Patrizia Cantini Wine & Food Communication
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Due giovanissimi chef svedesi in Chianti Classico

6/6/2019

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Fabian Olli Johansson e Amanda Lydahl
Due giovani chef svedesi sono appena approdati in Chianti Classico, al ristorante della fattoria Terreno di Greve, che ha aperto le porte un mese fa. La fattoria Terreno è stata acquistata dalla famiglia Ruhne una trentina di anni fa e nei primi i tempi la produzione di vino era a livello artigianale e destinata a un consumo prettamente familiare. Poi, 19 anni anni fa, i Ruhne hanno deciso di dedicarsi al vino in maniera più professionale chiamando a collaborare con loro l’enologo Federico Staderini. Infine, la figlia Sofia ha deciso di venire in Toscana per studiare e imparare a conoscere il mondo della produzione del vino e la gestione di un’azienda. Dopo 3 anni di studio intenso a stretto contatto con Staderini, Sofia naturalmente ha deciso di stabilirsi a Terreno in maniera stabile. E’ dunque lei che oggi conduce l’azienda e che ha avuto l’idea di aprire un ristorante che nella sua mente doveva essere un ponte ideale tra la tradizione toscana e quella svedese.
PictureI tortelli ripieni di fave bietole e ricotta
Ecco dunque che da Stoccolma sono partiti Fabian Olli Johansson e Amanda Lydahl. Fabian ha appena ricevuto in Svezia il prestigioso premio di Chef dell’Anno organizzato da Chaîne de Rôtisseurs che lo porterà a settembre alle finali mondiali in Canada. Amanda invece lavorava in un ristorante stellato di Stoccolma, il Volg, e anche lei si è notevolmente distinta nonostante la giovane età. I due infatti hanno entrambi 21 anni, e con tutto l’entusiasmo della loro giovane età non ci hanno pensato due volte a lasciare la bella Stoccolma per approdare in Chianti Classico. Insieme a loro in cucina c’è anche Francesco Galli, chef fiorentino con alle spalle una lunga esperienza iniziata a 16 anni nella trattoria dei genitori. Insomma, due svedesi e un fiorentino sono il trio che anima la cucina del ristorante di Terreno, e dunque i piatti non possono che avere una base toscana con influenze scandinave. Amanda dice che “è bello poter lavorare con verdure fresche di giornata provenienti dal giardino di casa”, e il tocco scandinavo si sente immediatamente proprio nelle verdure, servite rigorosamente croccanti grazie a quelle cotture veloci che ne mantengono intatti profumi e colori. I piatti sono improntati a una incredibile leggerezza, altra caratteristica della cucina scandinava dopo che la nouvelle vague danese l’ha totalmente rivoluzionata riuscendo a puntare tutti i riflettori internazionali sui paesi del nord Europa, diventati meta dei gourmet di tutto il mondo.

PictureIl petto e la coscia d'anatra
Ed ecco il menù che ci è stato proposto oggi per la festa di Mezza Estate:
​Pane duro fatto in casa aromatizzato al finocchio, insalata di barbabietole e polpette di carne
Tortino di patate croccanti con verdure dell’orto, panna acida al limone
Tortelli ripieni di fave, bietole e ricotta con salsa di pecorino, noci tostate e miele di castagno
Petto d’anatra cotto in padella, cosce cotte a fuoco lento con aromi servite con carote grigliate, fagiolini verdi e ciliegie agrodolci
Fragole fresche con crema di limone, panna montata e meringhe
 
I piatti sono stati naturalmente accompagnati dai vini dell’azienda: Terreno Metodo Classico 2012, Terreno Chianti Classico ASofia 2015, Terreno Bianco Professore IGT 2016, Terreno Chianti Classico Riserva 2015 e Terreno Vinsanto 2012.

Il ristorante è aperto tutti i giorni dal martedì al sabato a pranzo e a cena dal 1° maggio al 31 ottobre.
Per prenotare: 335 1536335, info@terreno.se

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Sofia Ruhne
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Georgia ed Armenia a Firenze

