Patrizia Cantini Wine & Food Communication
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La Corsica e le sue ostriche

5/27/2012

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La Corsica è un mondo troppo grande per essere racchiuso in poche righe. Ho avuto la fortuna di visitarla più di una volta, per lavoro e per vacanza, e tuttavia mi sento ben lontana da poter dire di conoscerla. Quei panorami che cambiano così spesso, e che dalle più belle spiagge del mediterraneo conducono fino a montagne rocciose e inospitali, quei paesini arroccati in alto e quelli che invece si radunano tutti intorno a un piccolo porticciolo di pescatori sono soltanto alcuni degli elementi che caratterizzano questa grande isola di nazionalità francese, ma di cuore solo ed esclusivamente corso. Più italiana che transalpina, per la verità, e ancora legata a lontani periodi storici come quello della dominazione pisana, la Corsica è e resta una terra misteriosa dove ho pensato che un giorno potrei vivere, anche solo per guardare l'Elba dall'altra parte del Tirreno, con quel profilo così diverso da quello usuale offerto da Piombino. Mi vedrei perfettamente a mio agio a coltivare ortaggi sulla Costa Serena, a sud di Bastia, praticamente l'unica zona dell'isola dove esistano piantagioni di mandarini, di frutta e di nocciole, buone quasi come quelle del Piemonte.
Potrei ammirare l'Elba dall'altra parte del mare, salire ogni tanto a Corte per respirare quell'aria di indipendentismo e di anarchia che traspira dai volti degli abitanti e poi scendere allo stagno di Diana per mangiare delle ostriche dall'inconfondibile sapore di nocciola. E siamo a uno de grandi misteri di questa terra splendida e selvaggia: perché le ostriche dello stagno di Diana sanno di nocciola? Sottoposte agli esami di illustri chimici, le ostriche di Diana non hanno svelato il proprio enigma. Eppure, la parte del mollusco attaccata alla valva ha una consistenza più dura e un sapore più dolce rispetto al resto della carne, e a partire dal mese di novembre assume un deciso gusto di nocciola. Nessuno fino a ora è riuscita a darne spiegazione scientifica, e l'unica cosa che resta da fare è andare a gustarsele nel negozio di vendita direttamente sullo stagno.
Poco più a sud troviamo lo stagno di Urbinu, ben più grande e con altri allevamenti di ostriche, ma che non regalano la medesima caratteristica di quelle di Diana. A Urbinu ci sono anche allevamenti di cozze e in un delizioso ristorante con terrazza sullo stagno offre deliziose fritture di gamberetti e pesciolini, oltre che naturalmente piatti di cozze e vassoi di ostriche (Ferme d'Urbinu, tel. 0033 4 95573089). E' una cucina molto simile a quella della costa tirrenica, la medesica semplicità e la stessa essenzialità. Intorno allo stagno si incontrano anche alcuni vigneti, per quanto non sia la Costa Serena la zona vitivinicola più importante della Corsica. Qui vengono coltivati Vermentino e Moscato di Alessandria, che danno vita a vini freschi, piacevolissimi e perfetti da abbinare alla semplice cucina di pesce come quella offerma dalla Ferme d'Urbinu.
Le ostriche di Diana invece vanno acquistate e mangiate a casa, ed è proprio quello che farò quando mi sarò ritirata dall'altra parte del Tirreno.
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In Carnia tra formaggi di malga, trote e prosciutti

