Patrizia Cantini Wine & Food Communication
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A Montevertine a potare le viti

5/25/2012

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Ieri 24 maggio, insieme ad alcuni colleghi dell'Aset (l'Associazione stampa enogastroagroalimentare toscana), sono andata a potare le viti a Montevertine, la splendida azienda nota in tutto il mondo per le sue Pergole Torte, il primo caso eclatante di vino prodotto con sole uve Sangiovese.
Forse dire "potare le viti" è un po' eccessivo, diciamo che Martino Manetti e il fattore Bruno ci hanno spiegato come si potano le viti. La cosa più eccitante - al di là di essere per una volta in campagna e non davanti al computer - è stato capire che non esiste un metodo uguale per ogni pianta, perché ogni vite è diversa e presenta una vigoria tutta sua.
Per le viti, esattamente come per le persone, bisogna ogni volta porsi con occhi nuovi. Bisogna osservare quanti grappoli per ogni tralcio, quante foglie, e volta per volta giudicare cosa e quanto sacrificare. Bruno naturalmente non ci ha lasciato mai soli, e ha fatto bene. Il suo sguardo era un po' preoccupato, perché avere in vigna 5 giornalisti incompetenti (almeno in fatto di potatura) è una responsabilità, per le viti e non certo per i giornalisti.
Noi ci siamo subito resi conto del rischio e quindi ce ne siamo guardati bene dal togliere anche solo una piccola foglia senza che prima lui o Martino ci abbiano dato l'ok.
Ma è stato bello vedere che anche in un lasso di tempo breve qualcosa si può capire: non si devono togliere le foglie dopo il grappolo; se ci sono più grappoli nello stesso tralcio va sacrificato quello più stento, che normalmente nasce più lontano dalla pianta e che da questa necessariamente riceverà meno nutrimento. Le piante più giovani producono meno e hanno meno bisogno di potatura, quelle più vecchie invece devono essere osservate attentamente, cercando di infilare le mani tra i tralci e i piccoli grappoli per giudicare e poi decidere.
Grande esperienza, che è culminata con un sontuoso pasto introdotto da foglie di salvia fritte con acciughina all'interno, vassoio di salumi di produzione propria con un prosciutto insuperabile, pappardelle del sul capriolo e capriolo in umido e schiacciata con l'uva (a Montevertine congelano un po' d'uva per poter fare la schiacciata tutto l'anno).
Grazie a Liviana e Martino Manetti, grazie a Bruno e a sua moglie cuoca sopraffina e grazie anche al capriolo, che per aver osato entrare nei vigneti di Montevertine è stato sacrificato a tutto nostro vantaggio. 

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Colpa delle banche o dei vitivinicoltori?

