Patrizia Cantini Wine & Food Communication
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Fiammae, il nuovo vino di casa Gondi

2/14/2019

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La bottiglia di Fiammae, Sangiovese in purezza
E' sempre una gioia assistere al battesimo di un nuovo vino, ma questa è per me un'occasione speciale. Perché Gerardo e Lapo Gondi io li ho visti crescere e ho assistito con molta felicità alla loro decisione di entrare a far parte dell'azienda di famiglia, quella Tenuta Bossi in Chianti Rufina proprietà dei Gondi dal 1592. Figli di Bernardo e Vittoria, Gerardo e Lapo affiancano ormai da qualche anno il padre e la zia Donatella nella conduzione della tenuta, e non potevano certo starsene fermi e limitarsi a seguire i vini già "in carta" alla Tenuta Bossi. Innamorati entrambi del Sangiovese ma con due visioni assai diverse in materia di vinificazione del vitigno, hanno espresso le loro idee all'enologo Fabrizio Moltard che ha saputo coniugarle e interpretarle. Così è nato Fiammae, un vino a Igt Rosso Colli della Toscana Centrale composto con sole uve Sangiovese provenienti da un vigneto aziendale situato a 300 metri di altitudine ed esposto a sud est. Dov'è la novità?, vi chiederete. La novità la spiega direttamente Lapo: "Quando nel 2015 Gerardo ed io abbiamo deciso di «metterci alla prova» con un nuovo vino, ci siamo subito resi conto di avere visioni diverse del Sangiovese. Lui aveva in mente un vino fresco ricco di profumi primari mentre io volevo un vino più potente e austero. Avendo noi due visioni diverse, il nostro enologo Fabrizio Moltard, con la sua lunga esperienza, ci ha aiutati a fondere, sapientemente, le nostre due anime e a dare vita a Fiammae." 
Fiammae dunque nasce con una doppia anima (e da questo il nome latineggiante al plurale) e si traduce nell'appassimento di metà delle uve per circa un mese, mentre l’altra metà viene vinificata subito. Le uve vengono poi fermentate in barrique e messe ad affinare separatamente in barrique di rovere francese. Per le uve fresche è stato scelto un legno di media tostatura, mentre per quelle appassite si è preferito utilizzare una barrique dalle note più austere e potenti. Terminati i 18 mesi di affinamento, il vino viene assemblato e imbottigliato. La commercializzazione inizia  dopo un ulteriore affinamento in bottiglia di 12 mesi.
La prima annata di Fiammae è il 2016 ed è Gerardo a spiegarne il nome: “Le fiamme ricorrono spesso nella nostra famiglia perché sono il logo del Banco Gondi e il Sangallo le volle raffigurare su alcuni bassorilievi lungo lo scalone principale del palazzo. Inoltre, mia figlia si chiama Fiammetta, un nome di famiglia. Ma sono anche le fiamme che rappresentano la passione che mio fratello ed io abbiamo per il vino”.
Dunque, benvenuto Fiammae e congratulazioni ai due giovani produttori. E tanti complimenti anche a babbo Bernardo che ha dato a Gerardo e Lapo la possibilità di esprimere le proprie ambizioni in questa nuova etichetta. 


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L'etichetta di Fiammae
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Il Nizza riconosciuto Docg anche dall'UE

