Patrizia Cantini Wine & Food Communication
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Chi sono io per giudicare? 

2/10/2016

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“Chi sono io per giudicare?”, la celebre frase di papa Francesco era riferita, come tutti ben sappiamo, al mondo degli omosessuali. Io voglio provare invece a riferirla al mondo del Family Day. E allora: “Chi sono io per giudicare?” Probabilmente nessuno; eppure non posso negare che quelle persone, giovani e adulti, vecchi e bambini, quelle famiglie che hanno sfilato per il Family Day mi mettono profondamente a disagio e mi danno anche un grande senso di estraniazione.
Ma chi sono io? Sono una eterosessuale sposata con prole. Ma sono anche stata per tanti anni genitore unico, e non posso dimenticare le angosce provate per la paura che mi potesse accadere qualcosa. Cosa sarebbe accaduto a mia figlia se io fossi morta per malattia o incidente? Dunque, qualche ragione per giudicare ritengo di averla, e posso dire che quelle famiglie, così convinte di essere nella ragione assoluta – terrena e divina – mi danno profondamente fastidio.

Cos'è la famiglia? Per me la famiglia è il luogo degli affetti e del soccorso. Questo significa che la famiglia è un concetto vago, perché ognuno di noi questo luogo degli affetti e del soccorso può trovarlo al di fuori del nucleo familiare inteso in senso stretto, ossia quello codificato dalla legge dell'uomo (che lo sia anche dalla legge divina nutro dei seri dubbi).
Per anni ho considerato come mia famiglia quelle due amiche fantastiche che mi accompagnano da anni e che mi hanno raccolta e confortata anche quando sapevano che stavo sbagliando in pieno (e spesso lo sapevo anche io). La famiglia è il luogo dell'accettazione, del non giudizio e del dubbio. Il dubbio, questo strano concetto così alieno dall'uomo moderno che vive di certezze. Solo con il dubbio invece si conquistano delle verità, mai assolute per carità, ma a noi piccoli mortali bastano delle verità piccole, che ci facciano crescere in consapevolezza e fiducia, e che ci facciano guardare il mondo a occhi aperti.
Ecco, io penso che le famiglie del Family Day vivano con gli occhi chiusi. Non vedono evidentemente quelle centinaia di bambini italiani con due mamme o due babbi che vanno a scuola con i loro figli e che con loro dividono giochi e apprendimento. Cosa ne facciamo di questi bambini? Vogliamo buttarli via? Veramente pensano che bloccare una legge o riuscire a farne abortire (non uso questo verbo a caso) una parte cancelli i mutamenti in essere nella nostra società o i desideri dei singoli? Le famiglie omosessuali sono un dato di fatto, e se ne ha preso atto papa Francesco forse le altre famiglie, quelle del Family Day, dovrebbero fare altrettanto e darsi pace.
Infine, un pensiero per Grillo e per la sua libertà di coscienza. Personalmente dubito che questa sua ultima sortita derivi da una volontà di lasciare ai singoli parlamentari del Movimento una libertà di riflessione interiore che faccia entro ognuno di loro chiarezza sul voto da dare. Penso al contrario che sia l'ennesimo tentativo di dare fastidio al governo Renzi. Io sono fiorentina, e posso assicurarvi che i modi di fare di Renzi mi infastidiscono al pari delle famiglie del Family Day. Questa città che ha dato vita all'Umanesimo (si parla sempre di Rinascimento, ma la vera rinascita va fatta risalire all'epoca precedente, ossia a quella dell'Umanesimo) difficilmente può riconoscersi nei toni arroganti cui spesso il nostro premier ricorre. Tuttavia, questo è il primo governo italiano che prende sul serio la materia dei diritti civili e che sta cercando di portare l'Italia a un livello di decenza sociale. Solo per questo tollero i toni sarcastici di Renzi e quella sua spavalderia che ritrovo così poco nell'indole della mia città.
E per chi non è fiorentino vorrei ricordare che proprio grazie all'Umanesimo e alla riscoperta della Grecia, a secoli di distanza, ossia negli anni Settanta del secolo scorso, gli omosessuali e i trans italiani spesso decidevano di venire a vivere a Firenze, perché la città li accoglieva senza troppi pregiudizi. Saremo anche antipaciti e presuntuosi, ma in quanto a tolleranza e a modernità non prendiamo lezioni da nessuno, né dalle famiglie esclusiviste del Family Day né da un ex comico alleato con un catastrofista visionario che in tanti anni di vita non ha neppure imparato a usare un semplice pettine.


