Patrizia Cantini Wine & Food Communication
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Dim Sum tra Hong Kong e Firenze

6/23/2021

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PictureRavioli con ragù di anatra piccante
Il Dim Sum è la cucina della Cina meridionale, ormai molto nota anche da noi in Italia. L’amico e collega Marco Gemelli mi ha invitata a una curiosa “disfida” – che poi una disfida vera e propria non era ma piuttosto un confronto – tra lo chef hongkonghese Kin Cheung, del ristorante Element di via Pratese, e lo chef Salvo Pellegriti della Vetreria via via del Proconsolo. L’incontro si è svolto martedì 22 giugno nella spettacolare terrazza privata dell’Hotel La Scaletta di via Guicciardini, dalla quale si domina Palazzo Pitti, Boboli, il Forte Belvedere e una buona parte dei tetti, delle torri e dei palazzi del centro cittadino intorno a Ponte Vecchio. Salvo Pellegriti in effetti collabora anche con il ristorante dell’albergo e questo spiega la scelta. 

Il menù era composto da 7 portate: 3 di Kin, 3 di Salvo e una a quattro mani. Le prime sei sono state tutte dedicate ai famosi ravioli al vapore, che Salvo ha interpretato in chiave tutta italiana. In pratica, lo chef ha interpretato in maniera Dim Sum 3 piatti della nostra tradizione, ovvero le lasagne, l’Amatriciana e Cacio & Pepe. Esperimento più che riuscito e anche molto divertente: nelle lasagne Dim Sum non mancavano neppure quelle deliziose crosticine che caratterizzano il piatto tradizionale. Kin invece ci ha deliziato con ravioli di tatufo nero al vapore con gamberi, raviolo aperto cotto al vapore con pollo funghi e gamberi e ravioli al ragù di anatra piccante (questi ultimi sinceramente strepitosi).
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Kin Cheung prepara il bao al tè verde e anguilla con salsa di senape
Il piatto a quattro mani, servito come ultima portata, è stato un bao al tè verde (ossia un panino prima cotto al vapore e poi grigliato) con anguilla a cottura lenta e salsa di senape.
I piatti sono stati accompagnati dai vini dell’azienda Podere Casaccia, che ha vigneti sulle colline che dominano Scandicci. L’azienda di Roberto Moretti e Lucia Mori è biodinamica, e nei 7 ettari di vigna sono coltivati i vitigni tipici della tradizione toscana: Sangiovese, Cannaiolo, Pugnitello, Foglia Tonda, Malvasia Nera, Trebbiano, Malvasia Bianca e Vermentino. Molto interessante il Sine Felle Ambrato, un Igt Toscana composto dalle tre uve a bacca bianca e lasciato a macerare sulle bucce per ben 9 mesi, per poi passare 6 mesi in barrique.

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Lucia Mori e nei bicchieri il SIne Felle Ambrato
Una serata incantevole, in ottima compagnia e in un luogo inaspettato, adesso devo solo prenotare una cena all’Element da Kin Cheung e una alla Vetreria da Salvo Pellegriti, oltre che una visita al Podere Casaccia dagli amici Lucia e Roberto. 
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Palazzo Pitti visto dalla terrazza dell'Hote La Scaletta
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Il Castello La Leccia

6/10/2021

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PictureIl Castello La Leccia e il borgo
Quando pensi di aver visto praticamente tutto nel territorio di produzione del Chianti Classico, giri a sinistra lungo la strada che da Castellina conduce a Monteriggioni e arrivi al Castello La Leccia, e allora capisci che c’è ancora qualcosa da scoprire. Il castello, che naturalmente era un avamposto fortificato, faceva parte di quella numerosa rete di difesa che per secoli – fino a quando Siena non venne conquistata da Firenze – caratterizzò la campagna del Chianti. Le prime attestazione scritte del castello risalgono al 1077, quando tal Rodolfo di Guinzo ne acquistò una parte. Successivamente divenne proprietà della famiglia Ricasoli, che al castello di Brolio rappresentava l’ultimo avamposto fiorentino contro Siena. La Leccia fu teatro di saccheggi e di feroci scontri, come scrive Andrea Ricasoli nel 1529: “…forse cinquanta sienesi vennero a un mio luogo in Chianti chiamato La Leccia dove… arsono ciò che era in casa… et da dugento barili di vino era nella cantina et nelle botti tutto versarono…”. 

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Una suggestiva immagine notturna
Con la caduta di Siena nel 1555 per il Chianti iniziò un periodo di grandi trasformazioni. Quelli che erano stati castelli fortificati vennero trasformati in ville e luoghi di vacanza per le nobili famiglie fiorentine, e – soprattutto – in fiorenti fattorie dove il vino era il prodotto principe. ​Mezzadri e contadini animavano le case intorno alle ville padronali, e alla Leccia, nel XVIII secolo, abitavano circa 70 persone. L’ultima grande trasformazione del borgo era avvenuta un secolo prima, con la costruzione della villa settecentesca che possiamo ammirare oggi. La seconda guerra mondiale portò nuove distruzioni, con la perdita della torre medievale e il danneggiamento di parte della villa. All’epoca La Leccia apparteneva alla famiglia Daddi, che l’aveva acquistata del 1920, e da Francesco Daddi in tempi recenti l’intero complesso è stato venduto all’imprenditore svizzero Rolph Sonderegger, che ha trasformato La Leccia in uno splendido luogo dell’accoglienza, con 12 suite, cinque camere e un ristorante aperto anche agli esterni. 