5/21/2012

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Meno spettacolare del Cadore, la Carnia (in Friuli Venezia Giulia) è un angolo di Italia ancora tutta da scoprire. In epoca di crisi e di voglia di recuperare un senso di vita che esuli dai fallimenti della finanza creativa, la Carnia può essere il luogo adatto. Qui, tra i silenzi delle montagne, è possibile ritrovarsi e riprendere contatto con la realtà delle cose, con la caducità dell'essere umano e con la grandiosità della natura, che a noi sopravvive sempre, nonostante i nostri continui attentati.
Il processo di recupero di una condizione umana non più praticabile nelle città passa naturalmente attraverso la conoscenza dei prodotti agroalimentari di questa terra, a partire dai formaggi di malga che hanno dato vita a un vero e proprio circuito turistico organizzato che si chiama appunto "La via delle malghe". Andiamo alla Malga Pramosio (tel. 0433 775757), piccolo paradiso sotto il confine con l'Austria che ha vissuto in passato tutte le barbarie delle guerre. Oggi la malga, gestita dalla famiglia Screm, offre un ottimo ristorante e anche un accomodamente per la notte piuttosto spartano, con bagno in comune. Ma i silenzi e la grandiosità dello scenario al tramonto valgono la salita e il pernottamento. Qui si possono acquistare ottimi formaggi di malga, la ricotta e anche la tradizionale ricotta affumicata, che dà vita a dei ravioli dal sapore indimenticabile. Ma sono tanti i piatti che vale la pena di assaggiare: il "frico", uno dei porta bandiera della cucina carnica, che consiste in una sorta di frittata fatta con formaggio, patate e un po' di pancetta. Poi ci sono la polenta con la salsiccia, il gulash, lo strudel di mele, lo yogurt naturale di latteria e la linzer torte, ossia una crostata con pasta di noci, nocciole e cannella. Sopra Paulan invece troviamo la Malga Cason di Lanza (tel. 0428 90928) dove ho assaggiato la ricotta più buona della mia vita e dove ho conosciuto un vero gioiello della Carnia: i "radic di mont", ossia la cicerbita alpina diventata un Presidio Slow Food. Putroppo la raccolta selvaggia di questo radicchio che nasce sopra i 1000 metri tra i boschi di abeti e di ontani in tempo di disgelo lo ha reso a rischio di estinzione, e per questo adesso è protetto e la raccolta è razionata. Viene tradizionalmente conservato sott'olio, dopo essere stato scottato in acqua salata con aceto, vino bianco, sale e una punta di zucchero. Sapore eccellente con un piacevolissimo retrogusto amarognolo. Si può anche acquistare, a prezzi purtroppo assai elevati, ma vi posso assicurare che ne vale la pena. Di questi tempi meglio investire in "radic di mont" che in banca.
Ricca di torrenti con acque cristalline (e speriamo ancora per molto), la Carnia ha una tradizione di affumicatura delle trote ancora assai viva. Conviene recarsi a Ovaro, presso il laboratorio artigianale Trote Alp Nordest (tel 0433 678010) per rendersi conto della delizia di questi pesci, che naturalmente oggi vengono dagli allevamenti, ma che garantiscono la assoluta salubrità dell'acqua. Il breve processo di affumicatura avviene per mezzo di segatura di legno di faggio, che non essendo resinoso non aggredisce le carni permettendone la piena godibilità.
Affumicato è anche il prosciutto di Sauris, forse il prodotto alimentare più celebre della Carnia. Lo stabilimento Wolf (www.wolfsauris.it) è la meta obbligata per assaggiare e acquistare il prosciutto. Nonostante le dimensioni del prosciuttificio, qui si seguono ancora procedimenti tradizionali. L'affumicatura del prosciutto - che deriva naturalmente dalla tradizione tedesca - avviene per mezzo di forni posti nel sottosuolo che bruciano legna di faggio. Per mezzo di un complesso sistema di camini il fumo arriva ai prosciutti, che poi passano nelle sale di stagionatura dove restano 10-12 mesi. Il prosciutto di Sauris è al centro anche di molti piatti della gastronomia locale. Un bello e buono spaccato di questa si può trovare presso il ristorante dell'Albergo Riglarhaus di Lateis, non lontano da Sauris. Di fronte alle montagne, in un tipico chalet di montagna si possono assaggiare piatti eccellenti, con o senza prosciutto. Da non perdere un'altra perla della gastronomia carnica: i "cjarsons", ossia i ravioli con ripieno di ricotta di malga, spinaci o altre erbette di montagna, pezzettini di mela e uvetta: assolutamente squisiti.
E' probabile che dopo aver conosciuto la Carnia e l'intimità dei suoi paesaggi non abbiate voglia di rientrare in città accolti da smog e traffico. Allora vale la pena fare incetta di prodotti, riempire la macchina e contrastare le notizie del telegiornale con formaggi, prosciutti e trote, da accompagnare a un po' di "radic di mont": vi ritroverete con la testa oltre i 1000 metri e troverete il coraggio di riaffrontare i tempi duri. Tanto quelli dureranno ben oltre l'estate e le vacanze.
Buon