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L'UE dichiara guerra agli orti 

5/30/2013

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Voglio raccontarvi due fatti – di segno evidentemente opposto – che sono avvenuti recentemente. A Firenze, in occasione di “Terra Futura”, Vandana Shiva ha presentato la campagna “Semi di libertà. Giardini della Speranza”. Per chi non conoscesse Vandana basterà dire che la scienziata indiana da anni si batte per la salvaguardia della biodiversità, per la tutela delle razze animali e – soprattutto – per la libertà dei semi. I semi ormai da decenni sono in mano alle multinazionali. La Monsanto e la Dupont sono le due principali che operano a livello globale imponendo ai contadini di acquistare ogni anno le sementi da loro prodotte che sono stare rese sterili in modo che non possano generare altri semi. Il business è immenso e globale, ma è molto più complesso di quanto si possa pensare a prima vista. Non si tratta infatti soltanto di costringere gli agricoltori ad acquistare semi ogni anno, ma il progetto che la Monsanto e le altre hanno è quello di “dominare” l'agroalimentare a livello planetario. In altre parole, vogliono comandare sul cibo e imporre a tutti indiscriminatamente quello che deve essere seminato e quindi alla fine del processo messo in tavola. Chi ha avuto la fortuna di vedere il film documentario “Seeds of freedom” (www.seedsoffreedom.info) conosce perfettamente il “ciclo virtuoso” fatto di semi che danno origine a piante che hanno bisogno di particolari fertilizzanti e anti parassitari ancora una volta prodotti dalle multinazionali. Vandana Shiva è riuscita a far nascere un movimento di opinione che genera dibattiti in tutto il mondo.
La Regione Toscana ha molto supportato Vandana e la sua organizzazione denominata Navdanya International, che ha sede a Firenze e che ha trovato in Maria Grazia Mammuccini una vice presidente di valore e che conosce le tematiche a fondo.
Dunque, mentre Vandana chiedeva ai piccoli agricoltori di creare “giardini di semi” per salvaguardare le migliaia di specie vegetali a rischio, la Commissione Europea aveva adottato una proposta di legge ora al vaglio del Parlamento e del Governo comunitario che, se approvata, non solo amplia la possibilità di commercializzare i semi delle piante brevettate dalle multinazionali, ma limita ancora di più la libertà dei contadini.
Tradotto in parole povere, è possibile che nel prossimo futuro tutti quelli che hanno un piccolo orto (magari sul balcone) siano costretti ad acquistare sementi brevettate e perda la libertà di coltivare i pomodori che preferisce.
Non ho intenzione di commentare la follia di questa proposta di legge perché è evidente. ,a voglio puntare l'attenzione su un altro aspetto della vicenda, che forse potrebbe avere dei risvolti positivi.
Ora, sinceramente, che bisogno aveva l'Unione Europea di entrare in un “campo” (in tutti i sensi) di così difficile controllo? Chi andrà a controllare ogni orticello amatoriale del pianeta? Chi controllerà che il contadino domenicale non si autoproduca le proprie sementi? E chi lo manderà in galera se colto con le mani nel sacco dei semi? E' evidente che dietro questa proposta di legge non ci sono certo le nazioni mediterranee ma più probabilmente quelle del nord Europa che praticano l'agricoltura estensiva e intensiva.
Ma dietro tutto questo può darsi che si celi un timore, e questo secondo me è il lato positivo della vicenda. I giornali e le riviste sono pieni di consigli per l'orto fai da te e la discussione sugli Ogm e sulla libertà dei semi ormai si fa sempre più serrata e globale. Le giovani generazioni mostrano grande sensibilità in materia, e se ne parla anche nelle scuole primarie e secondarie. Che le grandi multinazionali incomincino ad avere paura?
Può darsi, e sinceramente me lo auguro. Penso che se ognuno di noi, sul balcone o in giardino, iniziasse a piantare semi di piante rare (sia per consumo alimentare che non) sarebbe un segno di ribellione a un diktat che vogliono imporci. Le rivoluzioni iniziano sempre dal basso e difficilmente i governi riescono a fermarle. Tanto meno riusciranno a fermare le api.
Allora iniziamo, e se proprio dobbiamo essere perseguiti penalmente per aver piantato semi di piante non “omologate” dai geni dell'Unione Europea riempiamo le patrie galere insieme alle nostre piante.
Io ci andrò con il mio albero da frutto antico (mela renetta ananas) che ho piantato due anni fa e che se ne sta beato sull'Appennino emiliano. Se volete venire a sequestrarlo potete trovarlo in località Fabiana, frazione Trasserra, comune di Camugnano, provincia di Bologna. L'indirizzo a questo punto lo avete.

