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Un vino a chilometro zero (o quasi)

5/20/2017

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Il Chianti Classico Gran Selezione Valdonica del Castello di Verrazzano
Oggi il chilometro zero va di moda. Ma può esistere un vino a chilometro zero? Partiamo dall’uva; basta che i vigneti siano di proprietà e allora l’uva in effetti non dovrà viaggiare a lungo per arrivare in cantina. I lieviti poi possono essere autoctoni, e non devono necessariamente essere acquistati. Ma per quanto riguarda le botti dove il vino viene messo ad affinare il discorso è molto più complesso. I legni, come è noto, provengono normalmente dalla Francia o dalla Slavonia, e la grande maggioranza delle barrique vengono importate in Italia dall’estero. Insomma, il processo di invecchiamento in legno normalmente interrompe quel percorso virtuoso intrapreso dalla gran parte dei vitivinicoltori italiani, che vinificano solo uve dei vigneti di proprietà e che sono sempre più attenti all’impatto ambientale.
In Toscana, regione coperta al 50% da boschi, da tempo si stanno studiando e sperimentando nuove possibilità di utilizzo della tanta legna presente. Al di là della legna da ardere e delle biomasse per caldaie di nuova generazione, sia il governo regionale che istituti di ricerca si sono chiesti se fosse possibile ricreare in Toscana una filiera del legno che porti alla nascita di mobili o infissi prodotti con essenze dei boschi di casa. Ma c’è stato anche chi ha pensato a far rinascere il mestiere del bottaio, che in Toscana conta ormai su pochissimi artigiani. Già nel 2012 era nato il Consorzio Forestale del Chianti, ma la svolta si è avuta con il progetto PRO.VA.CI. (Progetto per la Valorizzazione della Produzione Legnosa dei Boschi del Chianti) portato avanti dalla Fondazione per il Clima e la Sostenibilità e diretto dal professor Raffaello Giannini. Dal progetto non solo è nato un libro, ma sono state fatte delle importanti sperimentazioni di invecchiamento di vino Sangiovese in botti di legno di castagno delle foreste chiantigiane.
E in queste botti di castagno del Chianti Luigi Cappellini, proprietario del Castello di Verrazzano di Greve, ha messo ad affinare il suo Sangiovese per produrre una etichetta di Chianti Classico Gran Selezione che si chiama Valdonica e che uscirà sui mercati il prossimo anno. La Gran Selezione Valdonica 2013 e 2015 è stata presentata in anteprima all’Accademia dei Georgofili di Firenze il 18 maggio, e la degustazione si è rivelata di estremo interesse. Questo vino elevato in legno al naso non presenta alcuna nota vanigliata tipica del rovere, ma appare fresco e floreale. I vini in degustazione per la verità erano due, affinati in botti di castagno di provenienza da due aree distinte delle foreste del Chianti. Si è in tal modo potuto apprezzare all’olfatto e al palato quanto la provenienza del legno incida, anche nel caso di un’area relativamente ristretta come quella del Chianti. Il castagno cede più tannini nell’immediato rispetto al rovere, ma allo stesso tempo permette una minore ossigenazione del vino. Il problema nasce dal fatto che le doghe di castagno devono essere segata e non spaccate come avviene per il rovere. La fibra di castagno, per la morfologia dell’albero infatti non permette di essere spaccata.
E’ bene dire che il processo è appena agli inizi e che siamo ben lontani dal poter dire di aver trovato quel perfetto equilibrio tra tannini del castagno e tannini del Sangiovese come in Francia si è fatto da tempo per il rovere e il Cabernet. Tuttavia il percorso appare interessante e potrebbe avere ripercussioni notevoli su tutto il territorio, e portare anche alla rinascita di lavori come quello del bottaio. Immaginate che bello: castagneti coltivati come giardini per produrre legni pregiati destinati a botti per altrettanto pregiati vini. Intanto nel 2018 non perdetevi il Chianti Classico Gran Selezione Valdonica del Castello di Verrazzano, perché si tratta di un vino originale e dal gusto molto particolare.
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