3/11/2019

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Khaciapuri
Cosa sappiamo della Georgia e dell’Armenia? Poco, in genere, ma per fortuna Firenze offre la possibilità per cominciare a entrare in contatto con queste due culture un tempo estremamente lontane e confuse nel nostro immaginario collettivo e oggi invece sempre più vicine. Si chiama Ararat, ed è un ristorante in Borgo La Croce che da più di un anno propone cucina armena e georgiana e che ora, grazie a una nuova gestione, intende diventare un punto di riferimento per tutti coloro che vogliano capire meglio queste due popolazioni. Gli arredi in questo senso sono illuminanti: nella sala posta al primo piano dell’edificio che un tempo era una chiesa – lo testimonia anche la grande croce lignea che si trova sotto il tetto in travi – sono riportati l’alfabeto georgiano e quello armeno, per noi incomprensibili ma un primo modo per conoscere e ammirare questi bellissimi caratteri così diversi dai nostri (il menù naturalmente è tradotto). 
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Gli antipasti Pkhali
Ma è lo staff, composto da georgiani e da armeni, che vi aiuterà non soltanto a scegliere i piatti nel menù, ma anche a capire questi due popoli diversi ma con molti tratti comuni. La prima cosa che vi diranno e che in Armenia e in Georgia il cibo è estremamente legato alla socialità e allo stare insieme. Tradizionalmente, tutte le portate vengono poste sulla tavola e le persone si servono liberamente. Il menù di Ararat comunque è suddiviso tra antipasti, primi, secondi e dessert. Noi abbiamo assaggiato il Pkhali, un classico antipasto georgiano composto da paté di varie verdure (barbabietola, fagiolini, fagioli) arricchiti di spezie e noci frullate, insieme a involtini di melanzana fritta ripieni di pasta di noci. Sono poi arrivati i Khinkali, dei ravioloni anch’essi georgiani di pasta piuttosto spessa prodotta con farina e acqua. Al suo interno una polpetta di carne macinata di manzo e maiale anch’essa arricchita da spezie. Cuocendo, la carne sprigiona un brodetto e la maniera tradizionale di mangiare i Khinkali consiste nel prenderne uno con le mani, addentarlo leggermente e farlo roteare in modo che il brodo si spanda al suo interno. Poi semplicemente lo si mangia. 
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I ravioli Khinkali, www.patriziacantini.it
Sono invece armeni i Tolma, degli involtini di carne e verdure avvolti in foglie di vite. E’ poi arrivato il Khaciapuri, la focaccia armena dalla classica forma a barchetta fatta con pasta lievitata (non troppo diversa da quella della nostra pizza) cosparsa da formaggio sbriciolato e uova. In questo caso il menù recita: “Si mangia staccando le due estremità e mescolando l’uovo insieme al formaggio”. Insomma, anche in questo caso bisogna usare le mani.
Il tutto viene accompagnato da vino georgiano, provenienti dalla regione di Kakheti, considerata un po’ la Toscana della Georgia per la produzione di vini rossi. Il vitigno principe è il Saperavi, che viene vinificato in anfore di terracotta. Ne ho assaggiato una versione assai gradevole priva di invecchiamento in legno, estremamente bevibile e praticamente privo di tannini. Poi ci hanno servito un Saperavi con tre anni di invecchiamento in legno, un vino naturalmente più complesso e con una maggiore gradazione alcolica.
Il luogo è molto gradevole per colori tenui e arredi, ma è il personale che mi ha soprattutto colpita, perché ognuno di loro ha una gran voglia di farci conoscere la loro cultura, e il cibo, come è risaputo, rappresenta il primo e più diretto mezzo per entrare in contatto con una diversa civiltà.
Ararat, Borgo La Croce 32r, tel. 375 5721739
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La sala al piano superiore
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La pizza di Michele Leo a Firenze da Santarpia

12/12/2018

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La pizza Profumi del Mediterraneo, foto di Andrea Hardkore Pacini
Pare che chi sia stato in giovane età colpito dal fuoco sacro dei lievitati, non possa che concedersi tutto a questa passione e continuare per l’intera vita ad alimentarne la fiamma. A questa categoria di sacerdoti del tempio dei lievitati appartiene Michele Leo, da pochissimo approdato a Firenze presso le “fiamme” di Santarpia. Michele Leo, faccia da bravo padre di famiglia e occhi dolci da babà, è infatti il nuovo mastro pizzaiolo del locale fiorentino di piazza Ghiberti, aperto nel 2015 da Pietro Baracco e Simone Fiesoli. Nato naturalmente a Napoli, dove ha iniziato la sua carriera fino ad approdare alla Città del Gusto e alla Pizzeria di Palazzo Petrucci, si è poi trasferito a Bologna per seguire il progetto Mozzabella, una pizza a taglio concepita con un impasto che unisce croccantezza a sofficità. Ma come nel derby calcistico dell’Appennino a volte vince il Bologna e a volta la spunta la Fiorentina, stavolta Firenze ha vinto sull’eterna rivale emiliana portandogli via un vero e proprio gioiello. 
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Simone Fiesoli, Michele Leo e Pietro Baracco, foto di Andrea Hardkore Pacini
L’incontro tra Michele, Pietro e Simone dunque unisce un maestro indiscusso della pizza a due imprenditori alla costante ricerca di prodotti di grande qualità. L’impasto magico di Michele si sposa in maniera naturale con gli ingredienti che già avevano fatto conoscere e amare la pizzeria Santarpia. La novità è che ci sarà un menù di pizze stagionali, perché la stagionalità vale anche per le pizze, qualora per pizza si intenda un prodotto di elevata qualità e non un cibo da battaglia da sfornare in serie.
Nel periodo delle feste ci sono quattro pizze speciali, una delle quali con il baccalà e un’altra con broccoli e peperoni cruschi, ma passate le ritualità natalizie arriveranno quella ai profumi del Mediterraneo - con pomodoro, provola affumicata, olive taggiasche, capperi, pomodorini gialli e rossi, filetti di alici di Cetara e origano – quella con i carciofi (i carciofi sono freschi e prima saltati in padella), guanciale e pecorino e quella con la tartare di Scottona e pesto frutto della vicinanza con  la Macelleria di Luca Menoni del Mercato di Sant’Ambrogio. Siamo dunque di fronte a delle pizze pensate in base a prodotti di qualità selezionati con attenzione, che vanno a comporre armonie sapienti e spesso inedite. 
Le pizze di Michele sono un atto d’amore: il profumo del cornicione è un tuffo in un passato mitico in un cui la pasta aveva innanzi tutto un significato religioso ed era un rito comune alle famiglie. Oggi la pasta da pizza è diventata un’arte, e non a caso la regina di Napoli è diventata patrimonio immateriale dell’umanità. Ma a differenza dei pizzaioli del passato – dei quali Michele racconta che mentre preparavano la pasta avevano sempre una scusa per allontanare gli aiutanti in modo che il segreto non venisse rivelato – lui vuole insegnare agli altri affinché l’arte possa tramandarsi alle generazioni future. Allora mi è venuta in mente la mia amica chef Lucia Antonelli della Taverna del Cacciatore di Castiglion dei Pepoli, conosciuta come la regina dei tortellini, che riconosce come uno dei peggior difetti degli chef quello di non voler raccontare i propri segreti di cucina per paura di crearsi troppi rivali. E così torniamo al derby dell’Appennino, visto che Castiglion dei Pepoli si trova in provincia di Bologna.
E allora faccio un appello a tutti i fiorentini: trattiamolo bene questo gioiello che abbiamo rubato a Bologna, andiamogli incontro con lo stesso sorriso che lui ci regala dal suo bancone infarinato e non facciamocelo rubare. Ce ne pentiremmo amaramente. 

