Patrizia Cantini Wine & Food Communication
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Lucia Antonelli, la maga dei tortellini

3/3/2015

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Lo ammetto subito: stavolta sono di parte. Perché sto per parlare di un ristorante di Castiglion dei Pepoli, sull'Appennino bolognese. Sono di parte perché mia madre è nata a pochi chilometri di distanza, in una frazione del comune di Camugnano che si chiama Trasserra. Ricordo la mia felicità di bambina quando finalmente Trasserra apparve sulle cartine stradali, e io potevo mostrare quel nome sulla carta orgogliosa.

A Trasserra ho passato momenti felici della mia infanzia insieme a mio nonno Guglielmo Venturi, e lì c'è la casa di famiglia dove scappo appena posso. Da un po' sapevo che a Castiglion dei Pepoli c'era una chef da conoscere, la ormai nota Lucia Antonelli della Taverna del Cacciatore che per ben due volte di seguito, quest'anno e l'anno scorso, si è “permessa” di vincere la disfida del tortellino tra Bologna e Modena. Dunque i suoi tortellini non andavano persi. Per altro, visto che i casi della vita a volte sono sorprendenti, una settimana prima della mia visita al ristorante ero da Giorgio Franci, il mitico produttore di extra vergine di Montenero d'Orcia. A un certo punto Giorgio mi parla di un ristorante di Castiglion dei Pepoli dove la chef Lucia una volta in una manifestazione ha presentato il tortellino classico da brodo condito con il suo Villa Magra e una spruzzata di Parmigiano Reggiano.

Sono dunque andata insieme a mia figlia Giorgia e a mio marito Jean-Louis e la cena è stata semplicemente perfetta. Per me la perfezione sta anche nella coerenza del menù con il luogo di appartenenza, e Castiglion dei Pepoli è un posto di frontiera, tra l'Emilia cantata da Guccini e la Toscana del passo della Futa. Qui la sfoglia si incontra con la caccia, e al tortellino in brodo rispondono i cervi e i colombacci. Lucia ha lavorato con sapienza e intelligenza sulle tradizioni locali e quando ha deciso di “andare oltre” lo ha fatto comunque pescando nella tradizione. Prendiamo per esempio i tortelli di patate al ragù di cinghiale. Ottimi, naturalmente, ma Lucia cosparge il piatto di sottilissime scaglie di cioccolato fondente richiamandosi con evidenza al cinghiale in dolce e forte tipico della Toscana. Il risultato mi è sembrato sinceramente perfetto. Come perfetti sono i suoi tortellini in brodo, nel cui ripieno Lucia non mette prosciutto, con mia grande meraviglia ma senza alcun rimpianto, visto la bontà. I tortellini conditi con il Villa Magra, che lei porta in tavola, sono comunque cotti nel brodo e noi abbiamo fatto una prova. Abbiamo lasciato in fondo al piatto un po' di tortellini e abbiamo sorbito tutto il brodo prima di aggiungervi un po' di extra vergine di Giorgio Franci. Il risultato è stato estremamente interessante perché questo straordinario olio aggiunge un tocco al sapore del tortellino cotto nel brodo senza sovrastarlo , al contrario arricchendolo e rendendolo intrigante.

Lo spezzatino di cervo cotto nel latte ci è sembrato delizioso, ma il colombaccio al forno servito su una fetta di pane toscano è stato un must indimenticabile. E poi il roastbeef di cervo, lo sformato di patate e funghi porcini, e i dolci classici come il latte alla portoghese: tutto è stato ottimo, e nonostante le porzioni piuttosto abbondanti ci siamo alzati in perfetta forma e con la certezza di voler tornare presto.

Lucia Antonelli ha scritto un libro di ricette che si intitola “Cucina di frontiera. Ricette di montagna e di tradizione”, che abbiamo acquistato. Solo leggere i titoli di alcuni piatti mi fa tornare alla mente ricordi lontani di quando fremevo per arrivare a Trasserra e la strada sembrava non finire mai. La braciadella, per esempio, quella ciambella semplice nella cui preparazione mia nonna Cesara era maestra. Quella bella nonna partita troppo presto e mai dimenticata. E poi gli immancabili zuccherini, i dolcetti da matrimonio cotti nel forno da pane e poi intinti in uno sciroppo di acqua e anice. Si racconta che dal numero di zuccherini offerti agli ospiti si volesse evidenziare lo status sociale degli sposi. Ai matrimoni più ricchi se ne offrivano ben cinque; in quelli più poveri non si andava oltre uno zuccherino a testa. Tutti gli altri stavano nella via di mezzo. Alla festa del nostro matrimonio a Trasserra io e Jean-Louis ne abbiamo offerti tre, perché entrambi viviamo in terre di mezzo, lui tra Francia e Italia, e io tra Emilia e Toscana. Quegli zuccherini erano fatti da un'altra persona indimenticabile, Emilia, una cugina di mia madre, ed è stato uno dei più grandi regali ricevuti.