2/13/2019

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Le bellissime colline vitate del Nizza
“Questo è l’ultimo atto di un lungo iter che ha visto come protagonisti tutti i produttori del Nizza Docg, uniti nella consapevolezza di avere un grande vino, che aveva diritto ad avere una propria denominazione di origine controllata e garantita”. Queste le parole con le quali il presidente dell’Associazione Produttori del Nizza Gianni Bertolino ha commentato l’appena avvenuta pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del riconoscimento comunitario del Nizza Docg. Bertolino ricorda tutte le tappe di questo lungo iter, da quell’anno 2000 che, grazie all’opera di un primo nucleo di produttori, vide la nascita della sottozona Nizza all’interno della denominazione Barbera d’Asti Superiore. Ma quei produttori sapevano perfettamente che questo era solo il primo passo, perché il fine ultimo condiviso da tutti era appunto quello di ottenere una denominazione propria.
“E’ stato un percorso lunghissimo – ricorda ancora Bertolino – e forse nessun’altra denominazione italiana ha dovuto attendere così tanto, ma ne è valsa la pena. La Docg Nizza è finalmente arrivata con la vendemmia 2014 e le prime bottiglie sono uscite a partire dal 1° luglio del 2016. Grazie ai nostri sforzi, alla tanta comunicazione fatta e al grande favore ricevuto fin dall’inizio da parte della stampa specializzata nazionale e internazionale, il Nizza Docg è ormai considerato da tutti una realtà ben definita.”
Il primo presidente dell’Associazione, fondata nel 2002, è stato Michele Chiarlo, che oggi si dichiara “soddisfattissimo, abbiamo faticato tanto ma abbiamo ottenuto quello che meritavamo. Adesso il Nizza Docg passa dalla porta principale e può andare avanti sicuro sulla sua strada”.
Anche Gianluca Morino, che ha retto l’Associazione come presidente per ben tre mandati dal 2005 al 2014, esprime tutta la sua soddisfazione: “Mi auspico che il riconoscimento europeo sia il punto di partenza per un’autonomia forte del Nizza Docg, che si fonda sulla coesione dell’Associazione”.
Mauro Damerio, presidente dal 2014 dell’Enoteca Regionale del Nizza, si unisce alla gioia dei produttori: “Ho vissuto fianco a fianco dei produttori questi ultimi cinque anni di attesa, ma sapevamo che questo era l’unico punto di arrivo possibile. Adesso tutti noi possiamo continuare a lavorare con serenità”.
Infine, Filippo Mobrici, presidente del Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato, si congratula con i produttori sottolineando che “il Consorzio e le aziende hanno dato il massimo per ottenere questo importante riconoscimento, frutto di un complesso e articolato lavoro che oggi ha consentito al Nizza di fregiarsi di un marchio di qualità garantita riconosciuto in tutto il mondo”.
​Il riconoscimento dell’Unione Europea (che pone fine al regime di etichettatura transitoria previsto in questi casi) dunque dà ufficialità a un vino già ampiamente riconosciuto dai mercati e molto apprezzato dai consumatori. Ne sono conferma la crescita esponenziale degli ultimi anni nel numero dei vigneti rivendicati a Nizza Docg (oggi sono circa 200 su un potenziale stimato di 720) e delle bottiglie prodotte, che con la vendemmia 2018 raggiungono quasi il mezzo milione di unità. Le aziende associate ormai sono 60 e la loro determinazione ha fatto nascere, nel 2018, la Mappa del Nizza realizzata da Enogea di Alessandro Masnaghetti, frutto di un lavoro che si è svolto nell’arco di tre anni e che ha dato vita a uno strumento scientifico per l’individuazione chiara dei cru del territorio.
Il 2019 si è dunque aperto alla grande per tutti i produttori del Nizza Docg, e Bertolino conclude rivendicando il lavoro svolto da quel folto gruppo di vignaioli che “ha lavorato incessantemente per quasi un ventennio al riconoscimento dell’unicità dei propri vigneti.”
E allora, W il Nizza Docg e, per favore, chiamiamolo semplicemente così.

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Gianni Bertolino, presidente dell'Associazione Produttori del Nizza
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Pellegrino espone l'archivio Ingham-Whitaker

1/28/2019

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La sala dell'archivio nelle Cantine Pellegrino
Questa è proprio una bella notizia per il mondo della cultura e per quello del vino italiano. Le Cantine Pellegrino di Marsala hanno deciso di esporre, in una stanza dedicata, l’archivio Ingham-Whitaker, che prende il nome dalle celebri famiglie inglesi che hanno fatto la storia del Marsala. L’archivio è composto da 110 volumi che vanno dal 1814 al 1928, quasi cento anni dunque che narrano le fortune del Marsala e documentano i fitti rapporti commerciali degli imprenditori con l’Italia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti d’America.
I volumi raccolgono lettere commerciali e d’affari, ma ci sono anche lettere più personali indirizzate ai vari componenti della famiglia. Dichiarato di “notevole interesse storico” dalla sovrintendenza ai Beni Archivistici della Sicilia nel 1985, l’Archivio è passato nelle mani della Pellegrino grazie all’incontro tra Pietro Alagna – presidente della Pellegrino – e Manfredo Pedicini, l’ultimo rappresentante della stirpe inglese. Pedicini decise di donare ad Alagna, nipote di Paolo Pellegrino, l’intero archivio, in modo da poterlo mantenere unito e custodito con cura. Ed è grazie a Pietro Alagna che l’archivio è arrivato intatto fino a noi, e oggi è esposto all'interno delle cantine di Marsala in una sala deumidificata e riparata dalla luce per difendere i volumi dagli agenti atmosferici. I visitatori possono ammirarlo ma la consultazione naturalmente è riservata agli studiosi. C’è da augurarsi che un giorno l’archivio possa essere pubblicato se non nella sua interezza almeno in parte. 