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La Cosacca, foto di Andrea Hardkore Pacini
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Un giovane chef francese (in famiglia)

8/10/2017

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Tom Murcia, www.patriziacantini.it
Lo chef Tom Murcia è nato a Montpellier nel 1990. Lo dico subito: Tom è il figlio del fratello di mio marito, e quindi per me è un nipote acquisito. Senza dubbio ho molta simpatia per questo giovane che ha deciso di dedicare la sua vita alla cucina, ma se ne scrivo qui è perché dopo aver finalmente avuto la possibilità di degustare i suoi piatti nel ristorante che ha aperto nel 2016 a Lavérune, un piccolo borgo alle porte di Montpellier, mi è risultato evidente come Tom sia davvero bravo.
La carriera di Tom è iniziata molto presto, perché ad appena 15 anni ha fatto la sua comparsa nella cucina del ristorante Le Mas de Baume a Ferrières Le Verreries. Qui ha appreso il mestiere lavorando a contatto con lo chef Eric Tapie, per poi passare a fare esperienza di pasticceria e cioccolateria a Montpellier, presso la pasticceria Valgallier. Infine è approdato al ristorante Le Grand Arbre – sempre a Montpellier – dove è rimasto quattro anni a fianco dello chef Rudy Gounel, arrivando anche a ricoprire il ruolo di responsabile dell’acquisto delle carni.

PictureLa cucina a vista del Restaurant Couleurs d'Ici, www.patriziacantini.it
Insomma, una passione per la cucina nata presto. Ricordo ancora molto bene quando nel 2004, ospite a casa del fratello di mio marito, decisi di fare delle tagliatelle. Tom prima si mise a guardarmi, e poi iniziò a impastare insieme a me in maniera assolutamente naturale. Io ne rimasi sorpresa, perché non mi aspettavo di essere aiutata da un ragazzino di 14 anni. Evidentemente lo conoscevo poco.
Dunque l’anno scorso Tom si è sentito pronto a fare il salto di qualità e ad aprire il suo primo ristorante, che si chiama Couleurs d’Ici e che si trova appunto a Lavérune. Se andate sul sito del ristorante (www.couleursdici-restaurant.com) avrete facilmente un’idea dell’ambiente e dell’anima che Tom ha voluto dare a questo suo primo locale. Cucina a vista, separata dalla sala da un bancone dipinto di azzurro, ambiente e apparecchiature informali, tavoli e sedie di stile moderno che ben si armonizzano con le pietre dei muri. In tutto una trentina di posti a sedere tra piano terreno e primo piano. Al piano superiore un angolo con poltrona e divano di fronte a un caminetto invitano al relax, e rispecchiano il carattere di questo giovane uomo dal sorriso da fanciullo. Un sorriso aperto con un lieve accento di timidezza, dietro a cui si cela evidentemente una volontà ferrea di farsi conoscere ad apprezzare.


Insieme a lui lavorano un altrettanto giovane ragazzo in cucina e una ragazza in sala. La fidanzata di Tom Élodie Jacquot aiuta in sala nei momenti liberi dal lavoro. Insomma, un ristorante di giovani. La carta viene rinnovata ogni mese, e Tom segue le stagioni cercando di attenersi ai prodotti che il mercato offre. Le ispirazioni sono molteplici, e spaziano da alcuni piatti tipicamente francesi come il magret de canard ad altri che Tom ha conosciuto nel corso dei viaggi fatti con Élodie. Dalla Sicilia, per esempio, è tornato con gli arancini, che lo scorso inverno ha messo in carta dandone una sua interpretazione con ripieno di gamberetti. 
Il menù a 32 euro comprende il classico trinomio francese: entrée, plat e dessert. Il dessert – come spesso avviene in Francia – può essere sostituito da formaggio. La presentazione dei piatti è molto curata, come potete facilmente intuire dalle foto. I piatti sono assai ben fatti, i sapori molto ben armonizzati, ottima la consistenza delle salse e perfetta la cottura di pesci, carni e verdure. Insomma, una cucina concreta, senza eccessi intellettuali e con una tecnica sicura, che promette molto bene per l’avvenire.
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Magret de canard
Mi fermo qui perché trattandosi di un nipote non vorrei passare per la classica vecchia zia italiana, però vi consiglio, se passate da Montepellier, di andare da Tom ad ascoltare la sua voce bassa e tranquilla, e di farvi deliziare dai suoi piatti. Sono sicura che non ne resterete delusi. Personalmente auguro a Tom e a Élodie un grande futuro.
COULEURS D'ICI
Impasse de la Résistance
34880 Laverune
 
Tel : 04.67.27.57.23
 
Email : contact@couleursdici-restaurant.com  

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La Villa Medicea di Lilliano

5/4/2016

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PictureLa Villa Medicea di Lilliano a Bagno a Ripoli vicino a Firenze
Oggi si parla spesso di offerta turistica integrata, e con tale espressione ci si riferisce principalmente a comuni e a territori che offrono una possibilità di fruizione pressoché completa dei luoghi di interesse. Più rari sono invece i casi di singole aziende che possano vantare al loro interno una simile offerta che spazi dall'arte alle bellezze paesaggistiche, dall'ospitalità alla possibilità di organizzazione di eventi e di cerimonie. Una di queste è in Toscana, alle porte di Firenze, e si chiama Villa Medicea di Lilliano. La villa in origine era la fattoria e il casino di caccia della vicina Villa di Lappeggi e i Medici l'avevano specializzata nella coltura dei fiori che servivano ad abbellire le loro varie residenze. Forse dunque il nome di Lilliano potrebbe derivare da lilium, il fiore del giglio simbolo di Firenze e tanto caro ai Medici. Alcune scene di caccia dipinte sulle porte del corridoio centrale della villa raccontano bene gli svaghi venatori che vi ebbero luogo. Benché documentata fin dal Medioevo e ampliata poi nel Seicento da Ferdinando II, non si hanno molte notizie storiche di Lilliano, Sappiamo solo che nel 1709 vi venne ospitato il re di Danimarca, a dimostrazione di quanto la villa fosse diventata importante e non fosse più considerata dai Medici una dipendenza di Lappeggi.