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Il giardino
L’azienda si estende per 170 ettari dei quali 17 sono dedicati alla vigna e 10 all’oliveta, entrambe coltivate in regime di biologico. La produzione vinicola è naturalmente incentrata sul Chianti Classico (annata, Riserva e Gran Selezione) più un Igt Toscana Rosso. La famiglia Sonderegger ha affidato la produzione all’enologo Paolo Salvi, mentre la direzione generale dell’azienda è in mano a Guido Orzalesi, che è approdato in Chianti Classico dopo una lunga esperienza a Montalcino e una collaborazione in Umbria. 
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Il Cihanti Classico annata
Orzalesi e Salvi sono arrivati con la vendemmia 2019, e dunque il progetto vitivinicolo del Castello La Leccia è ancora in divenire, ma la piacevolezza del Chianti Classico annata è già ben evidente. Grandi profumi di frutta rossa, legno totalmente integrato, eccellente bevibilità: un vino che non si fa dimenticare. Il Chianti Classico Riserva 2018 si distingue per eleganza e per un tannino ampio, con al palato ancora un po’ di legno da assorbire essendo un vino giovane. Il Chianti Classico Gran Selezione Bruciagna 2018 proviene dall’omonimo vigneto posto a 500 metri sopra il livello del mare ed è un Sangiovese in purezza. Lo abbiamo degustato dopo essere stato imbottigliato da un solo mese, e dunque il vino ha ancora tanto da esprimere, ma l’equilibrio tra i profumi di frutta matura e spezie era già ben evidente. Assai piacevole e beverino l’Igt Toscana Vivaio Del Cavaliere 2020, prodotto prevalentemente con Sangiovese e aggiunte di Malvasia Nera, Syrah e Ciliegiolo e senza alcun passaggio in legno.
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La terrina di maialetto con finocchi e scorze d'arancia candite
Il ristorante è il regno dello chef Giulio Poggioni, che fonda i suoi piatti nella solida tradizione toscana con un occhio di riguardo ad alcuni prodotti più tipici delle campagne: dalla cacciagione alle verdure (che provengono dall’orto naturalmente). Ecco che allora nascono piatti come i ravioli ripieni di piccione con un delicatissimo pesto di salvia e la faraona ripiena dei suoi fegatini e salsiccia, passando attraverso la terrina di maialetto con finocchi, arance candite e pan brioche.
Con la bella stagione si mangia all’aperto, e lo sguardo spazia dalle torri di San Gimignano alle mura di Monteriggioni, dai campanili di Siena al crinale dove sorge la splendida Colle Val d’Elsa. Tutto intorno, il meraviglioso giardino, i boschi di leccio e il piccolo borgo con la cappella la cui facciata è quasi del tutto nascosta da imponenti cipressi secolari.
Dopo un anno passato tra restrizioni e dinieghi, il Castello La Leccia appare come il luogo ideale per riappropriarsi di bellezza e civiltà, cultura e ospitalità, passando attraverso un cibo buono e “vero”, da un extra vergine di oliva eccellente e da vini che non si faranno dimenticare. 
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I tortelli di piccione con pesto di salvia
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La cappella del borgo
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La Fornace dei Medici

9/10/2020

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L'esterno della Fornace dei Medici
La Toscana è una terra ricca di luoghi magici e con una lunga storia alle spalle. Ville, castelli e manieri dove il fascino del passato si mescola alla nuova vita che i proprietari hanno voluto dare loro. Ma non tutti questi luoghi offrono anche il piacere della scoperta. La Fornace dei Medici di Bivigliano invece sì.
Partiamo dal luogo, Vaglia, che non è certo tra i borghi più noti in Toscana. Eppure non siamo lontani dalla Villa Medicea di Pratolino, oggi conosciuta come Villa Demidoff, con il suo bellissimo parco con il Colosso dell’Appennino opera del Giambologna. Voluta da Francesco I dei Medici, la villa fu progettata da Bernardo Buontalenti, che nel parco volle una ricca serie di fontane che andavano a creare dei giochi d’acqua futuristici per l’epoca. E proprio la tanta necessità di acqua per le circa quaranta fontane fu all’origine della fornace che venne eretta tra il 1567 e il 1569. Serviva infatti un acquedotto che convogliasse l’acqua da Montesenario fino al parco, e per costruire l’acquedotto servivano dunque i mattoni. 

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La King's Room
La fornace poi nel corso dei secoli ha subito varie vicissitudini, e quando nel 1978 è stata acquista dalla famiglia Ciatti di Firenze era una semplice abitazione contadina. Guido Ciatti è ingegnere, e il suo lavoro lo ha portato a girare il mondo facendo nascere in lui una grande passione per la cucina. Girare il mondo significa infatti anche andare in tanti ristoranti e poter assaggiare cucine lontane e a volte molto diverse tra loro. Nell’azienda di 110 ettari che circonda la Fornace dei Medici i Ciatti avevano già ristrutturato degli edifici creando un agri resort con piscina, ma Guido evidentemente voleva anche un ristorante tutto suo, per poter raccontare ai clienti qualcosa della sua passione per la cucina e per i prodotti di alta qualità.
Così, a febbraio scorso, è stata inaugurata La Fornaca dei Medici, con nove belle camere matrimoniali, la piscina, la spa e – soprattutto – il ristorante. In effetti alla Fornace dei Medici tutto ruota intorno al ristorante, che naturalmente è aperto anche agli ospiti esterni. La famiglia Ciatti ha optato per una formula è in qualche modo innovativa, perché prenotando un pranzo o una cena al ristorante, con un supplemento di 20 euro si può per esempio godersi una giornata nella piscina che si affaccia su un panorama magnifico, con rare case e tanti campi coltivati e boschi. Visto che siamo quasi in autunno e che tra poco la piscina chiuderà, al suo posto gli ospiti del ristorante possono optare per la spa, con sauna, bagno turco, doccia emozionale e un delizioso idromassaggio in veranda, affacciato sulla campagna. Il costo della spa è di 120 euro per due persone, che ne possono godere in maniera esclusiva per 2 ore. Nel caso di due coppie, di una famiglia o di un piccolo gruppo di amici, ogni persona in più paga 25 euro. 