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I vini di Brunetta e co.

1/15/2019

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Renato Brunetta, foto Sandro Mchaelles
Durante l’ultima edizione di Pitti Uomo a Firenze, sono stata invitata a una degustazione di etichette prodotte dai così detti VIWP, vale a dire dai very important wine people. Ma chi sono queste persone importanti produttori di vino? Cantanti, attori, politici, giornalisti e sportivi. In altre parole, tanto per fare i nomi: Carole Bouquet, Andrea Bocelli, Francesco Moser, Sting e Trudie Styler, Jarno Trulli, Renzo Rosso (Diesel), Giovanni Bulgari, Renato Brunetta, Massimo D’Alema e Bruno Vespa. La degustazione si è tenuta presso lo studio fotografico di Sandro Michaelles, autore dei ritratti dei produttori, ed era organizzata dal collega Riccardo Gabriele e dal suo team di PR Comunicare il vino.
PictureFrancesco Moser, foto Sandro Michaelles
Iniziamo subito dai vini che mi sono piaciuti. Prima di tutto va detto che al mio palato i vini bianchi e le bollicine sono risultati in assoluto assai più gradevoli dei rossi. Buono lo spumante Trento Doc 51,151 prodotto da Francesco Moser con una selezione di uve Chardonnay. Il nome del vino chiaramente omaggia il record dell’ora ottenuto dal nostro grande ciclista a Città del Messico nel 1984. Buono anche il Moscato giallo di Moser, anche se non è certo un vino facile da capire e da abbinare.
Gradevole lo spumante rosé prodotto in Umbria nella tenuta La Madeleine da Massimo D’Alema e dalla moglie Linda. Solo che il nome non si può proprio pronunciare: Nerosé. E’ evidente che voglia far capire che lo spumante è prodotto con Pinot Nero, ma insomma, mi pare un nome decisamente bruttino.  

Mi è piaciuto poi il bianco di Jarno Trulli, la cui azienda Podere Castorani si trova in Abruzzo in provincia di Pescara. Si tratta infatti di un Igt Colline Pescaresi prodotto con uve Trebbiano d’Abruzzo, Malvasia e Cococciola. Le uve sono o surmaturate in pianta oppure leggermente appassite, e dunque il vino va pensato – come suggeriva il mio collega Riccardo Margheri – in abbinamento a un formaggio a pasta dura un po’ stagionato più che insieme a piatti di pesce o carne bianca.

Notevole – senza alcun dubbio – il Passito di Pantelleria prodotto da Carole Bouquet: fresco, vellutato, persistente, tutto il contrario da quei “passitoni” noiosi e piatti che capita di degustare. Questo è veramente un vino piacevole da sorseggiare anche da solo senza particolari abbinamenti perché la sua freschezza basta a sé stessa. Anche in questo caso suggerirei un cambiamento di nome, perché quel Sangue d’Oro che probabilmente allude al sole di Pantelleria mi pare un po’ opprimente e pretenzioso. Preferisco la raccolta di poesia “Sangue e Oro” di André Ady, il poeta nazionale ungherese che ho studiato all’epoca dell’università. 
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Carole Bouquet, foto Sandro Michaelles
Ma c’è un altro vino bianco che mi è piaciuto, e siccome in questo caso sono riuscita a parlare a lungo con il produttore, ho deciso di dedicare più spazio a questa azienda laziale, a sud di Roma, che si chiama Capizucchi. Il produttore che ho conosciuto è Dario Diana ed è il figlio di Tommasa Giovannoni, ossia la moglie dell’onorevole Renato Brunetta. Il nome del vino Mater Divini Amoris fa riferimento all’omonimo santuario che si trova nelle prossimità dell’azienda e si tratta di una Malvasia del Lazio in purezza senza alcun invecchiamento in legno. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un vino fresco, gradevolmente agrumato e molto facile da bere. Non è un vino importante, ma è un vino assai ben fatto, e questa non è una cosa da poco secondo me. Sono stata colpita dalla semplicità e dalla passione con le quali Dario mi ha raccontato dei suoi 25 ettari di vigna impiantati da pochi anni nell’Agro romano.
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Dario e la sorella Serana, la madre Tommasa e Renato Brunetta, foto Sandro Michaelles
Lui non viene da scuole specifiche, ha come si suol dire iniziato sul campo e se ne è innamorato. E’ stato bello sentirgli dire: “Vorrei tornare a stare in vigna tutto il giorno, ogni vite è come un piccolo figlio”. Invece adesso Dario è impegnato a promuovere i suoi giovani vini, che sono già stati presentati alla scorsa edizione di Vinitaly. L’azienda produce varie etichette, tra le quali anche il blend Montepulciano d’Abruzzo Cabernet Sauvignon che porta il medesimo nome del vino bianco, ossia Mater Divini Amoris. In questo caso, pur trattandosi un vino più che corretto, la giovinezza dei vigneti si sente e quindi diventa difficile giudicare il vino oggi. Bisognerà attendere qualche anno per capire quanto i due vitigni riescano a esprimersi in un terreno vulcanico e in un microclima caratterizzato da forti sbalzi di temperatura che senza dubbio aiutano non poco le uve e sviluppare profumi. Il terreno dona mineralità ai vini, e nel bianco che ho degustato la mineralità e la sapidità erano ben presenti e sono entrambe caratteristiche a me ben gradite. Il goal aziendale è comunque quello di diventare i primi produttori di spumante laziale, ma anche per le bollicine bisognerà aspettare, anche perché non tutti i 25 ettari impiantati sono attualmente in produzione. Un’azienda giovane, dunque, che Dario dice essere molto amata da Renato Brunetta, da sempre appassionato di vini. Mi sono permessa di dire a Dario che difficilmente concordo con le idee politiche di Brunetta (in pratica quasi mai), ma grazie a questa degustazione ho trovato un punto di incontro anche con lui, e i punti di incontro sono sempre positivi. 
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Nasce il club dei  ristoranti amici del Chianti Classico