PictureIl corridoio della villa che porta al giardino.
Acquistata dalla famiglia Malenchini nel 1846, Lilliano divenne al centro di una importante produzione di vino e di olio arrivata fino ai giorni nostri. Oggi la proprietà è di Marina Malenchini, che da anni ricopre la carica di presidente del Consorzio Chianti Colli Fiorentini e che risiede a Lilliano nella stagione estiva. Insieme a Marina lavora in azienda la figlia Diletta, ed è proprio Diletta all'origine della trasformazione della villa in luogo di accoglienza. Diletta racconta che un giorno, parlò a un suo lontano parente argentino (un ramo della famiglia Malenchini si trasferì in Argentina nel XIX secolo) del suo sogno di trasformare Lilliano in un luogo d'eccezione con una offerta turistica integrata che comprendesse case e appartamenti di lusso, spazi per l'organizzazione di matrimoni e di eventi, degustazioni dei prodotti di fattoria e visite alla cantina. Insomma, un progetto che facesse di Lilliano un luogo per turisti alla ricerca di molto più di una semplice vacanza sulle colline intorno a Firenze (la città dista pochi chilometri e la villa si trova nel comune di Bagno a Ripoli). Si dà il caso che quel suo lontano cugino fosse Fernando Malenchini, dello studio di architetti Pondal Malenchini, che ha realizzato il Cavas Wine Lodge di Mendoza, che io ho avuto la fortuna di visitare qualche anno fa. Il Cavas Wine Lodge, immerso tra le vigne di Mendoza ai piedi delle Ande argentine, fa parte della catena dei Relais & Chateaux ed è stato il primo esempio di relais tra le vigne di tutto il Sud America. Quella “innocente” chiacchierata tra lontani cugini si è ben presto trasformata in un progetto, e oggi quel progetto possiamo ammirarlo nel suo insieme.





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Una camera de La Corte
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La Limonaia
Difficile trovare un punto di partenza per la descrizione di Lilliano, proprio perché di un insieme coerente si tratta. Certo che il giardino antistante la villa, con le sue piante di limoni e la fontana, resta uno dei luoghi più incantevoli di Lilliano. E proprio sul giardino si apre la Limonaia, che è stata eletta ad accogliere matrimoni, fotoshooting, cerimonie ed eventi. Da poco il comune di Bagno a Ripoli ha dato a Lilliano l'autorizzazione a celebrare matrimoni, e questo significa che gli sposi possono convolare a nozze direttamente alla villa alla presenza di un ufficiale del Comune. Ma per organizzare un matrimonio non occorre soltanto un bel luogo, e Lilliano ha deciso di contornarsi di uno staff di professionisti importanti, ognuno dei quali svolge un ruolo fondamentale all'interno dell'organizzazione. Prima di tutto Eric Veroliemeulen, l'estate manager di Lilliano, olandese di nascita ma ormai toscano da anni e con importanti esperienze alle spalle nel settore. Eric non è soltanto un direttore, perché possiede una naturale propensione a “curare” gli ospiti in ogni loro passo all'interno della tenuta. Premuroso e creativo, Eric è dotato anche di una spontanea simpatia che coinvolge subito al primo incontro. Impossibile non sentirsi a proprio agio con lui. Insieme a Eric, il deus ex machina di Lilliano, collabora Daniela Tripodi, la wedding planner di The Tuscan Wedding (www.thetuscanwedding.com). Al contrario di Eric, Daniela è fiorentina di nascita ma ha alle spalle anni di lavoro all'estero, fino a quando non ha deciso di tornare e di fondare la sua agenzia che oltre a matrimoni organizza eventi di varia natura. Professionale e attentissima ai particolari, Daniela esprime fiducia e serenità. Parlare con lei significa immergersi in un mondo - quello dei matrimoni e in maniera particolare dei matrimoni di stranieri che eleggono Lilliano come posto per il loro giorno più importante – che ha risvolti sorprendenti, fatti di esigenze grandi e piccole alle quali bisogna essere pronti a rispondere immediatamente. E Daniela risponde subito, con garbo e delicatezza, trovando la soluzione più opportuna, regalando sorrisi e risolvendo le ansie.


PictureLa cucina di Lilliano
Ma nessun matrimonio può essere celebrato senza una torta, ed ecco che entra in scena Melanie, “la dolce Melanie”. Sposata con lo chef fiorentino Paolo Secciani, Melanie ha il suo laboratorio in via Romana. Lì crea le sue torte nuziali che vanno ben al di là di un semplice dolce da tagliare a quattro mani. Le torte di Melanie Secciani sono infatti vere e proprie creazioni, capaci di intonarsi perfettamente a tutta la coreografia scelta dagli sposi come anche di ispirarsi al paesaggio toscano, riproducendone colori e forme (www.tuscanweddingcakes.com).
Insomma, uno staff a tutto tondo che garantisce che a Lilliano si possa veramente celebrare “il più bel giorno della vita”.
Ma al di là di queste occasioni, il fascino di Lilliano vive tutto l'anno con la sua storia e i suoi panorami, con i suoi grandi Chianti Colli Fiorentini Docg, con lo straordinario olio extra vergine di oliva e con il calore che Marina e Diletta Malenchini insieme ad Eric Veroliemeulen sanno creare. Un calore e un'ospitalità che sono veramente “per sempre”.