Leggi a questo link http://www.infiltrato.it/notizie/italia/follia-ue-vietato-prodursi-cibo-piccoli-orti-fuorilegge-come-la-tecnocrazia-vuole-affamare-il-popolo


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Solo la cultura può salvare l'Italia

3/5/2013

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Peccato che Curzio Maltese lo abbia scritto solo adesso, sul “Venerdì” del 1° marzo, che “urge un po' di cultura”. Nel suo ultimo “Contromano” il giornalista parla dello squallore della passata campagna elettorale, a suo dire la peggiore mai vista. Ne ricorda i momenti più inquietanti e poi, tirando le fila del suo discorso, ammette che tutto questo si è verificato per l'abbassamento della cultura generale. E scrive: “Non sappiamo pensare in maniera complessa, quindi non sappiamo neppure più produrre in maniera moderna. Più della metà degli italiani, sostiene un grande studioso come Tullio De Mauro, sono da considerare analfabeti. Per trovare nelle classifiche Ocse un paese che legge di meno e capisce di meno il poco che legge, occorre scendere ai livelli di alcune aree dell'America Latina, le più povere. E' una tragedia antica, sulla quale è calato come una mannaia il ventennio berlusconiano: oggi chi invoca investimenti nella cultura è considerato un parassita o uno snob. Invece la cultura è l'unica possibile leva per creare un paese più giusto, per rimettere in moto una società di caste dove la nascita decide al novanta per cento il futuro di un ragazzo”.
Peccato, dicevo, che Maltese abbia scritto questo soltanto adesso. Ma anche i suoi colleghi, in generale, non hanno certo brillato negli ultimi anni nel parlare della necessità di cultura. Ricordate l'unico dei nostri politici che invece di cultura ha parlato molte volte? Si chiama Matteo Renzi, ed è stato – in procinto delle primarie – snobbato da molti, e da molti temuti come il nuovo di cui per principio è bene diffidare.
Al di là di Matteo Renzi, chi mi conosce sa che da mesi sostengo che l'Italia oggi ha bisogno di intellettuali più che di politici. Perché la cultura è la sola che ci può ridare il senso delle cose. La cultura è quella che ci fa trovare gli scopi all'interno di una vita necessariamente limitata e necessariamente destinata a finire. La cultura è l'unica in grado di riportarci a quel concetto circolare del tempo dell'uomo che invece la società consumistica ha trasformato in un tempo orizzontale, tutto diritto. Il tempo orizzontale significa che la vita umana scorre in un'unica direzione: vietato invecchiare, vietato stancarsi, vietato perdersi in sogni e desideri. Si va dritti alla tomba senza fermarsi a pensare, a sorridere e - soprattutto – a capire. Non siamo più capaci di concepire un progetto a lunga scadenza, perché noi dobbiamo esserne assoluti protagonisti. Non abbiamo più voglia di lasciare niente neppure ai nostri figli. L'egocentrismo, quello splendido sentimento del sé che fino a qualche decennio fa ci ha regalato grandi poeti e grandi scrittori, oggi si esaurisce in quel piccolo lampo che è la vita di ognuno di noi. Per questo i nostri politici rubano tanto, perché il piatto delle aragoste ormai è diventato il simbolo del successo personale all'interno di un mondo impoverito di valori e significati. La volgarità di personaggi come Roberto Formigoni, Nicole Minetti e Franco Fiorito sono gli esiti più evidenti della mancanza di cultura in Italia. E non si può dare tutta la colpa a Berlusconi, perché personaggi del Pd come D'Alema e la Bindi hanno fatto la loro parte in questo processo. Non a caso questi ultimi sono stati i più acerrimi nemici del rinnovamento all'interno del loro partito, e oggi continuano a proporre “soluzioni” che salvino la loro poltrona.
E' dalla scuola che bisogna ricominciare, quella scuola che la destra ha fatto di tutto per distruggere e che la sinistra non ha saputo difendere. Quella scuola che significa futuro, non il nostro, ma quello dei nostri figli. Bisogna tornare a pensare che il nostro tempo è ciclico, che a noi succederanno altri che faranno probabilmente meglio di noi. Quella generazione monolitica che non sbaglia mai forse è alla fine, i più giovani – che sono più colti – nutrono per fortuna dei dubbi. Nei dubbi si cresce e si matura perché si mettono a confronto le soluzioni. La cultura, infine, in un paese come l'Italia significa migliaia (se non milioni) di posti di lavoro. Questo è un buon punto di ripartenza, e secondo me l'unico.