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La sala del ristorante
I campi coltivati che si ammirano dalla Fornace sono quelli dell’azienda, che produce patate, verdure ed olio extra vergine di oliva. I prodotti aziendali, rigorosamente biologici, sono in vendita all’interno della struttura. E naturalmente li ritroviamo nei piatti proposti dal ristorante, che in buona parte si ispirano alla tradizione toscana. Ma Guido ha voluto anche che il suo menù omaggiasse i Medici, la famiglia all’origine di quella fornace alla quale lui ha regalato una nuova vita. Tra questi assolutamente da non perdere troviamo il Budino dei Medici, per il quale lo chef e Guido hanno lavorato a lungo per ottenere una consistenza semplicemente perfetta, oltre a un sapore pieno e ricco. La cacciagione proviene dalla riserva dell’azienda, la pasta è rigorosamente fatta in casa con farina di grano Verna sempre di produzione propria e una bella sorpresa sono anche le verdure biologiche dell’orto semplicemente tostate e messe sott’olio.
Non so voi, ma dopo il lungo lock down a me è cresciuto il desiderio di scoprire posti nuovi, luoghi che hanno ancora una loro originalità e che non necessariamente si trovano all’altro capo del mondo. La Fornace dei Medici mi ha regalato una giornata incantata, un ottimo pranzo e un panorama che mi è restato negli occhi per la sua calma semplicità. Un angolo di storia toscana nascosta, o che almeno io non conoscevo. Una storia che dai mattoni ha saputo trasformarsi in ottima cucina e in un caldo senso di ospitalità.
 
La Fornace dei Medici
Via del Villani 756, Vaglia
Tel. 351 6618986
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La pizza di seta di Santarpia

1/17/2020

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La preparazione della pizza bianca con lingua di vitello. www.patriziacantini.it
Non mi vengono in mente altri paragoni se non questo: la pizza di Giovanni Santarpia è lieve come la seta. Il segreto?  I ragazzi che lavorano con lui dicono sia una combinazione tra farine di elevata qualità, lunghissima levitazione e di idratazione della pasta al 72%.
Qualunque cosa sia, la pizza di Giovanni è una sublime magia nella quale alla leggerezza della pasta si uniscono condimenti di qualità eccellente.
I fiorentini conoscono bene Santarpia, nato a Castellammare di Stabia e pizzaiolo fin dal 1988 (all’epoca aveva solo quindici anni). Giovanni è approdato a Firenze nel 2015, dopo un lungo percorso professionale che lo ha visto arrivare prima a Bologna, poi a Vicchio di Mugello e infine a San Donato in Poggio, dove al ristorante Palazzo Pretorio ha fatto conoscere la sua arte a tutti i toscani (e non solo toscani). 

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Giovanni Santarpia, www.patriziacantiniit
La storia più recente di Giovanni è nota, con la pizzeria aperta in Largo Annigoni e poi la sua decisione di fare esperienze nuove, che lo hanno portato da Israele all’Ucraina, in un’opera di insegnamento e di educazione alla vera pizza napoletana.
Finalmente è tornato da noi, e l’8 gennaio ha inaugurato la sua nuova pizzeria, che porta il suo nome, di nuovo a Firenze, ma stavolta fuori dal centro, in via Senese al 155 rosso, esattamente alle Due Strade.
Giovanni ha voluto invitare un gruppo di amici giornalisti a visitare il suo nuovo locale e ad assaggiare alcune delle proposte del suo menù, che non contiene soltanto le pizze ma anche antipasti, primi piatti e dolci.
Abbiamo iniziato con la montanarina, la classica pizza fritta con burrata, acciughe tartufate e pesto. La pasta è fragrante, e la delicatezza della burrata è un perfetto contraltare al sapore deciso dell’acciuga. Abbiamo poi assaggiato la mozzarella in carrozza, e sinceramente ringrazio colui che l’ha inventata, perché ha avuto un’idea geniale. Quella di Santarpia è deliziosamente croccante, e la mozzarella (che naturalmente nasconde un pezzetto d’acciuga) fila come le stelle di Carnevale ed è semplicemente strepitosa. 

Sono arrivate poi le pizze: la Margherita, quella con salsiccia e friarielli, la marinara gialla con aglio, acciughe ed olive taggiasche, quella bianca con soprassata e limone (sublime), ancora la bianca con lingua di vitello e misticanza e, infine, la pizza con cavolo nero, porro e pinoli. Tutte eccellenti, tutte ben calibrate, tutte leggere come la seta.
Una pizza da fuoriclasse, insomma. E Giovanni lo è davvero un fuoriclasse, con quel suo bel sorriso stampato anche sulle tovagliette e sui bicchieri; quella sua espressione da “ragazzo felice” e quella infinita passione che mette nel suo lavoro e nell’accogliere i clienti.
Insomma, se per uno strano caso non vi foste ancora imbattuti nella pizza di Giovanni sarà bene che colmiate la lacuna, e poi non potrete più vivere senza.