Tutte le foto pubblicate nell'articolo sono di proprietà della Villa Medicea di Lilliano
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Johan, uno chef svedese alle Lofoten

3/24/2016

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PictureHenningsvaer by night, www.patriziacantini.it


Henningsvær è uno dei villaggi più pittoreschi delle Lofoten, le isole del nord ovest della Norvegia, sopra il circolo polare artico. Le isole devono la loro fortuna al merluzzo artico, che nei giorni intorno al Natale si sposta verso sud per incontrare acque più calde dove potersi accoppiare. Le acque più calde sono proprio quelle delle Lofoten, che risentono della corrente del golfo, e qui le femmine depongono le proprie uova che poi la stessa corrente riporta verso il mare Artico. La qualità di questo merluzzo è notevole, perché questi pesci arrivano alle isole dopo una lunga nuotata, sono muscolosi e praticamente privi di grasso. La maggior parte del merluzzo viene essiccato all'aria e diventa dunque stoccafisso. Noi italiani siamo i maggiori acquirenti dello stoccafisso delle Lofoten.
Le isole sono maestose, con alte montagne - a volte rocciose a volte coperte di alberi - che arrivano fino al mare. La capitale è Svolvær, nell'isola di Austvågøy, e Henningsvær si trova sulla medesima isola ma più a ovest. E' il classico villaggio di pescatori che con gli anni si è trasformato in un luogo di vacanza. In effetti il merluzzo non rappresenta più la prima fonte economica delle Lofoten, perché il turismo ha creato tutta una serie di attività che vanno ben oltre gli alberghi e i ristoranti. Queste sono isole perfette per chi ama praticare la pesca sportiva, il rafting, la mountain bike, le passeggiate... Insomma, quasi tutto a parte di bagni di mare, naturalmente.

PictureJohan Petrini, foto di Stefano Cellai
La cucina delle isole è basata sul merluzzo e su altri pesci come l'halibut e il salmone, ma alle Lofoten i trovano anche carni locali e vi sono produzioni di formaggi di capra. Come gli altri paesi scandinavi a partire dalla Danimarca, anche la Norvegia partecipa a quel processo di rinnovamento della cucina e delle tecniche di cottura che ha portato gli chef del nord Europa all'attenzione dei foodies di tutto il mondo. La riscoperta di prodotti locali e la nascita di aziende biologiche e biodinamiche hanno reso la cucina del nord Europa estremamente interessante e vivace, e alle Lofoten si possono fare scoperte sorprendenti, come quella del ristorante Fiskekrogen di Henningsvær, regno dello chef Johan Petrini. Johan è svedese, ma come si intuisce dal cognome, la sua famiglia ha origini italiane.



PictureLa zuppetta di pesce, www.patriziacantini.it
La storia della famiglia è abbastanza curiosa perché risale a due fratelli lucchesi che nel 1758 arrivarono alla corte svedese come musicisti. Da allora la famiglia Petrini è rimasta in Svezia arrivando fino ai giorni nostri. Johan si è poi trasferito alle Lofoten circa 8 anni fa e ha lavorato in altri locali di Henningsvær prima di approdare al Fiskekrogen, ristorante elegante e raffinato che si affaccia sul canale che taglia in due il villaggio. Il locale offre l'atmosfera tipica del nord Europa: eleganza sobria ed essenziale e quel calore che soltanto gli scandinavi sanno creare nelle loro case e nei loro locali. Io sono stata al Fiskekrogen nel mese di marzo durante una nevicata, e vi posso assicurare che varcare quella soglia è stato fantastico.


PictureLa casseruola di pesce, www.patriziacantini.it
Uno staff molto giovane, sorridente e premuroso, mette subito di buon umore, ma sono i piatti di Johan a convincere che si è nel posto giusto. Il menù del mese di marzo che ho trovato era naturalmente basato sul merluzzo artico, a partire dalle lingue di merluzzo fritte che si possono mangiare soltanto in questo mese. A questo piatto è legata una storia curiosa, perché sono i bambini a togliere le lingue dalle teste dei merluzzi (che vengono tagliate immediatamente dopo la pesca). Gli abitanti delle Lofoten dicono che questa usanza è nata per avvicinare i bambini all'attività legata al merluzzo, nella quale molti di loro troveranno poi lavoro. Ma è anche un modo per fargli guadagnare qualche soldo, perché sono poi gli stessi bambini che offrono – per circa 5 euro al chilo – le lingue a ristoranti e a privati. Le lingue sono semplicemente impanate con uovo e pan grattato e poi fritte nel burro. Hanno un sapore molto delicato e una bella consistenza. Del merluzzo poi si mangia anche il fegato, che non manca nella carta di Johan, servito insieme a patate bollite. C'è poi il trancio di merluzzo fresco cotto in forno e servito con patate anch'esse al forno, verdure e burro bianco. Io ho assaggiato la zuppa di pesce, una ricetta creata 26 anni fa dalla proprietaria del locale. E' una zuppa delicatissima, con pezzi di merluzzo e halibut in crema di latte con prezzemolo, erba cipollina, porro e carote. Ho poi preso la casseruola di pesce, con cozze, gamberetti, halibut e salmone. Per realizzare questo piatto, Johan si è ispirato a quella che è la tipica base preparata in Norvegia per cucinare il baccalà. Cipolla bianca e pomodoro arricchiti da paprika dolce sono i principali ingredienti nei quali Johan mette a cuocere i pezzi di pesce, i gamberetti e le cozze. All'aspetto potrebbe sembrare simile alle nostre zuppette di mare, ma il sapore è diverso proprio per la presenza della paprika, e probabilmente di altre spezie da considerarsi un segreto di cucina.
Una cena ottima e leggera, con la vista sulle belle case di legno che si affacciano sul canale. Chi ha la fortuna di andarci d'estate può approfittare dei tavoli all'aperto e sicuramente di un'atmosfera più chiassosa di quella che ho trovato io a Henningsvær sotto la neve. Ma non rimpiango niente, perché a me è sembrato tutto perfetto: il calore, i sorrisi e i piatti di Johan. (www.fiskekrogen.net)