Lucia ha regalato a mia figlia Giorgia (che forse ha ereditato dalla bisnonna Cesara la maestria per i dolci) un barattolo di semi di anice. L'ho preso come un passaggio di consegne, un segno di continuità. E prima o poi arriveranno anche gli zuccherini di Giorgia, o forse i nostri, non so.

Voglio solo ringraziare Lucia per quelle belle ore passate nel suo ristorante. Non è stata solo una cena, è stata la felicità di conoscere qualcuno che sa trasmettere i valori del suo luogo. Quello stesso luogo che io amo e al quale sento di appartenere. (www.ristorantetavernadelcacciatore.it)

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O Z'EPICES, un giovane ristorante a Guadalupa

1/29/2015

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Jimmy Bibrac è un giovane e talentuoso chef di Guadalupe, e il suo ristorante O Z'Epices si trova in un punto magnifico della costa di Basse Terre, in una località che si chiama Falaise Bouillante. Il locale è aperto sul mare, tutto in legno e alla prima occhiata ricorda un po' quei nostri ristoranti sulla spiaggia collegati ai bagni. Quelle che oggi chiamiamo “baracche”, utilizzando il termine nella sua accezione più positiva. La baracca sul mare è oggi diventata luogo chic e di alta cucina, e se vi capita di andare a Guadalupa la cucina di Jimmy non va assolutamente perduta. La sua formazione scolastica è avvenuta nell'isola, ma Jimmy ha poi lavorato in due ristoranti stellati in Francia, nella “Métropole”, la madrepatria, come la chiamano qui. L'amore per la sua terra e la tecnica appresa nella Métropole hanno creato una miscela fantastica, e i piatti di Jimmy ne sono la testimonianza. Non soltanto conosce alla perfezione tutti i prodotti locali, ma ha appreso anche i tanti poteri medicamentosi di piante e spezie. Miscelandoli sapientemente Jimmy è in grado prima di tutto di regalare al palato degli ospiti un'esperienza esaltante, e poi anche di prendersi cura della loro salute. Jimmy dice che “mangiando quello che proviene da un raggio di 50 chilometri è possibile anche curarsi”, o almeno di poter mantenere in forma il proprio fisico seguendo una dieta sana e calibrata. La sua attenzione ai prodotti locali è meticolosa, e il suo rapporto con i produttori è quotidiano. Nascono così meraviglie come la tartare di Marlin con spezie e salsa di agrumi misti, palline di avocado e pompelmo e chips ottenute da una radice locale chiamata Mader. La padella di frutti di mare con una piccola aggiunta di curcuma è incredibilmente buona ed è uno di quei piatti eccellenti che avrei voluto non finisse mai. Ottimi i dolci e bellissima la presentazione di tutti i piatti. Insomma, O Z'Epices è il mio ristorante preferito di Guadalupa. Se mai ci tornerò non mancherò certo di tornare alla baracca rossa di Jimmy. (Per informazioni turistiche su Guadalupa visitare i siti www.leisolediguadalupa.it e www.rendezvousenfrance.com).

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Il Lysverket di Bergen, in Norvegia