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Due giovanissimi chef svedesi in Chianti Classico

6/6/2019

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Fabian Olli Johansson e Amanda Lydahl
Due giovani chef svedesi sono appena approdati in Chianti Classico, al ristorante della fattoria Terreno di Greve, che ha aperto le porte un mese fa. La fattoria Terreno è stata acquistata dalla famiglia Ruhne una trentina di anni fa e nei primi i tempi la produzione di vino era a livello artigianale e destinata a un consumo prettamente familiare. Poi, 19 anni anni fa, i Ruhne hanno deciso di dedicarsi al vino in maniera più professionale chiamando a collaborare con loro l’enologo Federico Staderini. Infine, la figlia Sofia ha deciso di venire in Toscana per studiare e imparare a conoscere il mondo della produzione del vino e la gestione di un’azienda. Dopo 3 anni di studio intenso a stretto contatto con Staderini, Sofia naturalmente ha deciso di stabilirsi a Terreno in maniera stabile. E’ dunque lei che oggi conduce l’azienda e che ha avuto l’idea di aprire un ristorante che nella sua mente doveva essere un ponte ideale tra la tradizione toscana e quella svedese.
PictureI tortelli ripieni di fave bietole e ricotta
Ecco dunque che da Stoccolma sono partiti Fabian Olli Johansson e Amanda Lydahl. Fabian ha appena ricevuto in Svezia il prestigioso premio di Chef dell’Anno organizzato da Chaîne de Rôtisseurs che lo porterà a settembre alle finali mondiali in Canada. Amanda invece lavorava in un ristorante stellato di Stoccolma, il Volg, e anche lei si è notevolmente distinta nonostante la giovane età. I due infatti hanno entrambi 21 anni, e con tutto l’entusiasmo della loro giovane età non ci hanno pensato due volte a lasciare la bella Stoccolma per approdare in Chianti Classico. Insieme a loro in cucina c’è anche Francesco Galli, chef fiorentino con alle spalle una lunga esperienza iniziata a 16 anni nella trattoria dei genitori. Insomma, due svedesi e un fiorentino sono il trio che anima la cucina del ristorante di Terreno, e dunque i piatti non possono che avere una base toscana con influenze scandinave. Amanda dice che “è bello poter lavorare con verdure fresche di giornata provenienti dal giardino di casa”, e il tocco scandinavo si sente immediatamente proprio nelle verdure, servite rigorosamente croccanti grazie a quelle cotture veloci che ne mantengono intatti profumi e colori. I piatti sono improntati a una incredibile leggerezza, altra caratteristica della cucina scandinava dopo che la nouvelle vague danese l’ha totalmente rivoluzionata riuscendo a puntare tutti i riflettori internazionali sui paesi del nord Europa, diventati meta dei gourmet di tutto il mondo.

PictureIl petto e la coscia d'anatra
Ed ecco il menù che ci è stato proposto oggi per la festa di Mezza Estate:
​Pane duro fatto in casa aromatizzato al finocchio, insalata di barbabietole e polpette di carne
Tortino di patate croccanti con verdure dell’orto, panna acida al limone
Tortelli ripieni di fave, bietole e ricotta con salsa di pecorino, noci tostate e miele di castagno
Petto d’anatra cotto in padella, cosce cotte a fuoco lento con aromi servite con carote grigliate, fagiolini verdi e ciliegie agrodolci
Fragole fresche con crema di limone, panna montata e meringhe
 
I piatti sono stati naturalmente accompagnati dai vini dell’azienda: Terreno Metodo Classico 2012, Terreno Chianti Classico ASofia 2015, Terreno Bianco Professore IGT 2016, Terreno Chianti Classico Riserva 2015 e Terreno Vinsanto 2012.

Il ristorante è aperto tutti i giorni dal martedì al sabato a pranzo e a cena dal 1° maggio al 31 ottobre.
Per prenotare: 335 1536335, info@terreno.se

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Sofia Ruhne
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Georgia ed Armenia a Firenze

3/11/2019

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Khaciapuri
Cosa sappiamo della Georgia e dell’Armenia? Poco, in genere, ma per fortuna Firenze offre la possibilità per cominciare a entrare in contatto con queste due culture un tempo estremamente lontane e confuse nel nostro immaginario collettivo e oggi invece sempre più vicine. Si chiama Ararat, ed è un ristorante in Borgo La Croce che da più di un anno propone cucina armena e georgiana e che ora, grazie a una nuova gestione, intende diventare un punto di riferimento per tutti coloro che vogliano capire meglio queste due popolazioni. Gli arredi in questo senso sono illuminanti: nella sala posta al primo piano dell’edificio che un tempo era una chiesa – lo testimonia anche la grande croce lignea che si trova sotto il tetto in travi – sono riportati l’alfabeto georgiano e quello armeno, per noi incomprensibili ma un primo modo per conoscere e ammirare questi bellissimi caratteri così diversi dai nostri (il menù naturalmente è tradotto). 
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Gli antipasti Pkhali
Ma è lo staff, composto da georgiani e da armeni, che vi aiuterà non soltanto a scegliere i piatti nel menù, ma anche a capire questi due popoli diversi ma con molti tratti comuni. La prima cosa che vi diranno e che in Armenia e in Georgia il cibo è estremamente legato alla socialità e allo stare insieme. Tradizionalmente, tutte le portate vengono poste sulla tavola e le persone si servono liberamente. Il menù di Ararat comunque è suddiviso tra antipasti, primi, secondi e dessert. Noi abbiamo assaggiato il Pkhali, un classico antipasto georgiano composto da paté di varie verdure (barbabietola, fagiolini, fagioli) arricchiti di spezie e noci frullate, insieme a involtini di melanzana fritta ripieni di pasta di noci. Sono poi arrivati i Khinkali, dei ravioloni anch’essi georgiani di pasta piuttosto spessa prodotta con farina e acqua. Al suo interno una polpetta di carne macinata di manzo e maiale anch’essa arricchita da spezie. Cuocendo, la carne sprigiona un brodetto e la maniera tradizionale di mangiare i Khinkali consiste nel prenderne uno con le mani, addentarlo leggermente e farlo roteare in modo che il brodo si spanda al suo interno. Poi semplicemente lo si mangia. 
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I ravioli Khinkali, www.patriziacantini.it
Sono invece armeni i Tolma, degli involtini di carne e verdure avvolti in foglie di vite. E’ poi arrivato il Khaciapuri, la focaccia armena dalla classica forma a barchetta fatta con pasta lievitata (non troppo diversa da quella della nostra pizza) cosparsa da formaggio sbriciolato e uova. In questo caso il menù recita: “Si mangia staccando le due estremità e mescolando l’uovo insieme al formaggio”. Insomma, anche in questo caso bisogna usare le mani.
Il tutto viene accompagnato da vino georgiano, provenienti dalla regione di Kakheti, considerata un po’ la Toscana della Georgia per la produzione di vini rossi. Il vitigno principe è il Saperavi, che viene vinificato in anfore di terracotta. Ne ho assaggiato una versione assai gradevole priva di invecchiamento in legno, estremamente bevibile e praticamente privo di tannini. Poi ci hanno servito un Saperavi con tre anni di invecchiamento in legno, un vino naturalmente più complesso e con una maggiore gradazione alcolica.
Il luogo è molto gradevole per colori tenui e arredi, ma è il personale che mi ha soprattutto colpita, perché ognuno di loro ha una gran voglia di farci conoscere la loro cultura, e il cibo, come è risaputo, rappresenta il primo e più diretto mezzo per entrare in contatto con una diversa civiltà.
Ararat, Borgo La Croce 32r, tel. 375 5721739
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La sala al piano superiore
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La pizza di Michele Leo a Firenze da Santarpia