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Lucia Antonelli, la maga dei tortellini

3/3/2015

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Lo ammetto subito: stavolta sono di parte. Perché sto per parlare di un ristorante di Castiglion dei Pepoli, sull'Appennino bolognese. Sono di parte perché mia madre è nata a pochi chilometri di distanza, in una frazione del comune di Camugnano che si chiama Trasserra. Ricordo la mia felicità di bambina quando finalmente Trasserra apparve sulle cartine stradali, e io potevo mostrare quel nome sulla carta orgogliosa.

A Trasserra ho passato momenti felici della mia infanzia insieme a mio nonno Guglielmo Venturi, e lì c'è la casa di famiglia dove scappo appena posso. Da un po' sapevo che a Castiglion dei Pepoli c'era una chef da conoscere, la ormai nota Lucia Antonelli della Taverna del Cacciatore che per ben due volte di seguito, quest'anno e l'anno scorso, si è “permessa” di vincere la disfida del tortellino tra Bologna e Modena. Dunque i suoi tortellini non andavano persi. Per altro, visto che i casi della vita a volte sono sorprendenti, una settimana prima della mia visita al ristorante ero da Giorgio Franci, il mitico produttore di extra vergine di Montenero d'Orcia. A un certo punto Giorgio mi parla di un ristorante di Castiglion dei Pepoli dove la chef Lucia una volta in una manifestazione ha presentato il tortellino classico da brodo condito con il suo Villa Magra e una spruzzata di Parmigiano Reggiano.

Sono dunque andata insieme a mia figlia Giorgia e a mio marito Jean-Louis e la cena è stata semplicemente perfetta. Per me la perfezione sta anche nella coerenza del menù con il luogo di appartenenza, e Castiglion dei Pepoli è un posto di frontiera, tra l'Emilia cantata da Guccini e la Toscana del passo della Futa. Qui la sfoglia si incontra con la caccia, e al tortellino in brodo rispondono i cervi e i colombacci. Lucia ha lavorato con sapienza e intelligenza sulle tradizioni locali e quando ha deciso di “andare oltre” lo ha fatto comunque pescando nella tradizione. Prendiamo per esempio i tortelli di patate al ragù di cinghiale. Ottimi, naturalmente, ma Lucia cosparge il piatto di sottilissime scaglie di cioccolato fondente richiamandosi con evidenza al cinghiale in dolce e forte tipico della Toscana. Il risultato mi è sembrato sinceramente perfetto. Come perfetti sono i suoi tortellini in brodo, nel cui ripieno Lucia non mette prosciutto, con mia grande meraviglia ma senza alcun rimpianto, visto la bontà. I tortellini conditi con il Villa Magra, che lei porta in tavola, sono comunque cotti nel brodo e noi abbiamo fatto una prova. Abbiamo lasciato in fondo al piatto un po' di tortellini e abbiamo sorbito tutto il brodo prima di aggiungervi un po' di extra vergine di Giorgio Franci. Il risultato è stato estremamente interessante perché questo straordinario olio aggiunge un tocco al sapore del tortellino cotto nel brodo senza sovrastarlo , al contrario arricchendolo e rendendolo intrigante.

Lo spezzatino di cervo cotto nel latte ci è sembrato delizioso, ma il colombaccio al forno servito su una fetta di pane toscano è stato un must indimenticabile. E poi il roastbeef di cervo, lo sformato di patate e funghi porcini, e i dolci classici come il latte alla portoghese: tutto è stato ottimo, e nonostante le porzioni piuttosto abbondanti ci siamo alzati in perfetta forma e con la certezza di voler tornare presto.

Lucia Antonelli ha scritto un libro di ricette che si intitola “Cucina di frontiera. Ricette di montagna e di tradizione”, che abbiamo acquistato. Solo leggere i titoli di alcuni piatti mi fa tornare alla mente ricordi lontani di quando fremevo per arrivare a Trasserra e la strada sembrava non finire mai. La braciadella, per esempio, quella ciambella semplice nella cui preparazione mia nonna Cesara era maestra. Quella bella nonna partita troppo presto e mai dimenticata. E poi gli immancabili zuccherini, i dolcetti da matrimonio cotti nel forno da pane e poi intinti in uno sciroppo di acqua e anice. Si racconta che dal numero di zuccherini offerti agli ospiti si volesse evidenziare lo status sociale degli sposi. Ai matrimoni più ricchi se ne offrivano ben cinque; in quelli più poveri non si andava oltre uno zuccherino a testa. Tutti gli altri stavano nella via di mezzo. Alla festa del nostro matrimonio a Trasserra io e Jean-Louis ne abbiamo offerti tre, perché entrambi viviamo in terre di mezzo, lui tra Francia e Italia, e io tra Emilia e Toscana. Quegli zuccherini erano fatti da un'altra persona indimenticabile, Emilia, una cugina di mia madre, ed è stato uno dei più grandi regali ricevuti.