12/13/2018

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La vetrofania del Chianti Classico al Golden View di Firenze. www.patriziacantini.it
Il Consorzio Chianti Classico ha presentato una nuova iniziativa promozionale riservata al mondo della ristorazione. Con “Gli amici del Chianti Classico” il Consorzio intende non soltanto premiare quei ristoranti che si distinguono per l’ampia scelta di etichette della denominazione in carta, ma anche avvicinare sempre di più il mondo della ristorazione a quello dei produttori, per creare sinergie virtuose. L’iniziativa è stata presentata al ristorante Golden View di Firenze mercoledì 12 dicembre, alla presenza del presidente del Consorzio Giovanni Manetti, della direttrice Carlotta Gori, della PR & Comminication manager Silvia Fiorentini e del marketing manager Gerardo Giorgi. 
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Giovanni Manetti, presidente del Consorzio Chianti Classico. www.patriziacantini.it
L’azione fa parte dell’obiettivo che il presidente Manetti si è posto all’inizio del suo mandato, ossia quello di valorizzare ulteriormente la denominazione, e rafforzare il rapporto con i ristoratori rientra a pieno titolo in questo obiettivo. Il primo passo compiuto dal Consorzio per poter eleggere i primi ristoranti amici è stato quello di affidare all’agenzia 2night una sorta di mappatura delle carte dei vini dei ristoranti di Firenze, di Siena e del territorio di produzione del Chianti Classico. L’indagine ha evidenziato come il Chianti Classico rappresenti tra il 25 e il 30% di tutti i vini rossi toscani presenti nelle carte dei vini dei ristoranti presi in esame. Ci sono anche esempi virtuosi di ristoranti che offrono alla propria clientela una scelta tra 250 etichette di Chianti Classico, come pure ristoranti che hanno una sezione dedicata a questo vino nella propria carta. Da questa analisi sono stati stabiliti i criteri per entrare nel circolo degli amici del Chianti Classico, e a ora i ristoranti prescelti sono 53, dei quali 15 a Firenze, 12 a Siena e 26 nel territorio. 
PictureCarlotta Gori e Gerardo Giorgi. www.patriziacantini.it
A ogni ristorante viene dato un kit con benefit di riconoscimento ma, soprattutto ogni locale entra a far parte – come sottolineato dalla direttrice Gori – del circuito promozionale del Chianti Classico.
L’iniziativa sarà ripetuta nel 2019 a Milano e quindi in altre città italiane logisticamente importanti per i produttori del Chianti Classico. Per quanto riguarda l’estero, il Consorzio invece già da anni elegge degli ambasciatori (in genere sommelier o addetti agli acquisti di vino nei ristoranti, oltre che giornalisti) che diventano dei veri e propri portavoce della denominazione nel proprio paese. 