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L'Autunno del Medioevo

12/11/2012

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C'è del marcio a Montalcino

12/4/2012

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Panorama di Montalcino
Quanto accaduto nella notte tra il 2 e il 3 dicembre nella cantina di Soldera a Montalcino lascia sgomenti: qualcuno ha sfondato una finestra (antisfondamento) e ha aperto i rubinetti di tutte le botti della cantina. Il risultato è che oltre 600 ettolitri di Brunello di Montalcino sono finiti nelle fogne portandosi via la produzione degli anni che vanno dal 2007 al 2012. Sei vendemmie preziose di uno dei produttori più significati di Montalcino, poco amato - è vero - e spesso scomodo, ma comunque un grande. Gianfranco Soldera, originario di Treviso ma vissuto a Milano e approdato a Montalcino dopo molti anni passati come broker assicurativo, non ha mai avuto peli sulla lingua, e questa sua capacità di denuncia lo ha visto accusato di aver dato vita a Brunellopoli, la più grande operazione condotta dalla Guardia di Finanza tra i vigneti ilcinesi, che ha messo in luce (oltre a tante piante di Cabernet e di Merlot) una situazione nota a tanti di noi giornalisti ma sulla quale avevano chiuso gli occhi in tanti, per complicità e convenienza. Il Brunello prodotto con buona parte di Merlot e Cabernet è stata la strada più facile per compiacere quei palati, statunitensi soprattutto, che non capiscono il Sangiovese e che, fedeli ai diktat di Robert Parker, volevano soltanto vini ricchi di corpo, alcol e legno. In altre parole, vini privi di personalità ma certamente più facili da capire per chi non ha voglia di impegnarsi. Pochi anni prima dell'avvento di Brunellopoli avevo conosciuto Soldera e avevo degustato i suoi vini insieme a lui. In effetti tra il suo Brunello e buona parte degli altri c'era un abisso, e non era possibile non farsi venire qualche dubbio. Personalmente non so se Soldera abbia denunciato qualcuno. Probabilmente no: le sue denunce sono state pubbliche e generali, senza aver bisogno di additare qualcuno in particolare. Ricordo che all'inizio di Brunellopoli il Consorzio ha brillato per incapacità di reazione, e l'ufficio stampa milanese che è stato chiamato a rispondere alle domande di noi giornalisti non ha certo reso un buon servizio ai produttori, a partire da quelli onesti. Poi c'è stata la presidenza di Rivella, l'uomo meno adatto a ridare un'immagine positiva al Consorzio. Per fortuna la maggioranza dei produttori è riuscita a evitare la trappola di cambiare il disciplinare del Rosso di Montalcino proposta proprio dalla presidenza Rivella e a lasciare le cose come stanno. Ma evidentemente gli animi degli ilcinesi non sono tranquilli, perché la causa di quello che è accaduto nella cantina di Soldera non penso che vada ricercata tanto lontana dalle mura della bella cittadina della campagna senese. Non so chi è stato, naturalmente, e probabilmente non lo sapremo mai. Ma è un segnale duro e pesante, e al di là delle indagini delle forze dell'ordine sarà bene che tutti noi teniamo gli occhi aperti, perché a Montalcino c'è del marcio, anzi ce n'è parecchio.