5/21/2012

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Stamattina al Palazzo dei Congressi di Firenze si è tenuto il convegno "Credito: sviluppo nel settore vitivinicolo" organizzato dal Consorzio Vino Chianti. Nella sua prolusione di inizio lavori, il presidente del Consorzio Giovanni Busi ha lanciato una pesante accusa alle banche e a Fidi Toscana: nonostante l'accordo siglato nel 2011 tra Regione Toscana, Fidi Toscana e i grandi consorzi del vino, i termini dell'intesa sono rimasti lettera morta. Secondo Busi il problema nasce dal sistema di rating che si basa su criteri non adeguati alle aziende agricole e realizzati a suo tempo per imprese industriali e commerciali, che hanno tempo di realizzo e di guadagno ben più brevi di quelle agricole. Alle accuse ha subito risposto Giovanni Ricciardi di Fidi Toscana, che ha replicato che in realtà sono le aziende agricole che non richiedono finanziamenti. Secondo Ricciardi il comparto agricolo toscano sta godendo di risorse ben più ingenti rispetto agli altri settori produttivi, eppure le aziende non richiedono crediti. Secondo Ricciardi le poche richieste di finanziamento pervenute sono state quasi tutte accolte, e l'incidenza di bocciature è allo stato attuale molto bassa. Insomma, non è colpa di Fidi Toscana se le richieste di finanziamento non arrivano.
Possibile che in una Regione come la Toscana, dove ogni anno in agricoltura vengono impiegati tutti i soldi messi a disposizione dall'Unione Europea per il miglioramento, la diversificazione, la promozione, la filiera corta, l'acquisto di macchinari ecc. le aziende non richiedano credito? Difficile pensare che sia così. Non sembra pensarlo neppure l'assessore all'agricoltura della Regione Toscana Gianni Salvadori, che in chiusura lavori ha lanciato un pesante monito alle banche, che secondo lui negli ultimi tempi hanno avuto tutti i soldi possibili (e lo sappiamo bene tutti questo) senza rimetterne in circolo più di tanti ai fini della crescita. Per questo Salvadori ha fatto una proposta precisa alle banche: riunirsi a un tavolo di lavoro, compresa Fidi Toscana, per trovare una via di uscita. Tra pochi giorni la Regione erogherà circa 20 milioni di euro per il reimpianto dei vigneti, che andranno a coprire meno del 30% dei reali investimenti fatti dai vitinivicoltori. Bisogna dunque trovare, secondo l'assessore, gli altri circa 45 milioni che mancano. Da dove uscirà questa cifra? E' probabile che come sempre i vitivinicoltori dovranno frugarsi in tasca, perché non mi pare che le banche abbiano voglia di partecipare al rilancio del paese.

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A cena a I Balzini in compagnia di Marco Vichi

5/9/2012

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Grande serata ieri sera a cena da Antonella e Vincenzo D'Isanto, nella loro azienda I Balzini di Barberino Val d'Elsa. L'occasione è nata dalla presentazione in Comune del nuovo romanzo "La vendetta" dello scrittore fiorentino Marco Vichi, molto amato per i suoi romanzi polizieschi che hanno dato vita al commissario Bordelli. Antonella lo conosceva e ha colto al volo l'occasione per invitarlo a cena. Io ho portato un po' di amici giornalisti toscani. C'erano Franco De Felice, Nadia Fondelli, Stefano Tesi, Francesca Pinocchi. Marco Ghelfi, Raffaella Galamini, Andrea Cappelli, Bruno Bruchi, Mariangela Della Monica e Alessandro Maurilli. I piatti erano stati tutti preparati da Antonella e da sua figlia Diana, che sono tutte e due delle maghe in cucina. Ne è venuta fuori una serata come da tempo non vivevo: brillante, divertente e ricca di invettive. A dimostrazione di come una buona tavola, degli ottimi vini e un gruppo di persone intelligenti siano ancora i soli ingredienti che possano rendere una cena in cantina una serata magnifica. Grazie anche ai nostri ospiti Antonella e Vincenzo, che hanno il raro dono di saper aprire la propria casa in maniera del tutto naturale e che sono capaci di far sentire tutti subito a proprio agio.


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Oggi pasta "a casa"