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Simbiosi a Firenze apre una caffetteria bristot

11/22/2018

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Via Ginori a Firenze diventa sempre più “simbiotica”. Sì, perché oltre alla pizzeria, al ristorante e allo street food, Simbiosi aprirà il 29 novembre anche il Simbiosi Organic Cafè & Lovely Bistrot. Al numero 64 rosso, proprio all’angolo con via Guelfa, Simbiosi dunque apre un nuovo locale che segue la medesima filosofia dei precedenti, ossia quello del biologico e dell’organico, possibilmente toscano. Se la filosofia rimane la stessa, la formula del nuovo Simbiosi è necessariamente diversa, e di concentra sulla caffetteria, con un menù concepito per andare incontro alle esigenze della colazione, di un pranzo leggero e, per la sera, di un wine-bar. 
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Nel menù si trova una vera e propria carta dei caffè, che provengono da quattro piccole torrefazioni artigianali: Ditta Artigianale, La Tosteria, D612 e Nero Scuro. Nella carta dei caffè vengono riportate le varietà, le zone di provenienza, le caratteristiche organolettiche e, infine, anche le loro migliori performance. In altre parole, viene spiegato se quella miscela si esalta in un cappuccino o in un americano, in un espresso o in un caffè latte. Oltre alla classica macchina per espresso, il locale propone anche il caffè filtro, che esalta gli aromi delle miscele. La proposta per la colazione comprende centrifughe, smoothies, succhi bio, tè e centrifughe, accompagnate da dolcezze varie. Alle 12 entrano in scena anche le insalate, che variano a seconda della stagione e dell’offerta del mercato. Infine, la sera si possono ordinare taglieri di salumi e formaggi, crostoni, tartare e tapas. I vini sono selezionati tra quelle aziende toscane che producono in regime biologico, e ci sarà anche un’offerta di birre biodinamiche. 
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Infine, ci saranno i cocktail, da quelli analcolici a quelli vintage e on the rocks. Anche per i cocktail i distillati e gli alcolici utilizzati provengono da piccole produzioni artigianali per  lo più toscane, e alcune delle quali del tutto biologiche.
I posti a sedere sono 15 e il locale resta aperto tutti i giorni, con orario 8-22 dal lunedì al venerdì e 9-22 il sabato e la domenica. Lo stile ripete quello degli altri, con il tipico aspetto dei mattoni a vista, ma con una parete realizzata con fondi di caffè dall’artista Giuseppe Battaglia. 
Pare dunque che Simbiosi e via Ginori abbiano trovato un vero e proprio rapporto simbiotico, e in effetti questa strada fiorentina, tanto centrale quanto per fortuna disertata dal turismo di massa, ben accoglie luoghi dal carattere forte e con un legame profondo con il territorio di appartenenza. Sarà sicuramente un altro successo.  


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Giovani olivicoltori crescono