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La farfalla, il vino e la Toscana

11/8/2012

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E' stato presentato a Firenze il brand Toscana, ossia il marchio che, a partire dal vino, dovrà (o meglio dovrebbe) diventare una sorta di cappello che renda riconoscibili i prodotti agroalimentari toscani sui mercati internazionali. Realizzato dal Lorenzo Marini Group, il marchio è una farfalla di vino a forma di Toscana. La percezione ideale del marchio dovrebbe essere: il vino si fa farfalla e la farfalla è la Toscana. Per il suo lancio, Ponte Vecchio e piazza della Signoria sono state adornate da voli di farfalle rosse, mentre a New York, sulla facciata di un palazzo nel quartiere di Soho, è stato apposto un grande manifesto con il marchio, e un video ha raccontato le impressioni dei passanti. Se alcuni vi hanno subito riconosciuto il valore del vino rosso toscano e hanno anche saputo citare denominazioni come il Chianti e il Brunello, altri invece hanno dichiarato di non sapere che la Toscana produce vino. Non sono mancati neppure quelli che non sanno neppure dove sia la Toscana.
Seppure questa regione per TripAdvisor rappresenti la prima meta di turismo enologico nella mente e nei desideri dei consumatori mondiali, bisogna ammettere che la strada da percorrere è ancora lunga, e c'è dunque da augurarsi che questa farfalla vinosa sappia spiccare il volo, e che il volo sia lungo e che duri nel tempo. L'idea è senza dubbio buona, e in questo senso gli amministratori regionali devono essere applauditi. L'Italia vive di particolarismi, e il tentativo di un marchio regionale non può che essere un bene. Ma questo brand potrà diventare significativo e addirittura un'icona solo se tutti i produttori, o almeno la stragrande maggioranza di essi, decidano di abbracciarlo e quindi di porlo sulle proprie bottiglie e sulle proprie confezioni. La Regione richiede soltanto che il produttore, per mezzo di un'autocertificazione, dichiari che quel vino è prodotto in Toscana con uve toscane. Naturalmente i costi di tutta l'operazione dovranno essere condivisi tra utilizzatori del marchio e fondi regionali.
E' un'operazione importante, e per l'Italia alquanto innovativa. Un brand forte, che faccia riferimento a un territorio specifico e che di questo territorio racconti valori e verità è per la Toscana una sfida tutta da giocare, e se possibile da vincere. La farfalla fa riferimento a valori di naturalità e di bellezza che la Toscana vuole porre al centro dell'attenzione. La bellezza della Toscana oggi – questo vuole dire il marchio – non è fatta soltanto dalla conservazione di un'immensa eredità artistica, ma anche dalla conservazione di un territorio e di un paesaggio unici al mondo. E questo paesaggio disegnato dall'uomo non è solo un fatto ereditario, perché ogni giorno gli agricoltori vi lavorano e concorrono al suo mantenimento. Insomma, questa farfalla ha uno spazio interpretativo molto aperto, e ha una importante storia da raccontare. Speriamo che i produttori sappiano trovare le parole giuste per amplificare al massimo questa storia, in modo che la farfalla possa volare in ogni angolo del pianeta.
Il matematico Edward Lorenz - uno dei pionieri della teoria del caos secondo la quale piccolissime variazioni nelle condizioni iniziali possano provocare grandi variazioni a distanza di tempo e di luogo – nel 1972 si chiedeva se il battito d'ali di una farfalla in Brasile potesse provocare un tornado in Texas. Noi oggi ci chiediamo se il volo di una farfalla di vino possa portare una bottiglia toscana sulle tavole di tutto il mondo. Se tutti i produttori toscani la condivideranno probabilmente sì.