10/27/2014

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Sono appena rientrata da Bergen e in cinque giorni ho fatto una vera e propria full immersion nella cucina norvegese, e soprattutto in quella di mare. Ho avuto la fortuna di conoscere lo chef Christopher Haatuft, che nel giugno del 2013 ha aperto il ristorante Lysverket. Il locale si trova all'interno di uno dei quattro edifici denominati KODE che ospitano altrettante collezioni di arte moderna e contemporanea di Bergen. Una sorta di “strada dell'arte” che si affaccia su un ampio laghetto artificiale dove al sabato gli abitanti si divertono ad andare in canoa, noncuranti di vento e pioggia. Christopher ha 34 anni e ha lavorato a New York, e da questa esperienza ha riportato in patria “disciplina e organizzazione” (sono parole sue). Il locale è arredato in perfetto stile scandinavo, con un minimalismo che ben si accorda all'edificio che lo ospita e che “non permette” l'uso delle tovaglie. Lysverket è senza dubbio uno dei migliori ristoranti di Bergen ed è noto soprattutto per la sua cucina di pesce. La carne occupa un posto di assoluto secondo piano. In Norvegia i ristoranti normalmente presentano una carta che permette di scegliere tra un menù di 3 o 5 portate, ma al Lysverket si può optare anche per un menù da nove portate, soltanto una delle quali è di carne.
Christopher definisce la sua cucina classica con qualche tocco di modernità. Non avendo esperienza di cucina classica norvegese per me è difficile capire dove finisce la tradizione e dove invece comincia la modernità, ma l'impressione che ho avuto assaggiando i piatti di questo simpatico chef direi che in essi si ritrova una creatività mai fine a se stessa e mai la semplice voglia di stupire. Nei piatti di Christopher c'è intelligenza, capacità di abbinare i sapori senza sacrificarne nessuno e anche tanta tecnica. I suoi piatti di pesce, di molluschi e di crostacei sono semplicemente buonissimi e anche molto belli da guardare.
La ricerca degli ingredienti è capillare. Molti dei prodotti utilizzati provengono da fattorie della regione di Bergen che lavorano in regime di biologico. Il pane è fatto direttamente nel ristorante, anche utilizzando farine da grani antichi macinati a pietra. In alcuni casi Christopher è riuscito anche a mettere in piedi delle collaborazioni con alcune aziende locali. Per esempio con il birrificio artigianale di Voss, la Voss Bryggeri di Jeanette Lillås e Dag Jǿrgensen. La ricetta di questa pale ale è stata messa a punto nel ristorante per abbinarsi perfettamente ad alcuni piatti a base di frutti di mare come i ricci, e la birra può essere degustata soltanto al ristorante o presso il birrificio. Un sommelier esperto è in grado di consigliare i migliori abbinamenti tra cibo e vino o tra cibo e birra. Tra i piatti che ho assaggiato i migliori mi sono sembrati i ricci di mare di Steigen, nel nord della Norvegia, serviti sopra una panna cotta di granchio con una leggera glassatura di prezzemolo: decisamente ottimo. Notevole anche lo scampo con topinambur su salsa fatta con la testa e la corazza dello scampo: delizioso.
Infine, per dare al locale un tocco personale e soprattutto renderlo un ambiente fuori dal comune, Christopher ha deciso di aprirlo, il venerdì e il sabato, anche al ballo. Dopo cena, intorno alle 23, la cucina viene chiusa e il Lysverket si trasforma in un locale dove si può ballare e sedere ai tavoli sorseggiando un drink. Insomma, è un luogo delizioso e informale, con un servizio ai tavoli brillante e giovane. La cameriera spagnola Carmen, originaria di San Sebastián, non si fa dimenticare. Insomma, se andate a Bergen, il Lysverket è un ristorante da non perdere. www.lysverket.no.


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Andrias, lo chef delle Faroe

