Patrizia Cantini Wine & Food Communication
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Vino, anfore e mare

12/13/2021

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Anfore e vino sono ormai un binomio ben conosciuto anche in Italia e una delle principali aziende produttrici a livello internazionale, e la sola del nostro paese si trova all’Impruneta. Si chiama Artenova di Leonardo Parisi, ed è nata una trentina di anni fa. La fornace fino a 11 anni fa produceva i classici manufatti artistici in terracotta, ma Parisi intuì subito il futuro delle anfore da vino e convertì la produzione. E’ stata un’intuizione felice e oggi Artenova esporta le sue anfore dagli Stati Uniti al Sud Africa. Questi splendidi vasi vinari, che arrivano fino a una capacità di 800 litri, vengono prodotti interamente a mano, con argilla impastata con acqua. Il procedimento è molto lungo: un mese e mezzo per forgiare l’anfora, che poi ha bisogno di 2-3 settimane per seccare e quindi per passare nel forno per la necessaria cottura.
Le anfore, come tutti sanno, sono il più antico contenitore da vino e vennero usate dai primi produttori per poi arrivare ai greci e ai romani. La particolarità della terracotta è quella di non alterare le caratteristiche organolettiche del vitigno utilizzato e dunque di preservarne gli aromi primari. La tecnica si sta diffondendo sempre di più e nel nostro paese sono stati i friulani a utilizzarla per primi. Oggi possiamo trovare anfore in molte cantine e uno dei maggiori sostenitori di questa tecnologia è Antonio Arrighi, produttore all’isola d’Elba, nell’omonima azienda di Porto Azzurro.
Arrighi e Parisi collaborano ormai da anni e proprio le anfore che nascono all’Impruneta sono protagoniste di quello che doveva essere soltanto un esperimento e che poi invece si è trasformato in un vino vero e proprio che viene prodotto ogni anno in un numero estremamente limitato di bottiglie. Il suo nome è Nesos, e la sua storia è estremamente affascinante. 

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Leonardo Parisi e Antonio Arrighi
Qualche anno fa l’Associazione Italiana Sommelier dell’Isola d’Elba organizzò un convegno al quale invitò il professor Attilio Scienza, che decise di parlare dei vini di Chio, molto apprezzati in epoca greco-romana. Si trattava di vini dolci, che riuscivano a viaggiare e venivano portati con le navi fino a Marsiglia. La particolarità di questi vini era che le uve venivano immerse nell’acqua di mare prima di essere vinificate. Il sale attacca la pruina che avvolge gli acini, rendendo poi più rapido il loro appassimento al sole. Dunque i greci avevano inventano questa tecnica per poter accelerare i tempi di appassimento delle uve e una maggiore estrazione di aromi dalle bucce. Antonio Arrighi, presente al convegno, restò talmente affascinato dal racconto che decise di provare, e nel 2018 ottenne dalla Capitaneria di Porto il permesso di immergere le uve a 10 metri di profondità per 5 giorni in piccole nasse di vimini. Il progetto di Arrighi è stato seguito sia da Scienza che da Angela Zinnai e Francesca Venturi del corso di Viticoltura ed Enologia dell’Università di Pisa. Nesos, prodotto in sole 40 bottiglie, venne presentato alla stampa nel 2019, e io ebbi la fortuna di poter assistere alla presentazione e degustare il vino.
Il risvolto mediatico ottenuto da Nesos è stato talmente grande da spingere Arrighi a continuare a produrlo e con la vendemmia 2021 la produzione dovrebbe aggirarsi intorno alle 300 bottiglie che vengono vendute a 200 euro ciascuna. Il vino è prodotto con sole uve Ansonica, che dopo il primo esperimento vengono immerse in mare solo per 3 giorni, perché il sale attacca molto velocemente la pruina. Una volta recuperate dalle acque del mare di Porto Azzurro, le uve non vengono asciugare e sono lasciate ad appassire al sole distese su stuoie. Si tratta di un appassimento breve per ottenere non un vino dolce come quello di Chio ma un vino secco. Dopo l’appassimento gli acini, private dei raspi, vengono pigiati e quindi immessi nelle anfore di Artenova e lasciati con le bucce fino a primavera. Il vino viene quindi svinato e regolarmente imbottigliato.

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Nesos
Proprio nella fornace di Artenova si è svolta una degustazione dei vini di Arrighi vinificati in parte o del tutto in anfora, e insieme a Nesos abbiamo potuto assaggiare Valerius 2020, anche questo un Ansonica al 100% prodotto in 2000 bottiglie, con un bel profumo fresco e floreale e con un palato sapido e piacevolmente acidulo. Hermia 2020 è invece un Viognier in purezza, per il quale Arrighi ha scelto una lunga macerazione di sei mesi in anfore da 800 litri. Vino profumatissimo, con penetranti sentori di agrumi e di albicocca, al palato è fresco e piacevole e assolutamente aderente al vitigno. Anche V.I.P. è un Viogner in purezza, ma stavolta si tratta di un vino vinificato in acciaio e poi passato in barrique non nuove e provenienti dalla Borgogna, e dunque dove ha riposato lo Chardonnay. Poi abbiamo degustato Tresse 2018, il cui nome fa riferimento ai tre vitigni che lo compongono: Sangiovese, Syrah e Sagrantino (3 S appunto). Il vino viene prima vinificato in acciaio per poi passare in anfora senza le bucce. I tre vitigni naturalmente vengono vinificati e affinati separatamente e poi uniti per tornare in anfora per altri 18 mesi. Insieme a quelli di Arrighi poi la degustazione ha presentato altri vini sempre prodotti in anfore di Artenova, tra i quali vale la pena di segnalare Alberata 2019 della Tenuta Fontana di Pietrelcino, in provincia di Benevento. Alberata è un Asprinio di Aversa, fermentato e affinato in anfora. Al colore arancio naturale tipico del vitigno Asprinio il vino accompagnava un naso nel quale dominavano le note calde di pera, nocciola e arachidi. Molto piacevole in bocca, con note acidule di mandarino, una vera sorpresa.
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Un'anfora da 800 litri ad asciugare prima di passare nella fornace.
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