5/8/2012

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Sui quotidiani e i settimanali si moltiplicano gli articoli che parlano dell'espandersi del fenomeno dei ristoranti in casa. Tra Londra e New York ce ne sono sempre di più, e c'è da credere che tra un po' appariranno sulle guide, oppure se ne farà una guida a parte. Anche in Italia i ristoranti "pirata" non mancano, solo che da noi la legislazione evidentemente è più severa e la lobby dei ristoratori è più forte. In Cina invece la moda è quella di affittare un ristorante e cucinarvi in proprio invitando amici e colleghi di lavoro.
Il fenomeno è interessante e merita una riflessione. Senza dubbio la crisi economica che ha colpito tutto il mondo occidentale è alla base di buona parte di questo movimento che sposta i consumi dai ristoranti alle case private, dove per altro si può in alcuni casi cenare con gli ospiti mentre in altri si viene accolti in tavoli singoli esattamente come se fossimo in un locale pubblico. Ma la crisi economica non può spiegare tutto, perché la voglia di casa e di cucina familiare è un fatto che non può essere smentito e tanto meno sottovalutato. Forse le guide hanno troppo pompato la cucina moderna, destrutturata, molecolare o qualunque essa sia. Forse anche in materia di cibo siamo andati troppo in là, come nel caso della finanza creativa. E quindi anche la cucina creativa sta venendo a noia: ce n'è troppa sui giornali e in televisione. Vogliamo parlare degli chef? Anche tra loro qualcosa sta cambiando: dopo i suicidi per la perdita delle stelle, gli abbandoni delle stelle e i ritiri a vita privata, forse qualcuno incomincia a chiedersi se la cucina eletta a opera d'arte non sia un eccesso tipico della schizofrenia moderna. Un piatto, per quanto ben costruito e ottimo al palato, non può essere considerato un'opera d'arte, e gli chef non sono né pittori né scultori, sono soltanto dei maestri del loro mestiere. Non è un caso che lo scorso Natale su molti giornali sono apparse interviste ai grandi cuochi internazionali che alla fatidica domanda "Quale è il piatto del tuo cuore" hanno risposto ritirando fuori le ricette delle mamme, delle nonne e anche dei padri. Forse anche loro vorrebbero andare a cena a casa di qualche signora inglese ancora in grado di fare un buon stufato. Se qualcuno volesse venire da me gli proporrei i ravioli di pasta verde con spinaci e ricotta conditi con un buon ragù di carne cotto tre ore, come quello di mia madre e della mia nonna.

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Il mio orticello di spezie

5/2/2012

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Sto leggendo "Manifesto per la terra e per l'uomo" di Pierre Rabhi, il franco algerino che risiede in Ardeche dove ha creato una fattoria ispirata all'agroecologia, concetto che lo stesso Rabhi ha in buona parte elaborato. "L'agroecologia è una tecnica ispirata alle leggi di natura, secondo cui la pratica agricola non deve essere relegata a una tecnica, ma deve prendere in considerazione l'insieme dell'ambiente nel quale si inscrive, utilizzando i criteri di una vera ecologia": con queste parole Rabhi spiega la filosofia alla base della sua fattoria e della sua intera esistenza. Se tutti noi, scrive Rabhi, facessimo anche un piccolo gesto nei confronti dell'agroecologia, applicandola anche in piccola parte, il mondo sarebbe meno schiavo delle multinazionali dei semi e del cibo e sorgerebbe un nuovo Umanesimo, che riporterebbe l'uomo al centro dell'universo riprendendosi quel posto che la finanza da deceni gli ha rubato.
Io quel piccolo gesto l'ho fatto. Vivo in centro a Firenze e non ho neppure una terrazza, ma a Traserra, sull'Appennino bolognese dove ho una casa di famiglia, mi sto sforzando di far nascere qualcosa che serva alla mia famiglia e allo stesso tempo all'ambiente. Non vivendo là e non potendomi permettere un vero orto, ho optato per le spezie, i frutti di bosco e gli alberi da frutto. Ho un melo antico piantato l'anno scorso, e poi ci sono i peri e i susini messi da mio padre. Poi ho ribes, mirtillo e lampone e infine loro, le mie care piccole spezie: dalla santoreggia al dragoncello, dalla salvia al rosmarino, dalla menta alla nepitella e così via. E' il mio sfogo ma anche in parte il mio futuro, perché sinceramente non penso che si possa passare l'intera esistenza davanti al computer.
E' il mio piccolo gesto affinché l'orto del mio nonno non muoia e perché mia figlia un giorno possa avere delle piante tutte sue, anche lei da curare e da usare come sfogo a una vita troppo costretta da leggi ben lontane dall'essere umano in quanto tale. La tanta letteratura letta mi ha riportata alla terra, e quando sono tra le mie piante mi sento serenamente felice.

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