E' per me sempre un piacere andare a visitare un nuovo ristorante, e quindi ho subito risposto sì all'invito dell'amica e collega Valentina Paolini quando mi ha chiamata per la presentazione di CIBI, locale fiorentino con il bel sottotitolo di “Cose di cucina in Santo Spirito”. Per chi non è di Firenze e non conosce questo bello e storico quartiere dell'Oltrarno, bisogna subito dire che queste strade e stradine, piazze e piazzette, hanno un fascino unico. Lontane da quel turismo di massa che vede scorrere centinaia di imbambolati seguaci di ombrelli o palette-guida agghindati dalle loro immancabili cuffiette, Santo Spirito è ancora per molti versi un quartiere fiorentino, assai più simile al vicino San Frediano o ad alcune parti di Santa Croce che al definitivo triangolo d'oro dove mangiare bene è diventato pressoché impossibile.
Il nome CIBI deriva dal semplice fatto che gli 8 soci proprietari non sono riusciti a mettersi d'accordo sul nome e hanno trovato che questo – che può essere scritto anche CB – risulta assai evocativo e ognuno può leggerci un po' quel che vuole. Ma il richiamo alla tavola naturalmente è quello che deve scattare prima di tutti gli altri. Il locale si apre in via delle Caldaie, che i fiorentini del rione conoscono bene anche per aver ospitato per decenni la sede della divisione export di Gucci. La strada è appunto una delle tante viuzze che costellano Santo Spirito e che si apre non lontano da quella piazza con la bella chiesa che dà nome all'intero quartiere. Il ristorante occupa quelli che erano gli spazi di un fabbro e di un fornaio e dispone anche di un cortile interno che d'estate si animerà di tavolini. Io amo questi piccoli cortili fiorentini, dai quali si può ammirare il bucato della signora del primo piano e le piante curatissime di quella del secondo. Mi piace entrare un po' nell'intimità di famiglie che non conosco e per me che abito proprio nella zona più turistica del centro fiorentino recuperare – anche solo per qualche ora – la sensazione di vivere in una città a misura d'uomo è impagabile.
Tra le parole dette nel corso della presentazione ai giornalisti da Lirio Mangalaviti, uno degli otto soci fondatori di CIBI, quelle che mi hanno colpito di più sono proprio relative alla vita del quartiere. Nelle intenzioni degli proprietari, infatti, c'è l'idea di armonizzare il locale alle esigenze del quartiere. Segno di buona capacità imprenditoriale e, soprattutto, di buon senso, che di questi tempi all'insegna della volgarità e del delirio non è una cosa da poco.
Attualmente CIBI apre alle 10 per la colazione e offre pranzo e cena a orari canonici, ossia dalle 12.30 alle 15.00 e dalle 20.00 alle 23.00. Ma i proprietari intendono incrementare l'ora del tè e dell'aperitivo e arrivare a una apertura non stop perché vorrebbero che CIBI diventasse un vero e proprio luogo di ritrovo, dove andare a bere un calice di vino, scambiare quattro chiacchiere, leggere il giornale o un libro... Insomma, un luogo aperto, dove non ti senti dire alle 10 di sera che la cucina è chiusa.
E' un po' il concetto dell'osteria di una volta, in un'ambientazione assolutamente moderna che mi ha fatto ricordare alcuni locali visitati in Danimarca. Dinamico ed essenziale, con i toni caldi del tanto legno usato. Naturalmente ho avuto la possibilità di assaggiare qualche piatto, perché comunque di un ristorante si tratta. Mi è parsa una cucina buona, con menù diversi da pranzo e cena e con un occhio di riguardo ad alcuni ingredienti tipicamente toscani, la qual cosa naturalmente non mi è dispiaciuta. Senza scadere nella ribollita osannata da ogni ristorante turistico che si rispetti, è piacevole trovare un cavolo nero saltato in padella e servito croccante: un ingrediente toscano trattato in maniera moderna. I prezzi serali non sono proprio bassi, ma mi assicurano che le porzioni sono generose e quindi con un piatto e un dessert si è a posto.