Lucia ha regalato a mia figlia Giorgia (che forse ha ereditato dalla bisnonna Cesara la maestria per i dolci) un barattolo di semi di anice. L'ho preso come un passaggio di consegne, un segno di continuità. E prima o poi arriveranno anche gli zuccherini di Giorgia, o forse i nostri, non so.

Voglio solo ringraziare Lucia per quelle belle ore passate nel suo ristorante. Non è stata solo una cena, è stata la felicità di conoscere qualcuno che sa trasmettere i valori del suo luogo. Quello stesso luogo che io amo e al quale sento di appartenere. (www.ristorantetavernadelcacciatore.it)

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O Z'EPICES, un giovane ristorante a Guadalupa

1/29/2015

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Jimmy Bibrac è un giovane e talentuoso chef di Guadalupe, e il suo ristorante O Z'Epices si trova in un punto magnifico della costa di Basse Terre, in una località che si chiama Falaise Bouillante. Il locale è aperto sul mare, tutto in legno e alla prima occhiata ricorda un po' quei nostri ristoranti sulla spiaggia collegati ai bagni. Quelle che oggi chiamiamo “baracche”, utilizzando il termine nella sua accezione più positiva. La baracca sul mare è oggi diventata luogo chic e di alta cucina, e se vi capita di andare a Guadalupa la cucina di Jimmy non va assolutamente perduta. La sua formazione scolastica è avvenuta nell'isola, ma Jimmy ha poi lavorato in due ristoranti stellati in Francia, nella “Métropole”, la madrepatria, come la chiamano qui. L'amore per la sua terra e la tecnica appresa nella Métropole hanno creato una miscela fantastica, e i piatti di Jimmy ne sono la testimonianza. Non soltanto conosce alla perfezione tutti i prodotti locali, ma ha appreso anche i tanti poteri medicamentosi di piante e spezie. Miscelandoli sapientemente Jimmy è in grado prima di tutto di regalare al palato degli ospiti un'esperienza esaltante, e poi anche di prendersi cura della loro salute. Jimmy dice che “mangiando quello che proviene da un raggio di 50 chilometri è possibile anche curarsi”, o almeno di poter mantenere in forma il proprio fisico seguendo una dieta sana e calibrata. La sua attenzione ai prodotti locali è meticolosa, e il suo rapporto con i produttori è quotidiano. Nascono così meraviglie come la tartare di Marlin con spezie e salsa di agrumi misti, palline di avocado e pompelmo e chips ottenute da una radice locale chiamata Mader. La padella di frutti di mare con una piccola aggiunta di curcuma è incredibilmente buona ed è uno di quei piatti eccellenti che avrei voluto non finisse mai. Ottimi i dolci e bellissima la presentazione di tutti i piatti. Insomma, O Z'Epices è il mio ristorante preferito di Guadalupa. Se mai ci tornerò non mancherò certo di tornare alla baracca rossa di Jimmy. (Per informazioni turistiche su Guadalupa visitare i siti www.leisolediguadalupa.it e www.rendezvousenfrance.com).

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Il Lysverket di Bergen, in Norvegia

10/27/2014

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Sono appena rientrata da Bergen e in cinque giorni ho fatto una vera e propria full immersion nella cucina norvegese, e soprattutto in quella di mare. Ho avuto la fortuna di conoscere lo chef Christopher Haatuft, che nel giugno del 2013 ha aperto il ristorante Lysverket. Il locale si trova all'interno di uno dei quattro edifici denominati KODE che ospitano altrettante collezioni di arte moderna e contemporanea di Bergen. Una sorta di “strada dell'arte” che si affaccia su un ampio laghetto artificiale dove al sabato gli abitanti si divertono ad andare in canoa, noncuranti di vento e pioggia. Christopher ha 34 anni e ha lavorato a New York, e da questa esperienza ha riportato in patria “disciplina e organizzazione” (sono parole sue). Il locale è arredato in perfetto stile scandinavo, con un minimalismo che ben si accorda all'edificio che lo ospita e che “non permette” l'uso delle tovaglie. Lysverket è senza dubbio uno dei migliori ristoranti di Bergen ed è noto soprattutto per la sua cucina di pesce. La carne occupa un posto di assoluto secondo piano. In Norvegia i ristoranti normalmente presentano una carta che permette di scegliere tra un menù di 3 o 5 portate, ma al Lysverket si può optare anche per un menù da nove portate, soltanto una delle quali è di carne.
Christopher definisce la sua cucina classica con qualche tocco di modernità. Non avendo esperienza di cucina classica norvegese per me è difficile capire dove finisce la tradizione e dove invece comincia la modernità, ma l'impressione che ho avuto assaggiando i piatti di questo simpatico chef direi che in essi si ritrova una creatività mai fine a se stessa e mai la semplice voglia di stupire. Nei piatti di Christopher c'è intelligenza, capacità di abbinare i sapori senza sacrificarne nessuno e anche tanta tecnica. I suoi piatti di pesce, di molluschi e di crostacei sono semplicemente buonissimi e anche molto belli da guardare.
La ricerca degli ingredienti è capillare. Molti dei prodotti utilizzati provengono da fattorie della regione di Bergen che lavorano in regime di biologico. Il pane è fatto direttamente nel ristorante, anche utilizzando farine da grani antichi macinati a pietra. In alcuni casi Christopher è riuscito anche a mettere in piedi delle collaborazioni con alcune aziende locali. Per esempio con il birrificio artigianale di Voss, la Voss Bryggeri di Jeanette Lillås e Dag Jǿrgensen. La ricetta di questa pale ale è stata messa a punto nel ristorante per abbinarsi perfettamente ad alcuni piatti a base di frutti di mare come i ricci, e la birra può essere degustata soltanto al ristorante o presso il birrificio. Un sommelier esperto è in grado di consigliare i migliori abbinamenti tra cibo e vino o tra cibo e birra. Tra i piatti che ho assaggiato i migliori mi sono sembrati i ricci di mare di Steigen, nel nord della Norvegia, serviti sopra una panna cotta di granchio con una leggera glassatura di prezzemolo: decisamente ottimo. Notevole anche lo scampo con topinambur su salsa fatta con la testa e la corazza dello scampo: delizioso.
Infine, per dare al locale un tocco personale e soprattutto renderlo un ambiente fuori dal comune, Christopher ha deciso di aprirlo, il venerdì e il sabato, anche al ballo. Dopo cena, intorno alle 23, la cucina viene chiusa e il Lysverket si trasforma in un locale dove si può ballare e sedere ai tavoli sorseggiando un drink. Insomma, è un luogo delizioso e informale, con un servizio ai tavoli brillante e giovane. La cameriera spagnola Carmen, originaria di San Sebastián, non si fa dimenticare. Insomma, se andate a Bergen, il Lysverket è un ristorante da non perdere. www.lysverket.no.