12/12/2018

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La pizza Profumi del Mediterraneo, foto di Andrea Hardkore Pacini
Pare che chi sia stato in giovane età colpito dal fuoco sacro dei lievitati, non possa che concedersi tutto a questa passione e continuare per l’intera vita ad alimentarne la fiamma. A questa categoria di sacerdoti del tempio dei lievitati appartiene Michele Leo, da pochissimo approdato a Firenze presso le “fiamme” di Santarpia. Michele Leo, faccia da bravo padre di famiglia e occhi dolci da babà, è infatti il nuovo mastro pizzaiolo del locale fiorentino di piazza Ghiberti, aperto nel 2015 da Pietro Baracco e Simone Fiesoli. Nato naturalmente a Napoli, dove ha iniziato la sua carriera fino ad approdare alla Città del Gusto e alla Pizzeria di Palazzo Petrucci, si è poi trasferito a Bologna per seguire il progetto Mozzabella, una pizza a taglio concepita con un impasto che unisce croccantezza a sofficità. Ma come nel derby calcistico dell’Appennino a volte vince il Bologna e a volta la spunta la Fiorentina, stavolta Firenze ha vinto sull’eterna rivale emiliana portandogli via un vero e proprio gioiello. 
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Simone Fiesoli, Michele Leo e Pietro Baracco, foto di Andrea Hardkore Pacini
L’incontro tra Michele, Pietro e Simone dunque unisce un maestro indiscusso della pizza a due imprenditori alla costante ricerca di prodotti di grande qualità. L’impasto magico di Michele si sposa in maniera naturale con gli ingredienti che già avevano fatto conoscere e amare la pizzeria Santarpia. La novità è che ci sarà un menù di pizze stagionali, perché la stagionalità vale anche per le pizze, qualora per pizza si intenda un prodotto di elevata qualità e non un cibo da battaglia da sfornare in serie.
Nel periodo delle feste ci sono quattro pizze speciali, una delle quali con il baccalà e un’altra con broccoli e peperoni cruschi, ma passate le ritualità natalizie arriveranno quella ai profumi del Mediterraneo - con pomodoro, provola affumicata, olive taggiasche, capperi, pomodorini gialli e rossi, filetti di alici di Cetara e origano – quella con i carciofi (i carciofi sono freschi e prima saltati in padella), guanciale e pecorino e quella con la tartare di Scottona e pesto frutto della vicinanza con  la Macelleria di Luca Menoni del Mercato di Sant’Ambrogio. Siamo dunque di fronte a delle pizze pensate in base a prodotti di qualità selezionati con attenzione, che vanno a comporre armonie sapienti e spesso inedite. 
Le pizze di Michele sono un atto d’amore: il profumo del cornicione è un tuffo in un passato mitico in un cui la pasta aveva innanzi tutto un significato religioso ed era un rito comune alle famiglie. Oggi la pasta da pizza è diventata un’arte, e non a caso la regina di Napoli è diventata patrimonio immateriale dell’umanità. Ma a differenza dei pizzaioli del passato – dei quali Michele racconta che mentre preparavano la pasta avevano sempre una scusa per allontanare gli aiutanti in modo che il segreto non venisse rivelato – lui vuole insegnare agli altri affinché l’arte possa tramandarsi alle generazioni future. Allora mi è venuta in mente la mia amica chef Lucia Antonelli della Taverna del Cacciatore di Castiglion dei Pepoli, conosciuta come la regina dei tortellini, che riconosce come uno dei peggior difetti degli chef quello di non voler raccontare i propri segreti di cucina per paura di crearsi troppi rivali. E così torniamo al derby dell’Appennino, visto che Castiglion dei Pepoli si trova in provincia di Bologna.
E allora faccio un appello a tutti i fiorentini: trattiamolo bene questo gioiello che abbiamo rubato a Bologna, andiamogli incontro con lo stesso sorriso che lui ci regala dal suo bancone infarinato e non facciamocelo rubare. Ce ne pentiremmo amaramente. 