10/7/2014

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Ormai tutti sanno che il nord Europa, e la Danimarca in maniera particolare, è uno dei luoghi più amati dai gourmet. Se il Noma di Copenaghen ha creato il mito della cucina del Nord, ci sono molti altri ristoranti scandinavi che meritano di essere visitati per rendersi conto della creatività degli chef che qui sono nati e lavorano. Quest'estate ho avuto la fortuna di visitare le Faroe (Føroyar in lingua locale e Fær Øer in danese), ossia quelle “isole remote” - pare che il loro nome significhi infatti proprio questo – sperse nel Mare del Nord oltre le Shetland. Dal 2013 esiste un collegamento diretto tra Malpensa e Vagar che funziona una volta alla settimana nei mesi di luglio e di agosto. E' una vacanza da mettere in programma, perché i panorami sono unici e restano impressi nella memoria come qualcosa di non cancellabile. La capitale delle Faroe si chiama Tórshavn, nell'isola di Streymoy, e se non fosse per la sua parte più antica potrebbe assomigliare a molte altre cittadine portuali della Scandinavia. Ma sono le piccole case che si affacciano su vicoli e piazzette della parte più antica della città – quelle case con il tetto coperto di erba per appesantire i tetti e proteggerli dalle tempeste di vento – che fanno di Tórshavn una città unica e irripetibile, come irripetibili sono tutti gli scorci di queste 18 isole e isolette battute dai venti. Scriverò più ampiamente delle isole nella sezione viaggi di questo sito, perché qui invece voglio concentrarmi su Poul Andrias Ziska, il giovanissimo chef (ha 24 anni) di Koks, il ristorante dell'Hotel Føroyar che si trova appunto sulle colline che dominano la capitale. Andrias lavora in cucina insieme al socio Áki Herálvsson, e la cena da Koks è stata una delle migliori esperienze gastronomiche della mia vita.
In una terra quasi priva di alberi (tira troppo vento) e molto avara in quanto a prodotti (patate, rape, fragole e poco altro), Andrias è riuscito, senza dimenticare le tradizioni locali, a creare una cucina tutta sua, con ingredienti per la gran parte di provenienza locale e attrezzandosi anche una piccola serra per verdure, mentre spezie come il rosmarino e la salvia e altra sono stati piantati in giardino. E' chiaro che il pesce non manca, visto che la pesca è la principale fonte economica delle isole, ma in quanto a carne e verdure le Faroe non offrono molte varietà. Ancora oggi il 60% del consumo di carne è basato su pecora e agnello, le mucche sono poche e non si producono formaggi, se non a livello familiare e senza commercializzazione.
Allora Andrias ha deciso di partire da quello che già esisteva rivisitandolo in maniera moderna e personale. I suoi menù sono formati da una decina di piatti, molti a base di pesce, nei quali la sua capacità innovativa e il suo formidabile sesto senso si sono espressi in maniera particolare nelle tecniche di cottura e nell'abbinamento dei sapori. Cibo tipico delle Faroe è la carne di agnello essiccata all'aria. Ho avuto l'occasione di assaggiarla in un altro ristorante e sono rimasta a dir poco perplessa. La carne viene messa a essiccare nel mese di ottobre, quando la temperatura è intorno agli 8-10 °C. Nei primi dieci giorni la carne subisce un processo di fermentazione che può lasciare sentori non gradevoli e il risultato non sempre è garantito. Andrias invece la serve in versione essiccata e caramellata, e diventa un piatto gustosissimo ed estremamente particolare. Sono rimasta folgorata dall'assaggio delle scallops (una sorta di capasanta locale) cucinate con alghe essiccate e cavolfiore. L'armonia dei sapori era unica, e il piatto in sé era semplicemente geniale. Ma il piatto che più mi ha fatta innamorare è stato lo scampo. Alle Faroe il processo di affumicatura è molto usato, e non soltanto per il classico salmone. Come rendere l'affumicatura una tecnica moderna e non invasiva? Ci ha pensato Andrias, facendola diventare una sorta di breve fuoco d'artificio utilizzando un piccolo rametto di pino marittimo essiccato. All'interno di coppette di pesante ceramica da forno, Andrias pone dei sassi levigati dal mare. Coppette e sassi vengono resi caldissimi nel microonde. Una volta caldi, lo scampo, privato della sua corazza, viene adagiato sulle pietre, viene dato fuoco al rametto di pino e subito le coppette vengono chiuse con il coperchio e portate in tavola. Una volta tolto il coperchio, il profumo del pino si diffonde e riempe delicatamente le narici, lo scampo è appena cotto e ha preso il profumo del pino, senza invasioni e senza alterazioni nel sapore delicato della sua carne. Se non è poesia questa, ditemi voi cos'è.





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CIBI, in Santo Spirito a Firenze