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Andrias, lo chef delle Faroe

10/7/2014

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Ormai tutti sanno che il nord Europa, e la Danimarca in maniera particolare, è uno dei luoghi più amati dai gourmet. Se il Noma di Copenaghen ha creato il mito della cucina del Nord, ci sono molti altri ristoranti scandinavi che meritano di essere visitati per rendersi conto della creatività degli chef che qui sono nati e lavorano. Quest'estate ho avuto la fortuna di visitare le Faroe (Føroyar in lingua locale e Fær Øer in danese), ossia quelle “isole remote” - pare che il loro nome significhi infatti proprio questo – sperse nel Mare del Nord oltre le Shetland. Dal 2013 esiste un collegamento diretto tra Malpensa e Vagar che funziona una volta alla settimana nei mesi di luglio e di agosto. E' una vacanza da mettere in programma, perché i panorami sono unici e restano impressi nella memoria come qualcosa di non cancellabile. La capitale delle Faroe si chiama Tórshavn, nell'isola di Streymoy, e se non fosse per la sua parte più antica potrebbe assomigliare a molte altre cittadine portuali della Scandinavia. Ma sono le piccole case che si affacciano su vicoli e piazzette della parte più antica della città – quelle case con il tetto coperto di erba per appesantire i tetti e proteggerli dalle tempeste di vento – che fanno di Tórshavn una città unica e irripetibile, come irripetibili sono tutti gli scorci di queste 18 isole e isolette battute dai venti. Scriverò più ampiamente delle isole nella sezione viaggi di questo sito, perché qui invece voglio concentrarmi su Poul Andrias Ziska, il giovanissimo chef (ha 24 anni) di Koks, il ristorante dell'Hotel Føroyar che si trova appunto sulle colline che dominano la capitale. Andrias lavora in cucina insieme al socio Áki Herálvsson, e la cena da Koks è stata una delle migliori esperienze gastronomiche della mia vita.
In una terra quasi priva di alberi (tira troppo vento) e molto avara in quanto a prodotti (patate, rape, fragole e poco altro), Andrias è riuscito, senza dimenticare le tradizioni locali, a creare una cucina tutta sua, con ingredienti per la gran parte di provenienza locale e attrezzandosi anche una piccola serra per verdure, mentre spezie come il rosmarino e la salvia e altra sono stati piantati in giardino. E' chiaro che il pesce non manca, visto che la pesca è la principale fonte economica delle isole, ma in quanto a carne e verdure le Faroe non offrono molte varietà. Ancora oggi il 60% del consumo di carne è basato su pecora e agnello, le mucche sono poche e non si producono formaggi, se non a livello familiare e senza commercializzazione.
Allora Andrias ha deciso di partire da quello che già esisteva rivisitandolo in maniera moderna e personale. I suoi menù sono formati da una decina di piatti, molti a base di pesce, nei quali la sua capacità innovativa e il suo formidabile sesto senso si sono espressi in maniera particolare nelle tecniche di cottura e nell'abbinamento dei sapori. Cibo tipico delle Faroe è la carne di agnello essiccata all'aria. Ho avuto l'occasione di assaggiarla in un altro ristorante e sono rimasta a dir poco perplessa. La carne viene messa a essiccare nel mese di ottobre, quando la temperatura è intorno agli 8-10 °C. Nei primi dieci giorni la carne subisce un processo di fermentazione che può lasciare sentori non gradevoli e il risultato non sempre è garantito. Andrias invece la serve in versione essiccata e caramellata, e diventa un piatto gustosissimo ed estremamente particolare. Sono rimasta folgorata dall'assaggio delle scallops (una sorta di capasanta locale) cucinate con alghe essiccate e cavolfiore. L'armonia dei sapori era unica, e il piatto in sé era semplicemente geniale. Ma il piatto che più mi ha fatta innamorare è stato lo scampo. Alle Faroe il processo di affumicatura è molto usato, e non soltanto per il classico salmone. Come rendere l'affumicatura una tecnica moderna e non invasiva? Ci ha pensato Andrias, facendola diventare una sorta di breve fuoco d'artificio utilizzando un piccolo rametto di pino marittimo essiccato. All'interno di coppette di pesante ceramica da forno, Andrias pone dei sassi levigati dal mare. Coppette e sassi vengono resi caldissimi nel microonde. Una volta caldi, lo scampo, privato della sua corazza, viene adagiato sulle pietre, viene dato fuoco al rametto di pino e subito le coppette vengono chiuse con il coperchio e portate in tavola. Una volta tolto il coperchio, il profumo del pino si diffonde e riempe delicatamente le narici, lo scampo è appena cotto e ha preso il profumo del pino, senza invasioni e senza alterazioni nel sapore delicato della sua carne. Se non è poesia questa, ditemi voi cos'è.





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