11/14/2018

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Andrea e Stefano Gaudenzi, di 25 e 29 anni, hanno cominciato a piantare i nuovi 20 ettari di oliveto nel comune di Spoleto. E' un segno positivo, visto che l'Italia è l'unico paese al mondo dove la produzione di extra vergine è in  calo e dove il ricambio generazionale nel settore dell'olio è assai scarso. 
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Stefano (a sinistra) e Andrea tagliano il nastro del nuovo oliveto.
Ha finalmente preso il via l’impianto dei nuovi oliveti di proprietà di Andrea e Stefano Gaudenzi nell’azienda acquistata dai due fratelli lo scorso anno nel comune di Spoleto, ai piedi dei Monti Martani. Il primo olivo è stato messo a dimora in presenza dell’assessore regionale all’agricoltura Fernanda Cecchini, del sindaco di Spoleto Umberto De Augustinis e del sindaco di Trevi Bernardino Sperandio.
I 20 ettari di nuovi oliveti saranno completati a ottobre 2019, e l’impianto è organizzato in tre diverse fasi. La prima, che è appena iniziata, vedrà la messa a dimora di 2.000 piante, 1.400 delle quali di Frantoio e le restanti 600 di Leccino e Leccio del Corno. Seguirà a primavera prossima l’impianto di 1.000 piante di Moraiolo e infine, ad autunno 2019, gli oliveti saranno completati con altre 3.000 piante delle cultivar Sanfelice, Nostrale di Rigali e Dolce Agogia.
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Il luogo dove sta sorgendo il nuovo oliveto. Sullo sfondo i Monti Martani
Gli impianti sono stati progettati dall’agronomo Andrea Sisti del Landscape Office Agronomist di Perugia e presentano soluzioni tecnologiche innovative e del tutto inedite in Italia. Sisti ha infatti studiato le mappe aziendali a partire dal 1955 per poter mettere a punto un progetto che salvaguardi il paesaggio e al contempo consenta una perfetta gestione delle piante con un impatto ambientale ridotto al minimo. Sono stati prima di tutto individuati nove diversi “poderi” dove impiantare le diverse cultivar (tutte tipiche della Dop Umbria) e sono stati studiati i venti per poter orientare i filari degli impollinatori nella giusta posizione. I sesti di impianto sono accordati alle diverse cultivar e ogni podere avrà un proprio profilo organolettico ben definito. I terreni sono stati trattati in modo da garantire un adeguato drenaggio, e si è pensato al recupero delle acque in modo da alimentare un impianto di irrigazione di soccorso. Ma la soluzione tecnologica più innovativa è forse rappresentata dall’impianto ad aria compressa alimentato da energia fotovoltaica che metterà in funzione strumenti come le forbici per la potatura e gli scuotitoi per la raccolta, evitando in tal modo l’ingresso in campo dei trattori.
Il professor Maurizio Servili dell’Università di Perugia, che collabora da anni con la famiglia Gaudenzi, nel corso della presentazione del progetto ha voluto sottolineare l’importanza che due giovani abbiano deciso di dedicare la propria vita all’olivicoltura, in un momento in cui l’Italia è purtroppo l’unico paese al mondo dove la produzione di olio extra vergine diminuisce, a fronte di una Spagna che da sola rappresenta il 40% della produzione mondiale di olio. Andrea e Stefano Gaudenzi, di rispettivamente 25 e 29 anni, hanno semplicemente risposto che in frantoio sono nati e non vedevano per loro stessi altro panorama futuro se non quello di dedicarsi all’olio. Insomma, hanno abbracciato con felicità la loro vocazione di figli d’arte, e mamma Rossana e papà Francesco non possono che esserne felici e orgogliosi.
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I piccoli olivi in attesa di essere piantati.
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Barone Pizzini presenta Tesi 1

11/13/2018

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La celebre cantina della Franciacorta presenta un nuovo Extra Brut Metodo Tradizionale a base di un antico vitigno lombardo. 
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Barone Pizzini, la celebre cantina produttrice di Franciacorta, non è nuova alle sperimentazioni. Non è un caso che sia stata la prima a produrre un Franciacorta biologico e a concentrarsi su progetti che tengano conto delle esigenze ambientali e dei cambiamenti che stanno coinvolgendo tutta la vitivinicoltura europea. Primo tra tutti il cambiamento climatico, che nonostante sia negato da alcuni, è ogni giorno sotto i nostri occhi, a volte purtroppo in maniera anche troppo evidente.
Il cambiamento climatico nel mondo del vino nel giro di non troppi anni ha portato in molte zone vitivinicole alla produzione di uve che sviluppano contenuti zuccherini molto elevati, dando dunque vita a vini dall’alto tenore alcolico e caratterizzati da poca freschezza. Al contempo, il gusto del consumatore evoluto sta invece andando nella direzione contraria, chiedendo sempre più vini freschi, non troppo marcati dall’alcol e con una discreta acidità che li renda più facilmente bevibili. Molte delle sperimentazioni in corso in questi anni sono dunque impegnate a capire come produrre vini che vadano incontro a queste esigenze a fronte di estati sempre più calde con uve che rischiano di surmaturare sulle piante. Il recupero di antichi vitigni abbandonati o dimenticati fa parte di queste ricerche, e la provincia di Brescia già negli anni Ottanta aveva finanziato un progetto che ha portato alla riscoperta dell’Erbamat, un antico vitigno lombardo già attestato alla metà del XVI secolo in un volume dello studioso Agostino Gallo. L’Erbamat è un vitigno a bacca bianca caratterizzato dalla maturazione tardiva (a inizi ottobre), dal basso contenuto zuccherino e dall’elevata acidità. L’Erbamat è sensibile alle malattie, tende a produrre molto e non è facile da gestire, ma se messo a dimora in terreni poveri con portinnesti riduttivi può dare risultati assai interessanti per il Franciacorta.