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Quel rivoluzionario del ministro Catania

9/17/2012

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Alla fine questo governo di tecnici qualcosa di nuovo l'ha fatto, e sono proprio felice che l'unica vera novità venga dal ministro dell'agricoltura Mario Catania, che ha deciso per una vera e propria rivoluzione (mi meraviglia infatti che il disegno di legge sia passato in Parlamento). Contro tutti i palazzinari e i gli interessi che la malavita da sempre nel nostro paese ha nel cemento (compreso nasconderci dentro cadaveri), il Governo ha sposato l'idea che il paesaggio, e quello agricolo in modo particolare, vada difeso. Monti ha dichiarato: “Forse questa misura andava inserita nel primo provvedimento, il decreto Salva Italia, perché ha molto a che vedere con la salvezza dell'Italia concreta”. E' vero, visto che secondo i dati in 40 anni abbiamo perso 5 milioni di ettari di terreno agricolo in gran parte in favore di una cementificazione non soltanto selvaggia e disastrosa per i paesaggi, ma con spesso interessi mafiosi alle spalle. Tutto questo non ha fatto bene neppure al turismo, che ha perduto alcuni tra i paesaggi più belli del mondo. Delle misure comprese nel decreto mi piace moltissimo quella che va a incentivare il recupero di edifici, rurali e no, già esistenti prima di permetterne la costruzione di nuovi. Qui in Toscana, dove abito, conosciamo bene l'importanza del patrimonio abitativo rurale, e l'agriturismo è stato senza dubbio un ottimo mezzo per far sì che questo patrimonio abitativo non andasse perduto come in altre regioni è accaduto fin dal dopo guerra. L'agriturismo ha fatto sì che gli edifici rurali non più abitati da contadini e mezzadri siano ridiventati fonte di reddito per i proprietari, e per noi che li guardiamo un elemento importante del paesaggio. Si può poi discutere se l'agriturismo oggi sia ancora tale, ma è innegabile che in questi vent'anni ci abbia ripagati con una ritrovata possibilità di vivere la vacanza in campagna. Su “Repubblica” di sabato scorso 15 settembre, Carlo Petrini plaude alla decisione del ministro Catania, che per altro era già stata annunciata prima dell'estate, e promette di seguire l'iter legislativo, perché se i decreti attuativi non fossero approvati prima della fine della legislatura tutto potrebbe tornare in mano a quella banda di sciagurati che sono i nostri leader politici che stanno facendo di tutto per non prendere atto della situazione dei cittadini e continuano ad arraffare il più possibile. Una nota finale tutta personale: sarebbe bello che l'agricoltura in Italia tornasse a giocare il suo ruolo di settore primario dell'economia, dando magari delle future possibilità di lavoro a tutti quegli operai della Fiat che tra poco si troveranno in situazioni non certo facili viste totali incapacità della famiglia Agnelli-Elkann e del loro amministratore delegato Marchionne a gestire in maniera intelligente quella che purtroppo ancora oggi è la più grande industria del nostro paese. Per questo sogno che gli Agnelli-Elkann trasmigrino tutti negli Stati Uniti (così sarà un problema tutto statunitense aver a che fare con queste sanguisughe ammantate di buone maniere) e che tutti gli operai con le loro famiglie possano trovare nell'agricoltura e nell'agroindustria un nuovo lavoro più sereno e solidale.






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Il nostro melo equo e solidale