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La Cosacca, foto di Andrea Hardkore Pacini
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Un giovane chef francese (in famiglia)

8/10/2017

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Tom Murcia, www.patriziacantini.it
Lo chef Tom Murcia è nato a Montpellier nel 1990. Lo dico subito: Tom è il figlio del fratello di mio marito, e quindi per me è un nipote acquisito. Senza dubbio ho molta simpatia per questo giovane che ha deciso di dedicare la sua vita alla cucina, ma se ne scrivo qui è perché dopo aver finalmente avuto la possibilità di degustare i suoi piatti nel ristorante che ha aperto nel 2016 a Lavérune, un piccolo borgo alle porte di Montpellier, mi è risultato evidente come Tom sia davvero bravo.
La carriera di Tom è iniziata molto presto, perché ad appena 15 anni ha fatto la sua comparsa nella cucina del ristorante Le Mas de Baume a Ferrières Le Verreries. Qui ha appreso il mestiere lavorando a contatto con lo chef Eric Tapie, per poi passare a fare esperienza di pasticceria e cioccolateria a Montpellier, presso la pasticceria Valgallier. Infine è approdato al ristorante Le Grand Arbre – sempre a Montpellier – dove è rimasto quattro anni a fianco dello chef Rudy Gounel, arrivando anche a ricoprire il ruolo di responsabile dell’acquisto delle carni.

PictureLa cucina a vista del Restaurant Couleurs d'Ici, www.patriziacantini.it
Insomma, una passione per la cucina nata presto. Ricordo ancora molto bene quando nel 2004, ospite a casa del fratello di mio marito, decisi di fare delle tagliatelle. Tom prima si mise a guardarmi, e poi iniziò a impastare insieme a me in maniera assolutamente naturale. Io ne rimasi sorpresa, perché non mi aspettavo di essere aiutata da un ragazzino di 14 anni. Evidentemente lo conoscevo poco.
Dunque l’anno scorso Tom si è sentito pronto a fare il salto di qualità e ad aprire il suo primo ristorante, che si chiama Couleurs d’Ici e che si trova appunto a Lavérune. Se andate sul sito del ristorante (www.couleursdici-restaurant.com) avrete facilmente un’idea dell’ambiente e dell’anima che Tom ha voluto dare a questo suo primo locale. Cucina a vista, separata dalla sala da un bancone dipinto di azzurro, ambiente e apparecchiature informali, tavoli e sedie di stile moderno che ben si armonizzano con le pietre dei muri. In tutto una trentina di posti a sedere tra piano terreno e primo piano. Al piano superiore un angolo con poltrona e divano di fronte a un caminetto invitano al relax, e rispecchiano il carattere di questo giovane uomo dal sorriso da fanciullo. Un sorriso aperto con un lieve accento di timidezza, dietro a cui si cela evidentemente una volontà ferrea di farsi conoscere ad apprezzare.


Insieme a lui lavorano un altrettanto giovane ragazzo in cucina e una ragazza in sala. La fidanzata di Tom Élodie Jacquot aiuta in sala nei momenti liberi dal lavoro. Insomma, un ristorante di giovani. La carta viene rinnovata ogni mese, e Tom segue le stagioni cercando di attenersi ai prodotti che il mercato offre. Le ispirazioni sono molteplici, e spaziano da alcuni piatti tipicamente francesi come il magret de canard ad altri che Tom ha conosciuto nel corso dei viaggi fatti con Élodie. Dalla Sicilia, per esempio, è tornato con gli arancini, che lo scorso inverno ha messo in carta dandone una sua interpretazione con ripieno di gamberetti. 
Il menù a 32 euro comprende il classico trinomio francese: entrée, plat e dessert. Il dessert – come spesso avviene in Francia – può essere sostituito da formaggio. La presentazione dei piatti è molto curata, come potete facilmente intuire dalle foto. I piatti sono assai ben fatti, i sapori molto ben armonizzati, ottima la consistenza delle salse e perfetta la cottura di pesci, carni e verdure. Insomma, una cucina concreta, senza eccessi intellettuali e con una tecnica sicura, che promette molto bene per l’avvenire.
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Magret de canard
Mi fermo qui perché trattandosi di un nipote non vorrei passare per la classica vecchia zia italiana, però vi consiglio, se passate da Montepellier, di andare da Tom ad ascoltare la sua voce bassa e tranquilla, e di farvi deliziare dai suoi piatti. Sono sicura che non ne resterete delusi. Personalmente auguro a Tom e a Élodie un grande futuro.
COULEURS D'ICI
Impasse de la Résistance
34880 Laverune
 
Tel : 04.67.27.57.23
 
Email : contact@couleursdici-restaurant.com  

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La Villa Medicea di Lilliano

5/4/2016

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PictureLa Villa Medicea di Lilliano a Bagno a Ripoli vicino a Firenze
Oggi si parla spesso di offerta turistica integrata, e con tale espressione ci si riferisce principalmente a comuni e a territori che offrono una possibilità di fruizione pressoché completa dei luoghi di interesse. Più rari sono invece i casi di singole aziende che possano vantare al loro interno una simile offerta che spazi dall'arte alle bellezze paesaggistiche, dall'ospitalità alla possibilità di organizzazione di eventi e di cerimonie. Una di queste è in Toscana, alle porte di Firenze, e si chiama Villa Medicea di Lilliano. La villa in origine era la fattoria e il casino di caccia della vicina Villa di Lappeggi e i Medici l'avevano specializzata nella coltura dei fiori che servivano ad abbellire le loro varie residenze. Forse dunque il nome di Lilliano potrebbe derivare da lilium, il fiore del giglio simbolo di Firenze e tanto caro ai Medici. Alcune scene di caccia dipinte sulle porte del corridoio centrale della villa raccontano bene gli svaghi venatori che vi ebbero luogo. Benché documentata fin dal Medioevo e ampliata poi nel Seicento da Ferdinando II, non si hanno molte notizie storiche di Lilliano, Sappiamo solo che nel 1709 vi venne ospitato il re di Danimarca, a dimostrazione di quanto la villa fosse diventata importante e non fosse più considerata dai Medici una dipendenza di Lappeggi.






