Il cambiamento climatico nel mondo del vino nel giro di non troppi anni ha portato in molte zone vitivinicole alla produzione di uve che sviluppano contenuti zuccherini molto elevati, dando dunque vita a vini dall’alto tenore alcolico e caratterizzati da poca freschezza. Al contempo, il gusto del consumatore evoluto sta invece andando nella direzione contraria, chiedendo sempre più vini freschi, non troppo marcati dall’alcol e con una discreta acidità che li renda più facilmente bevibili. Molte delle sperimentazioni in corso in questi anni sono dunque impegnate a capire come produrre vini che vadano incontro a queste esigenze a fronte di estati sempre più calde con uve che rischiano di surmaturare sulle piante. Il recupero di antichi vitigni abbandonati o dimenticati fa parte di queste ricerche, e la provincia di Brescia già negli anni Ottanta aveva finanziato un progetto che ha portato alla riscoperta dell’Erbamat, un antico vitigno lombardo già attestato alla metà del XVI secolo in un volume dello studioso Agostino Gallo. L’Erbamat è un vitigno a bacca bianca caratterizzato dalla maturazione tardiva (a inizi ottobre), dal basso contenuto zuccherino e dall’elevata acidità. L’Erbamat è sensibile alle malattie, tende a produrre molto e non è facile da gestire, ma se messo a dimora in terreni poveri con portinnesti riduttivi può dare risultati assai interessanti per il Franciacorta.
“Tesi 1” sarà seguito da “Tesi 2” e da “Tesi 3”, che prevedono lo stesso uvaggio con diverso assemblaggio, in modo da poter continuare lo studio e la sperimentazione sull’Erbamat. Nel frattempo, il Consorzio Franciacorta non è certo stato a guardare, tanto da aver richiesto una modifica del disciplinare ammettendo, a partire dalla vendemmia del 2017, la presenza dell’Erbamat fino a un massimo del 10%.
Barone Pizzini è andato ben oltre il 10% ammesso dal disciplinare, e infatti “Tesi 1” non è un Franciacorta, ma visti i risultati e la grande piacevolezza del vino, sarà bene ringraziare Silvano Brescianini per aver saputo osare di più.