9/14/2012

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E sì, è stato proprio equo e solidale il nostro melo piantato l'anno scorso a ottobre. L'avevamo comprato ai Vivai Maioli in provincia di Reggio Emilia, specializzati in frutti antichi e nel recupero di vecchie varietà in via di estinzione. La varietà scelta da noi, e in particolare da mia figlia Giorgia, è la Renetta Ananas, chiamata così per il suo sapore dolce che ricorda appunto quello dell'ananas. La cosa che ci aveva convinti era l'alto contenuto di vitamina C (25%) e la sua piccola pezzatura, che ha trovato subito la solidarietà di Giorgia. Io per la verità avrei optato per la Renetta Canada Bianca, particolarmente indicata per fare le marmellate, ma siamo comunque tornati a casa tutti soddisfatti. Il melo poi è stato piantato a Trasserra, il paese di mio nonno e di mia madre dove abbiamo una casa e un orto. Ci avevano detto che forse già l'anno dopo avrebbe potuto fiorire e magari fare anche dei frutti. La fioritura è avvenuta puntuale ad aprile, ed è stata ben più abbondante di quanto da noi atteso. Ne avevo anche scritto un piccolo post per festeggiare i primi fiori del nostro amato albero. Ma la cosa che più ci ha sorpreso sono stati i frutti: ben tre mele che abbiamo appena colto. Un albero equo e solidale, dunque, perché c'è una mela per Giorgia, una per mio marito Jean-Louis e infine una anche per me. Ne abbiamo assaggiata una e siamo rimasti colpiti dalla sua pienezza di sapore, dal suo intenso profumo e dall'aroma piacevolmente fresco. Il colore è giallo dorato e la pezzatura è veramente piccola, come potete vedere dalle foto. Ma che gioia questo giovane albero che spero cresca felice e che possa moltiplicarsi. Adesso che qui a Firenze sta piovendo e che si avvertono i primi segni dell'autunno, mi fa felice pensare che lui è lì, in attesa del meritato riposo invernale e che si prepara a una prossima fioritura e magari anche a regalarci altri frutti tra un anno, magari 6, ben due a testa.





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Bentornati ai corvi della vendemmia

8/28/2012

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La vendemmia si avvicina (per la verità in vari casi è già cominciata) e come ogni anno, puntualmente, spuntano i corvi. In questo caso si tratta di giornalisti, esperti (o presunti tali), enologi e addetti ai lavori che come ogni anno non resistono all'idea di allungare la propria ombra nera sull'andamento dell'annata.
Un buon tentativo di buttare fango sulla prossima vendemmia è apparso ieri (27 agosto) in televisione, per la precisione sul telegiornale delle 20 di Rai1. Preciso subito che normalmente seguo il TG della 7, ma avendo ascoltato le ancitipazioni di quello di Rai 1, durante le quali il giornalista col solito sorriso stampato in faccia diceva che "forse questa sarà la peggior vendemmia dal 1950" non ho potuto perdermi il servizio. La peggiore in che senso? Qualitativo o quantitativo? In effetti si trattava del secondo caso, come è poi apparso evidente dal servizio di Anna Scafuri, che essendo una professionista seria e un'ottima giornalista sa perfettamente che non si può generalizzare. Ebbene, se dovesse essere la vendemmia più scarsa dal 1950 in poi peccato, ma in natura sono cose che capitano e non ci vedo particolari allarmismi.
Il problema semmai nasce quando - alla fine del servizio - viene chiamato a parlare Giuseppe Martelli, direttore di Assoenologi, che chiude la sua panoramica sulla vendemmia dicendo che se settembre porterà un po' di piogge allora, e solo allora, avremo "una vendemmia degna di considerazione" (mi sono scritta le sue parole per non dimenticarle). E qui il corvo ha spiegato a pieno le sue ali nere. Cosa significa una "vendemmia degna di considerazione"? Forse che i giornalisti che danno punteggi non degustano anche le "piccole annate" così come le chiamano più gentilmente i francesi? E di una eventuale vendemmia "non degna di considerazione" cosa dovrebbero fare i produttori, che pure per quella vendemmia hanno investito e sperato come per tutte le altre? Facile parlare e predirre quando non si è parte in causa perché tanto i soldi sono degli altri. Dopo vent'anni di questo lavoro sinceramente mi sono stancata di vedere come anche nel campo del vino gli italiani sappiano dare il peggio di sé.
E non finisce qui, perché stamattina, di buon'ora, ho inviato un comunicato stampa relativo alla situazione attuale nelle vigne di un'azienda con la quale collaboro. Attenzione: ce ne siamo guardati bene dal fare previsioni, abbiamo soltanto raccontato cosa è accaduto e cosa sta accadendo nei vigneti, senza nessun tipo di considerazione quantitativa o qualitativa sulla vendemmia che in questo caso deve ancora cominciare. Ho postato su Twitter la foto che ho allegato al comunicato. Anche la foto era priva di commenti, ma puntuale mi è arrivata la risposta della collega Elisabetta Tosi, alias Vino Pigro, che mi faceva notare (la conversazione è stata in inglese) che quest'anno la vendemmia non sarà per niente buona. Le ho chiesto come su che base può affermarlo e lei ha risposto che ha parlato con vari enologi che dicono che la vendemmia sarà buona soltanto in alcune aree come l'Alto Adige (fortunati loro!). Al che mi sono limitata a rispondere che credevo ci fosse una certa differenza tra enologi (o esperti che dir si voglia) e indovini.
Conosco decine di enologi seri che parlano a ragion veduta, e non a caso sono quelli che fanno meno previsioni di tutti. Parliamoci chiaro: l'andamento stagionale lo abbiamo visto tutti e tutti sappiamo quale difficoltà stiano incontrando gli agricoltori in generale di fronte a una siccità così dura (qui in Toscana per altro la situazione è peggiore che in altre regioni). Ma perché doverci tirare la zappa sui piedi? Gli scienziati parlano quando la ricerca è finita, e allora aspettiamo anche noi di vedere come andrà il mese di settembre prima di buttare via una vendemmia che in molti casi deve ancora cominciare.