PictureIl corridoio della villa che porta al giardino.
Acquistata dalla famiglia Malenchini nel 1846, Lilliano divenne al centro di una importante produzione di vino e di olio arrivata fino ai giorni nostri. Oggi la proprietà è di Marina Malenchini, che da anni ricopre la carica di presidente del Consorzio Chianti Colli Fiorentini e che risiede a Lilliano nella stagione estiva. Insieme a Marina lavora in azienda la figlia Diletta, ed è proprio Diletta all'origine della trasformazione della villa in luogo di accoglienza. Diletta racconta che un giorno, parlò a un suo lontano parente argentino (un ramo della famiglia Malenchini si trasferì in Argentina nel XIX secolo) del suo sogno di trasformare Lilliano in un luogo d'eccezione con una offerta turistica integrata che comprendesse case e appartamenti di lusso, spazi per l'organizzazione di matrimoni e di eventi, degustazioni dei prodotti di fattoria e visite alla cantina. Insomma, un progetto che facesse di Lilliano un luogo per turisti alla ricerca di molto più di una semplice vacanza sulle colline intorno a Firenze (la città dista pochi chilometri e la villa si trova nel comune di Bagno a Ripoli). Si dà il caso che quel suo lontano cugino fosse Fernando Malenchini, dello studio di architetti Pondal Malenchini, che ha realizzato il Cavas Wine Lodge di Mendoza, che io ho avuto la fortuna di visitare qualche anno fa. Il Cavas Wine Lodge, immerso tra le vigne di Mendoza ai piedi delle Ande argentine, fa parte della catena dei Relais & Chateaux ed è stato il primo esempio di relais tra le vigne di tutto il Sud America. Quella “innocente” chiacchierata tra lontani cugini si è ben presto trasformata in un progetto, e oggi quel progetto possiamo ammirarlo nel suo insieme.





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Una camera de La Corte
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La Limonaia
Difficile trovare un punto di partenza per la descrizione di Lilliano, proprio perché di un insieme coerente si tratta. Certo che il giardino antistante la villa, con le sue piante di limoni e la fontana, resta uno dei luoghi più incantevoli di Lilliano. E proprio sul giardino si apre la Limonaia, che è stata eletta ad accogliere matrimoni, fotoshooting, cerimonie ed eventi. Da poco il comune di Bagno a Ripoli ha dato a Lilliano l'autorizzazione a celebrare matrimoni, e questo significa che gli sposi possono convolare a nozze direttamente alla villa alla presenza di un ufficiale del Comune. Ma per organizzare un matrimonio non occorre soltanto un bel luogo, e Lilliano ha deciso di contornarsi di uno staff di professionisti importanti, ognuno dei quali svolge un ruolo fondamentale all'interno dell'organizzazione. Prima di tutto Eric Veroliemeulen, l'estate manager di Lilliano, olandese di nascita ma ormai toscano da anni e con importanti esperienze alle spalle nel settore. Eric non è soltanto un direttore, perché possiede una naturale propensione a “curare” gli ospiti in ogni loro passo all'interno della tenuta. Premuroso e creativo, Eric è dotato anche di una spontanea simpatia che coinvolge subito al primo incontro. Impossibile non sentirsi a proprio agio con lui. Insieme a Eric, il deus ex machina di Lilliano, collabora Daniela Tripodi, la wedding planner di The Tuscan Wedding (www.thetuscanwedding.com). Al contrario di Eric, Daniela è fiorentina di nascita ma ha alle spalle anni di lavoro all'estero, fino a quando non ha deciso di tornare e di fondare la sua agenzia che oltre a matrimoni organizza eventi di varia natura. Professionale e attentissima ai particolari, Daniela esprime fiducia e serenità. Parlare con lei significa immergersi in un mondo - quello dei matrimoni e in maniera particolare dei matrimoni di stranieri che eleggono Lilliano come posto per il loro giorno più importante – che ha risvolti sorprendenti, fatti di esigenze grandi e piccole alle quali bisogna essere pronti a rispondere immediatamente. E Daniela risponde subito, con garbo e delicatezza, trovando la soluzione più opportuna, regalando sorrisi e risolvendo le ansie.


PictureLa cucina di Lilliano
Ma nessun matrimonio può essere celebrato senza una torta, ed ecco che entra in scena Melanie, “la dolce Melanie”. Sposata con lo chef fiorentino Paolo Secciani, Melanie ha il suo laboratorio in via Romana. Lì crea le sue torte nuziali che vanno ben al di là di un semplice dolce da tagliare a quattro mani. Le torte di Melanie Secciani sono infatti vere e proprie creazioni, capaci di intonarsi perfettamente a tutta la coreografia scelta dagli sposi come anche di ispirarsi al paesaggio toscano, riproducendone colori e forme (www.tuscanweddingcakes.com).
Insomma, uno staff a tutto tondo che garantisce che a Lilliano si possa veramente celebrare “il più bel giorno della vita”.
Ma al di là di queste occasioni, il fascino di Lilliano vive tutto l'anno con la sua storia e i suoi panorami, con i suoi grandi Chianti Colli Fiorentini Docg, con lo straordinario olio extra vergine di oliva e con il calore che Marina e Diletta Malenchini insieme ad Eric Veroliemeulen sanno creare. Un calore e un'ospitalità che sono veramente “per sempre”.