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Silvano Brescianini
Barone Pizzini ha creduto nell’Erbamat da subito, tanto da impiantarlo nel 2008 per cominciare a studiarlo. Silvano Brescianini, direttore generale della cantina, racconta che l’Erbamat li ha fatti un po’ tribolare, proprio per la sua difficoltà a maturare; tuttavia lo considera “un pezzo di storia della Franciacorta”, e anche una probabile chiave di volta per poter continuare a produrre vini freschi. In Franciacorta altre cantine hanno seguito l’esempio di Barone Pizzini, ma a oggi solo l’azienda di Brescianini ha immesso sul mercato il primo risultato della sperimentazione sull’antico vitigno. Si chiama “Tesi 1” l’Extra Brut Metodo Tradizionale che è stato prodotto in solo 6.000 bottiglie, 4.000 delle quali destinate alla commercializzazione. Le altre resteranno in azienda per verificarne l’evoluzione negli anni. “Tesi 1” è il risultato di un uvaggio nel quale l’Erbamat rappresenta ben il 60%, mentre il restante 40% è suddiviso in parti uguali tra Pinot nero e Chardonnay. “Tesi 1” ha riposato 60 mesi sui lieviti e si presenta con un colore assai delicato, floreale al naso e piacevolmente agrumato in bocca. Il perlage è assai fine e la sapidità di questo Extra Brut ben si abbina ai crostacei, anche crudi.
“Tesi 1” sarà seguito da “Tesi 2” e da “Tesi 3”, che prevedono lo stesso uvaggio con diverso assemblaggio, in modo da poter continuare lo studio e la sperimentazione sull’Erbamat. Nel frattempo, il Consorzio Franciacorta non è certo stato a guardare, tanto da aver richiesto una modifica del disciplinare ammettendo, a partire dalla vendemmia del 2017, la presenza dell’Erbamat fino a un massimo del 10%.
Barone Pizzini è andato ben oltre il 10% ammesso dal disciplinare, e infatti “Tesi 1” non è un Franciacorta, ma visti i risultati e la grande piacevolezza del vino, sarà bene ringraziare Silvano Brescianini per aver saputo osare di più.  

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L'Associazione Produttori del Nizza cresce ancora

8/27/2018

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Un grappolo di Barbera nei vigneti del Nizza Docg
Nove nuovi soci per l’Associazione Produttori del Nizza, il sodalizio che nel giro di pochi anni ha “trasformato” quella che era una sottozona della Barbera d’Asti in una denominazione di origine controllata e garantita. Diventano così 59 gli aderenti all’associazione, che rappresenta quasi tutto il territorio con le sue cantine che si apprestano alla nuova vendemmia. Il presidente Gianni Bertolino, riconfermato alla guida del sodalizio lo scorso giugno, aveva promesso di adoperarsi per l’ingresso di nuovi soci, e questi sono puntualmente arrivati. In ordine alfabetico, si tratta di queste cantine: Alfiero Boffa, Azienda Agricola Corte San Pietro, Azienda Agricola La Giribaldina, Bianco Angelo e Figlio, Cascina Collina, Cascina Pesce, Dacasto Duilio, Gianni Doglia e Tenuta Garetto.
Adesso tutte le cantine si preparano alla vendemmia. L’andamento climatico della primavera e di parte dell’estate, che hanno visto abbondanti piogge, ha portato a una produzione piuttosto elevata di grappoli, e le aziende hanno proceduto a diradamenti mirati ed efficaci. Le uve sono sane e non si sono verificate malattie. Le grandinate che come ogni anno si sono verificate in zona sono state per fortuna molto localizzate. Alcuni vigneti sono stati purtroppo colpiti ma nel complesso i danni appaiono assai limitati e rientrano nella normale casistica che si registra ogni anno.
Come sempre, le ultime due settimane prima dell’inizio della vendemmia saranno decisive e tutti i produttori sperano che il tempo si mantenga bello e asciutto come in questi giorni. L’inizio della raccolta è previsto intorno al 15-20 settembre nelle zone dove l’uva matura con anticipo e verso la fine di settembre in quelle più tardive.
Poi, sarà necessario attendere la primavera prossima per poter fare un’effettiva valutazione dei vini e di conseguenza dell’annata.
 
Poi, sarà necessario attendere la primavera prossima per poter fare un’effettiva valutazione dei vini e di conseguenza dell’annata. 