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A Montevertine a potare le viti

5/25/2012

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Ieri 24 maggio, insieme ad alcuni colleghi dell'Aset (l'Associazione stampa enogastroagroalimentare toscana), sono andata a potare le viti a Montevertine, la splendida azienda nota in tutto il mondo per le sue Pergole Torte, il primo caso eclatante di vino prodotto con sole uve Sangiovese.
Forse dire "potare le viti" è un po' eccessivo, diciamo che Martino Manetti e il fattore Bruno ci hanno spiegato come si potano le viti. La cosa più eccitante - al di là di essere per una volta in campagna e non davanti al computer - è stato capire che non esiste un metodo uguale per ogni pianta, perché ogni vite è diversa e presenta una vigoria tutta sua.
Per le viti, esattamente come per le persone, bisogna ogni volta porsi con occhi nuovi. Bisogna osservare quanti grappoli per ogni tralcio, quante foglie, e volta per volta giudicare cosa e quanto sacrificare. Bruno naturalmente non ci ha lasciato mai soli, e ha fatto bene. Il suo sguardo era un po' preoccupato, perché avere in vigna 5 giornalisti incompetenti (almeno in fatto di potatura) è una responsabilità, per le viti e non certo per i giornalisti.
Noi ci siamo subito resi conto del rischio e quindi ce ne siamo guardati bene dal togliere anche solo una piccola foglia senza che prima lui o Martino ci abbiano dato l'ok.
Ma è stato bello vedere che anche in un lasso di tempo breve qualcosa si può capire: non si devono togliere le foglie dopo il grappolo; se ci sono più grappoli nello stesso tralcio va sacrificato quello più stento, che normalmente nasce più lontano dalla pianta e che da questa necessariamente riceverà meno nutrimento. Le piante più giovani producono meno e hanno meno bisogno di potatura, quelle più vecchie invece devono essere osservate attentamente, cercando di infilare le mani tra i tralci e i piccoli grappoli per giudicare e poi decidere.
Grande esperienza, che è culminata con un sontuoso pasto introdotto da foglie di salvia fritte con acciughina all'interno, vassoio di salumi di produzione propria con un prosciutto insuperabile, pappardelle del sul capriolo e capriolo in umido e schiacciata con l'uva (a Montevertine congelano un po' d'uva per poter fare la schiacciata tutto l'anno).
Grazie a Liviana e Martino Manetti, grazie a Bruno e a sua moglie cuoca sopraffina e grazie anche al capriolo, che per aver osato entrare nei vigneti di Montevertine è stato sacrificato a tutto nostro vantaggio. 

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    "O rinnovarsi o morire", questo il mio motto, come diceva Gabriele d'Annunzio

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