1/31/2014

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E' per me sempre un piacere andare a visitare un nuovo ristorante, e quindi ho subito risposto sì all'invito dell'amica e collega Valentina Paolini quando mi ha chiamata per la presentazione di CIBI, locale fiorentino con il bel sottotitolo di “Cose di cucina in Santo Spirito”. Per chi non è di Firenze e non conosce questo bello e storico quartiere dell'Oltrarno, bisogna subito dire che queste strade e stradine, piazze e piazzette, hanno un fascino unico. Lontane da quel turismo di massa che vede scorrere centinaia di imbambolati seguaci di ombrelli o palette-guida agghindati dalle loro immancabili cuffiette, Santo Spirito è ancora per molti versi un quartiere fiorentino, assai più simile al vicino San Frediano o ad alcune parti di Santa Croce che al definitivo triangolo d'oro dove mangiare bene è diventato pressoché impossibile.
Il nome CIBI deriva dal semplice fatto che gli 8 soci proprietari non sono riusciti a mettersi d'accordo sul nome e hanno trovato che questo – che può essere scritto anche CB – risulta assai evocativo e ognuno può leggerci un po' quel che vuole. Ma il richiamo alla tavola naturalmente è quello che deve scattare prima di tutti gli altri. Il locale si apre in via delle Caldaie, che i fiorentini del rione conoscono bene anche per aver ospitato per decenni la sede della divisione export di Gucci. La strada è appunto una delle tante viuzze che costellano Santo Spirito e che si apre non lontano da quella piazza con la bella chiesa che dà nome all'intero quartiere. Il ristorante occupa quelli che erano gli spazi di un fabbro e di un fornaio e dispone anche di un cortile interno che d'estate si animerà di tavolini. Io amo questi piccoli cortili fiorentini, dai quali si può ammirare il bucato della signora del primo piano e le piante curatissime di quella del secondo. Mi piace entrare un po' nell'intimità di famiglie che non conosco e per me che abito proprio nella zona più turistica del centro fiorentino recuperare – anche solo per qualche ora – la sensazione di vivere in una città a misura d'uomo è impagabile.
Tra le parole dette nel corso della presentazione ai giornalisti da Lirio Mangalaviti, uno degli otto soci fondatori di CIBI, quelle che mi hanno colpito di più sono proprio relative alla vita del quartiere. Nelle intenzioni degli proprietari, infatti, c'è l'idea di armonizzare il locale alle esigenze del quartiere. Segno di buona capacità imprenditoriale e, soprattutto, di buon senso, che di questi tempi all'insegna della volgarità e del delirio non è una cosa da poco.
Attualmente CIBI apre alle 10 per la colazione e offre pranzo e cena a orari canonici, ossia dalle 12.30 alle 15.00 e dalle 20.00 alle 23.00. Ma i proprietari intendono incrementare l'ora del tè e dell'aperitivo e arrivare a una apertura non stop perché vorrebbero che CIBI diventasse un vero e proprio luogo di ritrovo, dove andare a bere un calice di vino, scambiare quattro chiacchiere, leggere il giornale o un libro... Insomma, un luogo aperto, dove non ti senti dire alle 10 di sera che la cucina è chiusa.
E' un po' il concetto dell'osteria di una volta, in un'ambientazione assolutamente moderna che mi ha fatto ricordare alcuni locali visitati in Danimarca. Dinamico ed essenziale, con i toni caldi del tanto legno usato. Naturalmente ho avuto la possibilità di assaggiare qualche piatto, perché comunque di un ristorante si tratta. Mi è parsa una cucina buona, con menù diversi da pranzo e cena e con un occhio di riguardo ad alcuni ingredienti tipicamente toscani, la qual cosa naturalmente non mi è dispiaciuta. Senza scadere nella ribollita osannata da ogni ristorante turistico che si rispetti, è piacevole trovare un cavolo nero saltato in padella e servito croccante: un ingrediente toscano trattato in maniera moderna. I prezzi serali non sono proprio bassi, ma mi assicurano che le porzioni sono generose e quindi con un piatto e un dessert si è a posto.
E poi si è in via delle Caldaie, che trovo un nome così dolcemente evocativo di un tempo irrimediabilmente perduto che tuttavia possiamo far rivivere sedendosi a un tavolino di CIBI e aprendo il nostro animo alla convivialità e al desiderio di scambiare quattro chiacchiere anche con i commensali del tavolo accanto.

A ognuno la propria madeleine, io ho il cavolo nero.

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Restaurant Les Trois Couronnes di Vevey nella Svizzera francese