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In Tunisia per il Moscato di Kelibia

5/10/2012

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La penisola del Cap Bon si estende a est di Tunisi, prolungandosi verso la nostra isola di Pantelleria che in effetti dista soltanto 70 chilometri. La penisola è prettamente agricola, e i pomodori e gli olivi sono le colture prevalenti. Ma qui esiste anche una tradizione vitivinicola che risale addirittura all'epoca punica, ai tempi della grande Cartagine i cui splendidi resti riposano non lontano. I Romani, una volta conquistata Cartagine, continuarono e svilupparono la coltura delle vite da vino, che venne però bruscamente interrotta con l'avvento degli Arabi che trasformarono le coltivazioni in uva da tavola. Nell'Ottocento, dei circa 1000 ettari di vigna esistenti sul Cap Bon il 95% era destinato a uva da pasto, e la cinquantina di ettari riservati alle uve da vino erano in mano a società francesi. La tradizione francese è ancora oggi ben presente, visto che gli attuali oltre 10.000 ettari di vigna esistenti nel Cap Bon sono in buona parte destinati a Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Syrah, Chardonnay e Grenache. Ma tra questi c'è anche un pezzo d'Italia, visto che in epoca fascista direttamente da Pantelleria arrivò il Moscato di Alessandria, che oggi rappresenta una piccola ma ben prestigiosa Aoc tunisina e che prende il nome di Moscato di Kelibia. La cittadina di Kelibia è uno dei centri balneari del Cap Bon, che a partire dagli anni Novanta ha conosciuto un importante sviluppo turistico. I vigneti di Moscato si trovano immediatamente a sud di Kelibia, in terreni sabbiaso-silicei e sabbioso-calcarei. I vigneti sono separati dal mare solo dalla striscia di asfalto della litoranea che conduce ad Hammamet. In questo microclima, più piovoso rispetto al resto del Cap Bon e più fresco rispetto a Tunisi, il Moscato ha ritrovato la medesima ambientazione di Pantelleria, vento compreso, che arriva anche ai 300 km all'ora. Le viti per questo vengono mantenute basse e allevate ad alberello. Per evitare problemi di insolazione le piante vengono lasciate cariche di foglie, in modo che queste possano riparare i grappoli. Le rese sono piuttosto basse e la media produttiva difficilmente supera i 45 ettolitri per ettaro. Il Moscato di Kelibia viene prodotto praticamente soltanto dalla Cantina Cooperativa di Kelibia, mentre le operazioni finali di stabilizzazione e imbottigliamento dei vini avvengono presso l'Union Central des Coopératives Viticoles - Les Vignerons de Carthage, che si trova alla periferia di Tunisi. Definito da alcuni "il vino più Moscato del mondo", il Moscato di Kelibia in effetti sorprende immediatamente al naso per i suoi spiccati aromi varietali, arricchito da note flroeali, sopratutto di gelsomino e di fiori d'arancio. Il colore è brillante e luminoso, ein bocca è fresco, fruttato, delicato e persistente. I ristoranti locali lo abbinano naturalmente ai piatti di pesce e anche alla bick, ossia alla sottilissima pasta triangolare farcita con tonno e uovo e poi fritta.
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