinicolo del Castello La Leccia è ancora in divenire, ma la piacevolezza del Chianti Classico annata è già ben evidente. Grandi profumi di frutta rossa, legno totalmente integrato, eccellente bevibilità: un vino che non si fa dimenticare. Il Chianti Classico Riserva 2018 si distingue per eleganza e per un tannino ampio, con al palato ancora un po’ di legno da assorbire essendo un vino giovane. Il Chianti Classico Gran Selezione Bruciagna 2018 proviene dall’omonimo vigneto posto a 500 metri sopra il livello del mare ed è un Sangiovese in purezza. Lo abbiamo degustato dopo essere stato imbottigliato da un solo mese, e dunque il vino ha ancora tanto da esprimere, ma l’equilibrio tra i profumi di frutta matura e spezie era già ben evidente. Assai piacevole e beverino l’Igt Toscana Vivaio Del Cavaliere 2020, prodotto prevalentemente con Sangiovese e aggiunte di Malvasia Nera, Syrah e Ciliegiolo e senza alcun passaggio in legno.
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La terrina di maialetto con finocchi e scorze d'arancia candite
Il ristorante è il regno dello chef Giulio Poggioni, che fonda i suoi piatti nella solida tradizione toscana con un occhio di riguardo ad alcuni prodotti più tipici delle campagne: dalla cacciagione alle verdure (che provengono dall’orto naturalmente). Ecco che allora nascono piatti come i ravioli ripieni di piccione con un delicatissimo pesto di salvia e la faraona ripiena dei suoi fegatini e salsiccia, passando attraverso la terrina di maialetto con finocchi, arance candite e pan brioche.
Con la bella stagione si mangia all’aperto, e lo sguardo spazia dalle torri di San Gimignano alle mura di Monteriggioni, dai campanili di Siena al crinale dove sorge la splendida Colle Val d’Elsa. Tutto intorno, il meraviglioso giardino, i boschi di leccio e il piccolo borgo con la cappella la cui facciata è quasi del tutto nascosta da imponenti cipressi secolari.
Dopo un anno passato tra restrizioni e dinieghi, il Castello La Leccia appare come il luogo ideale per riappropriarsi di bellezza e civiltà, cultura e ospitalità, passando attraverso un cibo buono e “vero”, da un extra vergine di oliva eccellente e da vini che non si faranno dimenticare. 
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I tortelli di piccione con pesto di salvia
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La cappella del borgo
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