Tutte le foto pubblicate nell'articolo sono di proprietà della Villa Medicea di Lilliano
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Johan, uno chef svedese alle Lofoten

3/24/2016

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PictureHenningsvaer by night, www.patriziacantini.it


Henningsvær è uno dei villaggi più pittoreschi delle Lofoten, le isole del nord ovest della Norvegia, sopra il circolo polare artico. Le isole devono la loro fortuna al merluzzo artico, che nei giorni intorno al Natale si sposta verso sud per incontrare acque più calde dove potersi accoppiare. Le acque più calde sono proprio quelle delle Lofoten, che risentono della corrente del golfo, e qui le femmine depongono le proprie uova che poi la stessa corrente riporta verso il mare Artico. La qualità di questo merluzzo è notevole, perché questi pesci arrivano alle isole dopo una lunga nuotata, sono muscolosi e praticamente privi di grasso. La maggior parte del merluzzo viene essiccato all'aria e diventa dunque stoccafisso. Noi italiani siamo i maggiori acquirenti dello stoccafisso delle Lofoten.
Le isole sono maestose, con alte montagne - a volte rocciose a volte coperte di alberi - che arrivano fino al mare. La capitale è Svolvær, nell'isola di Austvågøy, e Henningsvær si trova sulla medesima isola ma più a ovest. E' il classico villaggio di pescatori che con gli anni si è trasformato in un luogo di vacanza. In effetti il merluzzo non rappresenta più la prima fonte economica delle Lofoten, perché il turismo ha creato tutta una serie di attività che vanno ben oltre gli alberghi e i ristoranti. Queste sono isole perfette per chi ama praticare la pesca sportiva, il rafting, la mountain bike, le passeggiate... Insomma, quasi tutto a parte di bagni di mare, naturalmente.

PictureJohan Petrini, foto di Stefano Cellai
La cucina delle isole è basata sul merluzzo e su altri pesci come l'halibut e il salmone, ma alle Lofoten i trovano anche carni locali e vi sono produzioni di formaggi di capra. Come gli altri paesi scandinavi a partire dalla Danimarca, anche la Norvegia partecipa a quel processo di rinnovamento della cucina e delle tecniche di cottura che ha portato gli chef del nord Europa all'attenzione dei foodies di tutto il mondo. La riscoperta di prodotti locali e la nascita di aziende biologiche e biodinamiche hanno reso la cucina del nord Europa estremamente interessante e vivace, e alle Lofoten si possono fare scoperte sorprendenti, come quella del ristorante Fiskekrogen di Henningsvær, regno dello chef Johan Petrini. Johan è svedese, ma come si intuisce dal cognome, la sua famiglia ha origini italiane.



PictureLa zuppetta di pesce, www.patriziacantini.it
La storia della famiglia è abbastanza curiosa perché risale a due fratelli lucchesi che nel 1758 arrivarono alla corte svedese come musicisti. Da allora la famiglia Petrini è rimasta in Svezia arrivando fino ai giorni nostri. Johan si è poi trasferito alle Lofoten circa 8 anni fa e ha lavorato in altri locali di Henningsvær prima di approdare al Fiskekrogen, ristorante elegante e raffinato che si affaccia sul canale che taglia in due il villaggio. Il locale offre l'atmosfera tipica del nord Europa: eleganza sobria ed essenziale e quel calore che soltanto gli scandinavi sanno creare nelle loro case e nei loro locali. Io sono stata al Fiskekrogen nel mese di marzo durante una nevicata, e vi posso assicurare che varcare quella soglia è stato fantastico.


PictureLa casseruola di pesce, www.patriziacantini.it
Uno staff molto giovane, sorridente e premuroso, mette subito di buon umore, ma sono i piatti di Johan a convincere che si è nel posto giusto. Il menù del mese di marzo che ho trovato era naturalmente basato sul merluzzo artico, a partire dalle lingue di merluzzo fritte che si possono mangiare soltanto in questo mese. A questo piatto è legata una storia curiosa, perché sono i bambini a togliere le lingue dalle teste dei merluzzi (che vengono tagliate immediatamente dopo la pesca). Gli abitanti delle Lofoten dicono che questa usanza è nata per avvicinare i bambini all'attività legata al merluzzo, nella quale molti di loro troveranno poi lavoro. Ma è anche un modo per fargli guadagnare qualche soldo, perché sono poi gli stessi bambini che offrono – per circa 5 euro al chilo – le lingue a ristoranti e a privati. Le lingue sono semplicemente impanate con uovo e pan grattato e poi fritte nel burro. Hanno un sapore molto delicato e una bella consistenza. Del merluzzo poi si mangia anche il fegato, che non manca nella carta di Johan, servito insieme a patate bollite. C'è poi il trancio di merluzzo fresco cotto in forno e servito con patate anch'esse al forno, verdure e burro bianco. Io ho assaggiato la zuppa di pesce, una ricetta creata 26 anni fa dalla proprietaria del locale. E' una zuppa delicatissima, con pezzi di merluzzo e halibut in crema di latte con prezzemolo, erba cipollina, porro e carote. Ho poi preso la casseruola di pesce, con cozze, gamberetti, halibut e salmone. Per realizzare questo piatto, Johan si è ispirato a quella che è la tipica base preparata in Norvegia per cucinare il baccalà. Cipolla bianca e pomodoro arricchiti da paprika dolce sono i principali ingredienti nei quali Johan mette a cuocere i pezzi di pesce, i gamberetti e le cozze. All'aspetto potrebbe sembrare simile alle nostre zuppette di mare, ma il sapore è diverso proprio per la presenza della paprika, e probabilmente di altre spezie da considerarsi un segreto di cucina.
Una cena ottima e leggera, con la vista sulle belle case di legno che si affacciano sul canale. Chi ha la fortuna di andarci d'estate può approfittare dei tavoli all'aperto e sicuramente di un'atmosfera più chiassosa di quella che ho trovato io a Henningsvær sotto la neve. Ma non rimpiango niente, perché a me è sembrato tutto perfetto: il calore, i sorrisi e i piatti di Johan. (www.fiskekrogen.net)


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