12/18/2013

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Sono sempre più convinta che la qualità di un ristorante passi non soltanto attraverso il cibo ma anche attraverso l'ambientazione che i responsabili di sala sanno creare. In questo senso gli svizzeri sono dei maestri, e più frequento il paese elvetico più capisco che i nostri vicini di Alpi hanno una capacità tutta particolare di saper rendere piacevole, informale e rilassante anche l'ambiente più sofisticato. Evidentemente fa parte del loro DNA, di quel modo di comportarsi così riservato che ha portato molti protagonisti del jet set e star dello spettacolo a prendere casa in Svizzera. La nostra Mina, come Tina Turner e Freddie Mercury hanno trovato nel paese transalpino un luogo tranquillo dove vivere. Quando Mina entra nei negozi di Lugano nessuno la importuna e per la medesima ragione la Turner ha casa a Zurigo e Mercury l'aveva a Montreux, dove aveva aperto anche uno studio di registrazione. E' qui infatti che nel 1985 venne incisa “Made in Heaven” la canzone contenuta nell'album “My bad guy”, tecnicamente l'unico di Mercury da solista.
Questa particolarità del carattere svizzero si ritrova nei locali e in modo particolare in quelli di alto livello, dove non si viene investiti appena entrati da quell'aura di sussiego che invece purtroppo contraddistingue tanti dei nostri ristoranti iper osannati dalla critica. Nel mio ultimo viaggio in Svizzera ho visitato la regione di Losanna e del lago Léman, che qui da noi è più conosciuto come lago di Ginevra. A Vevey, una cittadina sul lago vicina a Montreux, si trova l'Hotel Des Trois Couronnes, eretto nel 1842 sulle rovine di un castello trecentesco. L'architettura del grande edificio riflette in pieno l'idea del grande albergo dell'epoca, destinato a ospitare la nobiltà europea e grandi artisti come Tchaikovski alla cui memoria è dedicata la più bella suite dell'albergo, di ben 112 metri quadrati. Vi ricorderete certamente di “Morte a Venezia” di Luchino Visconti: ecco, l'atmosfera è quella ed è facile immaginare il fruscio delle sete e dei taffetà delle ampie gonne delle signore che tra Otto e Novecento scendevano al Trois Couronnes per passarvi le vacanze estive.
Oggi naturalmente l'albergo si è adeguato alle esigenze del moderno turismo di classe, a partire dalla spa che è ormai divenuta necessaria per qualunque destinazione di lusso. Ma è del ristorante che voglio parlare perché vi ho passato una magnifica serata in compagnia del fotografo mio compagno di viaggio Stefano Cellai e di Dana Bensimon, sales & marketing assistant dell'hotel. Lo chef di Tolosa Lionel Rodriguez vi è approdato nel gennaio del 2012 e già quest'anno ha portato la prima stella Michelin al ristorante. Rodriguez si è formato tra Parigi e il Principato di Monaco, dove si è innamorato della cucina mediterranea, dei suoi sapori solari e delle sue cotture brevi, che non alterano i sapori primari dei cibi. Come nella migliore tradizione della cucina moderna, i piatti si basano su prodotti stagionali e locali, dal pesce di lago ai funghi. A questi si aggiungono ingredienti tipici delle cucine dei grandi ristoranti, come il foie gras che del resto nella Svizzera francese è di casa esattamente come a Parigi. L'involtino di verza con quaglia e foie gras è probabilmente il piatto migliori tra quelli – tutti eccellenti – che ho assaggiato. La cena si è aperta con una tartare di loup de mer e un filetto di fera (il nostro lavarello) crudo con fave e ravanelli. Sono quindi seguite le Saint Jacques grigliate con un purè di zucca, l'involtino di verza già citato e il capriolo con cotogne caramellizzate e cantarelli. La sublime cena è terminata con un soufflè, dessert che ormai quasi nessun ristorante propone anche per la difficoltà di una cottura espressa. Mi ricorda alcuni ristoranti italiani degli anni Settanta, come il fiorentino Sabatini, dove si andava a pranzo la domenica insieme alla famiglia.
La cena è stata naturalmente accompagnata dai grandi vini del Lavaux, la zona viticola tra Montreux e Losanna che si estende lungo il lago e che è stata dichiarata Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco. Ma insieme al cibo e al vino, a farci compagnia c'era quella bella atmosfera rilassata e easy, senza ingessature e senza sovrastrutture. E' questo che mi piace in un ristorante: è come parlare con una persona colta e sicura di sé che non ha bisogno di ostentare per rendersi credibile.

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Il Ristorante Gallery Arté al Lago di Lugano

5/31/2013

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Prima di iniziare a parlare del Ristorante Gallery Arté di Lugano voglio ringraziare di cuore il mio amico e compagno di viaggi Stefano Cellai, il fotografo che mi ha donato le immagini che accompagnano questo mio breve pezzo. E' appunto con Stefano che ho condiviso la bella esperienza di scoprire sulle sponde del lago di Lugano non soltanto una cucina di qualità, ma anche un servizio fuori dal comune, assai raro da trovare in un ristorante di alto livello.
Siamo dunque a Lugano, in quel Canton Ticino così legato alla tradizione culinaria lombarda, con i suoi risotti e le sue polente. Ma siamo anche in riva a un lago, che qualche decennio fa è stato totalmente depurato tanto che alcuni cittadine vi si approvvigionano di acqua potabile captata a soli trenta metri di profondità. Il lago di Lugano è ricco di pesci, molti dei quali sono stati riscoperti recentemente dagli chef che li propongono quotidianamente nei loro meù.
Al Ristorante Gallery Arté al Lago (questo il nome completo del locale) in cucina troviamo Frank Oerthle, uno chef nativo di Stoccarda che ha scelto il Canton Ticino da anni per vivere e lavorare. La sala è invece curata dal maître d'hôtel Andreas Keller. Ed è proprio a Keller che dobbiamo l'atmosfera del servizio, assolutamente eccellente come la qualità dei piatti che arrivano in tavola.
Non so voi, ma io non ho mai amato i ristoranti eleganti dove il personale appare un semplice accessorio e non riesce a dare al servizio un volto umano e personale. Questo all'Arté di Lugano non accade. Keller e lo staff di sala – tra i quali un ragazzo originario delle Marche del quale purtroppo non conosco il nome e me ne scuso – hanno invece la rara capacità di “fotografare” l'ospite e di accompagnarlo nella sua avventura culinaria con simpatia e partecipazione. Un sorriso, una battuta mai banale, una piccola “istigazione” a rompere con diete e linea per concedersi un dolcetto in più insieme al caffè. Piccole grandi attenzioni che rendono l'esperienza estremamente piacevole e che danno un valore aggiunto alla qualità dei piatti.
Ma ora veniamo al menù. Noi abbiamo avuto: spiedino di crostacei con panzanella e crema di burrata di bufala; zuppetta di pesci di mare con variazione di leguminose toscane: risotto “San Massimo” agli asparagi selvatici del bosco Palli e scaloppina di fegato d'oca; il meglio di piccione con cous-cous al mango e asparagi bianchi del varesotto; spuma delicata allo yogurt e panna acida con cuore croccante di lamponi e cornetto alla crema di gianduia. Il menù completo è a 115 franchi svizzeri (circa 92 euro) e sinceramente mi pare un prezzo adeguato alla qualità della cucina, a quella del servizio e del locale. Ma sarebbero troppi senza sorrisi, non vi pare?