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Il Grande Slam del Frantoio Franci

5/28/2018

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Giorgio Franci tra l'onorevole Renato Brunetta e il capo panel Marino Giorgetti
Australian Open, Open di Francia, Torneo di Wimbledon e U.S. Open: questi sono i tornei internazionali del tennis che compongono il Grande Slam. Un tennista conquista il Grande Slam quando li vince tutti e quattro nello stesso anno.
Non troppo diversamente ha fatto il Frantoio Franci, che nei primi cinque mesi dell’anno si è aggiudicato tutti i principali concorsi internazionali: il Leone d’Oro, il Sol d’Oro, il Sirena d’Oro e il Joop, oltre all’Ercole Olivario, al New York International Olive Oil Competition e allo EVO IOOC. (International Olive Oil Contest). Per la famiglia Franci è il quarto Leone d’Oro vinto, a partire dal primo arrivato nel 1999 con Villa Magra, la selezione che era comparsa per la prima volta sul mercato appena tre anni prima, nel 1996.
All’epoca, il Leone d’Oro era l’unico concorso internazionale per gli oli extra vergine di oliva, e divenne il punto di riferimento per tutte le competizioni a venire. Il simbolo del leone rampante con il ramo di olivo in bocca di ispirava a quello della medievale Arte degli Oliandoli, e i Mastri Oleari che lo idearono trassero spunto proprio dalle ferree regole che garantivano i prodotti artigiani dell’epoca per redigere quelle del concorso. Concorso, per altro, che fin da subito decise di decretare un solo vincitore per ogni categoria di fruttato. Il risultato di questa scelta portò come conseguenza il fatto che vincere un Leone d’Oro significava entrare nella storia; rappresentava una consacrazione, l’affermazione concreta e definitiva del valore qualitativo del prodotto.
Ricevere il quarto Leone d’Oro ha risvegliato in tutti i membri della famiglia Franci il ricordo per quella fortissima emozione provata nel 1999 quando arrivò la telefonata che annunciava la vittoria, e Giorgio ha ancora ben viva negli occhi l’immagine della premiazione alla quale presero parte ben tre ministri della Repubblica, a sottolineare l’ufficialità dell’evento e il meritato riconoscimento all’olivicoltura di qualità italiana e internazionale.
Oggi il Frantoio Franci è l’unico al mondo ad aver conseguito il Leone d’Oro per ben quattro volte. Ad aggiudicarselo quest’anno, nella categoria “blend”, è stato ancora una volta il Villa Magra, che sempre nel 2018 aveva poco prima vinto anche il Sol d’Oro. Un’annata davvero prolifica e generosa, in cui il frantoio di Montenero d’Orcia ha dimostrato in maniera inequivocabile l’eccellenza della propria produzione, conquistando tutti i titoli più prestigiosi sul panorama nazionale ed internazionale. E non sono state solo le Selezioni a salire sui podi, perché anche i prodotti della linea Base hanno conseguito risultati eccellenti in ognuno dei concorsi a cui hanno partecipato: il Toscano Igp è uno dei migliori extravergini a denominazione geografica dell’anno, vincitore dell’Ercole Olivario, del Sirena d’Oro e del titolo di “Best of Italy” per il Joop - Japan Olive Oil Prize. I Biologici invece hanno conquistato il Sol d’Argento, il “Best in Class” alla New York International Olive Oil Competition e, ultimo in ordine cronologico, il “Best International” allo EVO IOOC di Paestum, al quale hanno partecipato più di 500 oli.
Tutto questo a riprova della continuità qualitativa che accompagna da sempre il Frantoio Franci, un’azienda che ha saputo crescere e trasformarsi negli anni senza mai venir meno ai principi della propria filosofia produttiva, costruendosi così un ruolo determinante e di spessore nel proprio settore. A distanza di venti anni dalla prima bottiglia confezionata, Giorgio Franci ed il suo team riescono ancora a stupire e conquistare le platee di tutto il mondo e ad emergere fra centinaia di produttori e migliaia di oli. Una garanzia nel tempo, nonostante le annate siano spesso molto diverse l’una dall’altra e non sempre sia facile interpretarle al meglio. Ma un olio extravergine di elevata qualità non nasce per caso, bensì è il frutto del lavoro di tutto l’anno negli oliveti, della perfetta gestione delle piante, del saper affrontare in maniera professionale ogni piccola o grande avversità che l’annata presenta e, infine, del saper interpretare al meglio ogni singola partita di olive.
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Giorgio Franci premiato nel 1999 con il Leone d'Oro dall'allora Ministro per le Politiche Comunitarie Enrico Letta
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    Patrizia Cantini

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