E poi si è in via delle Caldaie, che trovo un nome così dolcemente evocativo di un tempo irrimediabilmente perduto che tuttavia possiamo far rivivere sedendosi a un tavolino di CIBI e aprendo il nostro animo alla convivialità e al desiderio di scambiare quattro chiacchiere anche con i commensali del tavolo accanto.
A ognuno la propria madeleine, io ho il cavolo nero.
Il nome CIBI deriva dal semplice fatto che gli 8 soci proprietari non sono riusciti a mettersi d'accordo sul nome e hanno trovato che questo – che può essere scritto anche CB – risulta assai evocativo e ognuno può leggerci un po' quel che vuole. Ma il richiamo alla tavola naturalmente è quello che deve scattare prima di tutti gli altri. Il locale si apre in via delle Caldaie, che i fiorentini del rione conoscono bene anche per aver ospitato per decenni la sede della divisione export di Gucci. La strada è appunto una delle tante viuzze che costellano Santo Spirito e che si apre non lontano da quella piazza con la bella chiesa che dà nome all'intero quartiere. Il ristorante occupa quelli che erano gli spazi di un fabbro e di un fornaio e dispone anche di un cortile interno che d'estate si animerà di tavolini. Io amo questi piccoli cortili fiorentini, dai quali si può ammirare il bucato della signora del primo piano e le piante curatissime di quella del secondo. Mi piace entrare un po' nell'intimità di famiglie che non conosco e per me che abito proprio nella zona più turistica del centro fiorentino recuperare – anche solo per qualche ora – la sensazione di vivere in una città a misura d'uomo è impagabile.
Tra le parole dette nel corso della presentazione ai giornalisti da Lirio Mangalaviti, uno degli otto soci fondatori di CIBI, quelle che mi hanno colpito di più sono proprio relative alla vita del quartiere. Nelle intenzioni degli proprietari, infatti, c'è l'idea di armonizzare il locale alle esigenze del quartiere. Segno di buona capacità imprenditoriale e, soprattutto, di buon senso, che di questi tempi all'insegna della volgarità e del delirio non è una cosa da poco.
Attualmente CIBI apre alle 10 per la colazione e offre pranzo e cena a orari canonici, ossia dalle 12.30 alle 15.00 e dalle 20.00 alle 23.00. Ma i proprietari intendono incrementare l'ora del tè e dell'aperitivo e arrivare a una apertura non stop perché vorrebbero che CIBI diventasse un vero e proprio luogo di ritrovo, dove andare a bere un calice di vino, scambiare quattro chiacchiere, leggere il giornale o un libro... Insomma, un luogo aperto, dove non ti senti dire alle 10 di sera che la cucina è chiusa.
E' un po' il concetto dell'osteria di una volta, in un'ambientazione assolutamente moderna che mi ha fatto ricordare alcuni locali visitati in Danimarca. Dinamico ed essenziale, con i toni caldi del tanto legno usato. Naturalmente ho avuto la possibilità di assaggiare qualche piatto, perché comunque di un ristorante si tratta. Mi è parsa una cucina buona, con menù diversi da pranzo e cena e con un occhio di riguardo ad alcuni ingredienti tipicamente toscani, la qual cosa naturalmente non mi è dispiaciuta. Senza scadere nella ribollita osannata da ogni ristorante turistico che si rispetti, è piacevole trovare un cavolo nero saltato in padella e servito croccante: un ingrediente toscano trattato in maniera moderna. I prezzi serali non sono proprio bassi, ma mi assicurano che le porzioni sono generose e quindi con un piatto e un dessert si è a posto.
E poi si è in via delle Caldaie, che trovo un nome così dolcemente evocativo di un tempo irrimediabilmente perduto che tuttavia possiamo far rivivere sedendosi a un tavolino di CIBI e aprendo il nostro animo alla convivialità e al desiderio di scambiare quattro chiacchiere anche con i commensali del tavolo accanto.
A ognuno la propria madeleine, io ho il cavolo nero.