Ristorante Gallery Arté al Lago, Piazza Bossi 7 Lugano

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La Maison Jules, a Tours

10/24/2012

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Se dovesse venirvi la voglia di andare a visitare i castelli della Loira – e vi posso assicurare che prima o poi la voglia viene – ho un buon indirizzo per dormire a Tours. Non si tratta di un albergo ma di una Chambres d'Hôtes, quella che noi definiremmo un B&B. Ambientata in un palazzotto signorile del 1860, con muri in tufo e tetto d'ardesia, La Maison Jules è stata inaugurata lo scorso agosto. La storia è questa: si tratta di una famiglia formata da una donna originaria di Tours ma partita per Parigi dove ha lavorato come mediatrice di compravendite di grandi alberghi. Sposata e con due figli, a un certo punto ha deciso – d'accordo con il marito – di allontanarsi dalla vita frenetica della capitale per offrire ai figli ritmi più quieti senza rinunciare alle comodità di una città. Così è rientrata a Tours con tutta la famiglia, e mentre il marito continua a lavorare a Parigi prendendo il mitico TGV (il treno ad alta velocità che in Francia funziona alla perfezione) lei ha deciso di cambiare completamente mestiere. Il palazzotto di rue Jules Simon è stato perfetto, perché possiede anche quella che un tempo era una dependance e che oggi è l'abitazione privata della famiglia. Dunque ad agosto si sono aperte le porte di questo delizioso luogo dell'ospitalità con 3 camere al primo piano e 2 al secondo. Il piano terra è completamente a disposizione degli ospiti: salone con camino e poltrone dove leggere e sala per le prime colazioni. La calda atmosfera della casa privata non è stata alterata in nessun modo e quindi è da considerare il fatto che oltre alla camera La Maison Jules offre anche altri spazi per gli ospiti. La padrona di casa è allegra e ciarliera, e pronta a dare tutte le indicazioni del caso su Tours e sui castelli della Loira. Le stanze sono sinceramente bellissime e ampie, come pure i bagni che a volte dispongono sia di vasca che di doccia. E poi La Maison Jules è in pieno centro, a due passi dalla cattedrale e dalla zona pedonale cittadina, ricca di locali e ristoranti, mentre per il parcheggio a pochi minuti c'è quello coperto della stazione (a pagamento) oppure si trova facilmente posto lungo in grande viale che si apre in fondo alla rue Simon Jules. La colazione è buona (anche se non posso dire eccellente), ma la cosa che mi è veramente piaciuta è stata la camera (la mia era la Chambre Martin), con un letto meraviglioso, la carta da parati blu a ricami dorati, l'enorme bagno con due lavabi, doccia e vasca, un grande vaso di profumatissimi gigli bianchi e quell'atmosfera tutta francese che mi piace da morire. Ve lo consiglio. Andate a vedere il sito: www.lamaisonjules.fr).

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L'Hotel Sonnalp di Obereggen

9/26/2012

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Questa mia rubrica sull'arte dell'ospitalità langue, perché ho deciso di essere estremamente selettiva e non voglio mettere alberghi o ristoranti che non mi convincono fino in fondo. E' vero che negli anni passati di luoghi dove mi sono veramente sentita accolta con calore, sensibilità e professionalità ne ho visitati molti – soprattutto in Francia – ma non voglio parlare di questi, perché magari nel frattempo hanno cambiato proprietà o gestione e rischierei di scrivere cose sbagliate.
Per la verità stavo anche pensando di sopprimere questa rubrica quando, per fortuna, ho avuto occasione di conoscere l'Hotel Sonnalp di Obereggen e allora mi sono detta che vale la pena andare avanti, quando si incontrano alberghi di questo genere.
Prima di tutto ho trovato una famiglia, i Weissensteiner, composta da babbo Georg, mamma Johanna e i due figli Sabine e David, tutti impegnati nell'albergo di famiglia, eretto quindici anni fa nella stazione sciistica di Obereggen, ai piedi del massiccio del Latermar. Siamo nelle Alpi a nord di Bolzano, e Obereggen è stata creata una quarantina di anni fa e in pratica è formata quasi esclusivamente da alberghi che si aprono intorno agli impianti di risalita. A due ore di cammino a piedi si trova l'incantevole lago di Carezza, ma sarà bene puntualizzare subito che questi luoghi sono ben lontani dall'assomigliare a Cortina, o a San Candido o a Dobbiaco. Qui niente struscio lungo il corso o shopping nei negozi firmati, a Obereggen si viene per la natura, per sciare e per godersi una tregua dalla vita cittadina e lavorativa.
I Weissensteiner proprio questo si sono chiesto: come attirare i turisti qui senza poter contare sulla vicinanza di una cittadina famosa? La risposta è stata semplice: con una cucina di eccellenza, con servizi impeccabili e con l'organizzazione di escursioni – soprattutto nel periodo estivo non sciistico – che portino gli ospiti a scoprire tutti i segreti della montagna.
Parliamo subito della cucina, che fin dall'inizio è stata affidata allo chef Martin Köhl di Nova Ponente. Martin propone piatti della cucina regionale interpretati in maniera innovativa e non alieni da qualche influsso mediterraneo. Molti dei prodotti sono locali e naturalmente grande attenzione è data alla stagionalità. La cosa notevole è che Martin non cucina mai lo stesso piatto, e i prodotti vengono via via elaborati in maniera diversa. Questo fa sì che i clienti che frequentano l'albergo magari da 10 anni possano dire di non avervi mai mangiato la stessa pietanza. La qualità della cucina del Sonnalp ha permesso all'albergo di entrare a far parte della catena del “Buongustaio Hotel & Ristoranti”, che ha sede in Austria ma che comprende anche i locali del nostro Alto Adige. Ogni anno il ristorante viene visitato in maniera rigorosamente anonima dai giudici del Buongustaio, per verificare che le caratteristiche di qualità del ristorante siano rimaste al livello richiesto dai responsabili. Il ristorante del Sonnalp è diventato così noto che i Weissensteiner hanno deciso di aprire all'interno dell'albergo anche una deliziosa stube, che è riservata ai clienti esterni, e per la quale è necessaria la prenotazione. L'ambientazione è splendida, visto che la stube è stata realizzata acquistando gli arredi in legno di una abitazione ottocentesca. C'è poi la cantina curata direttamente da David Weissensteiner, grande amante del vino, che vi organizza visite e degustazioni.
Come tutti gli alberghi di montagna che si rispettino il Sonnalp ha una spa molto accogliente, con bagno turco, saune, piscina interna e interna, oltre a tutta la zona riservata ai trattamenti. La spa è perfettamente organizzata, il silenzio è rispettato e i comfort sono molteplici. Lo stesso vale per le camere, così calde e intime e con ottime sale da bagno. Tutto appare soppesato e pensato, non vi si trova niente di eccessivo e allo stesso tempo non si sente la mancanza di niente. Sopratutto non si sente la mancanza di casa, perché qui ci si trova a proprio agio fin dal primo ingresso.
I Weissensteiner sono persone squisite e gioviali; pronte a rispondere alle domande e alle esigenze, e soprattutto a consigliare le escursioni e a suggerire i luoghi da visitare.
Le quattro stelle del Sonnalp sono dunque ampiamente meritate, e sono sicurissima che se ci andrete non rimarrete delusi. Intanto visitate il sito dell'hotel per scoprire tutte quelle cose che magari io ho tralasciato. Buona vacanza. www.sonnalp.com

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Ottobre 2011.

4/16/2012

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Hotel Villa Guarda - Follina
A Follina si trovano alberghi di lusso, ma io voglio segnalare questo 3 stelle recentemente rilevato da una famiglia pescarese per la calorosa accoglienza che vi si trova. Le stanze sono di media grandezza, moderne e molto funzionali. Alcune di queste si affacciano su un parco dove nella buona stagione si può consumare la prima colazione ed oziare a piacimento. La colazione è di ottimo livello, tanto da far pensare a un 4 stelle (anche se alcuni questi purtroppo offrono una colazione da pensioncina economica) e una volta arrivati in camera si trova la bella sorpresa della password per il wi-fi gratuito e un frigo bar con acqua naturale e gassata, una birra, una bibita e un succo di frutta a disposizione degli ospiti e non a pagamento!

Hotel Villaguarda
Via San Nicolò, 47
31051 Pedeguarda di Follina (Treviso)
Tel. 0438.980814
www.villaguarda.it






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