Patrizia Cantini Wine & Food Communication
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Skagen, la Bella di Danimarca 

9/20/2013

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Io amo la Danimarca, perché pur in un paesaggio tendenzialmente piatto e uniforme ogni tanto si manifestano dei veri e propri miracoli della natura. Come la Råbjerg Mile, la più grande duna mobile del nord Europa. Pensavo che quella di Arcachon, in Francia, fosse la più bella del mondo, ma mi sbagliavo. La Råbjerg Mile è stupefacente, e varia sotto i nostri occhi sospinta dal vento che nello Jutland del nord soffia praticamente sempre. Si ha la sensazione di essere in un deserto, e personalmente ho perso l'orientamento dopo poco che mi ero immersa tra le sabbie. Poi, all'improvviso, sulla cima della duna si apre la vista sui due mari: il Baltico e il Mare del Nord, che i danesi chiamano rispettivamente il Kattegat e lo Skagerrak. In mezzo a questi si distende il deserto, dalle cui sabbie ogni tanto affiorano ciuffi di erbe dal colore tenue che tende alla trasparenza e che commuovono per quel loro afflato di vita pur in mezzo a tanta sabbia. Ve lo sareste mai immaginato uno spettacolo simile in Danimarca?

La Råbjerg Mile si trova poco più a sud di Skagen, la bella cittadina del nord dello Jutland dove la Danimarca “finisce” in un lembo di sabbia all'incrocio dei due mari. Skagen è uno delle stazioni balneari più famose del regno, la cui fortuna iniziò nel 1870 grazie al pittore Michael Anger che vi approdò, insieme alla moglie Anna anch'essa pittrice, affascinato dalla spettacolare luminosità del luogo. Anna e Michael furono i primi di una colonia di pittori che andarono a fondare la scuola di Skagen, una sorta di impressionisti del Nord Europa, i cui bellissimi dipinti si possono ammirare nel Museo di Skagen, fondato già nel 1908 (il museo è stato mappato da Google e se volete vederlo lo trovate a questo indirizzo: http://www.googleartproject.com/collection/skagens-museum/). Quelle dolci fanciulle a passeggio sulla spiaggia, quei bambini che giocano vicino alle onde, quei volti rugosi di pescatori appaiono tutti immersi nella luce miracolosa del Grenen. Il Grenen è la spiaggia di Skagen per antonomasia, che si allunga fino a formare quella punta dove la Danimarca si getta nei due mari. Le onde si incrociano in un balletto continuo, i colori del mare e del cielo si fondono in un celeste chiaro e solo i bunker della seconda guerra mondiale ci avvertono che siamo ancora sulla terra. Il Grenen cresce di anno in anno in direzione nord per effetto dei venti che vi depositano sabbia, e tutta la zona è totalmente priva di costruzioni perché rappresenta una importante zona di migrazione per gli uccelli. Meraviglioso Grenen immortalato dai pittori che a Skagen alloggiavano al Brøndums Hotel, ancora oggi uno degli alberghi più importanti della cittadina, storico e ricco di fascino, con una notevole cucina naturalmente a base di pesce. Il porto di Skagen è infatti il primo di Danimarca in fatto di flotta, non è il più grande ma è quello con più pescherecci, che ogni giorno tornano carichi di gamberetti, granchi, astici, hallibut, sogliole e tanti altri tesori del mare. Qui la profondità è elevata subito vicino alla costa, tanto che le barche non devono fare tanta strada per riempire le reti. Al loro rientro al porto, nel pomeriggio, è possibile acquistare direttamente il pescato fresco per poi cucinarlo a piacimento. Sul porto inoltre si trova lo Skagen Fiskerestaurant, che come dice il nome è un ristorante specializzato in cucina di pesce. I giovani proprietari hanno deciso di farne un tempio dei crostacei, con un plateau alla francese con cozze, gamberetti, granchi, astici locali e scampi. E' un piatto enorme ed è bene non ordinare altro. I ragazzi del ristorante dicono che il gran piatto va mangiato lentamente, facendo alcune soste e magari regalandosi un bicchierino Bjesk , il liquore tipico di Skagen e di tutto lo Jutland del nord prodotto con bacche ed erbe raccolte nelle foreste e nei pressi delle spiagge. Il Bjesk aiuta a digerire e quindi si può continuare tranquillamente ad affondare le mani nei gamberetti. Tutto intorno la bella cittadina caratterizzata dal colore delle case: il “giallo Skagen”. Sembra che la fortuna di questo colore sia dovuta alla scelta dell'allora architetto reale che nel realizzare una villa affacciata sul Baltico per il re di Danimarca scelse appunto una tinta color giallo per l'esterno. Da allora in poi – parliamo della fine dell'Ottocento quando Skagen era già stata resa famosa dai pittori - molti copiarono il giallo del re, che ancora oggi abbellisce le case di legno che al massimo hanno un piano sopraelevato e sono contornate da giardini tenuti naturalmente alla perfezione. Le case gialle si incontrano soprattutto nella parte orientale della città, ancora oggi conosciuta come la zona degli artisti e senza dubbio formata dai quartieri più eleganti. Ma non meno affascinante risulta la zona occidentale di Skagen, un tempo regno delle casupole dei pescatori e ancora oggi caratterizzata da case più piccole di quelle del quartiere degli artisti. Tuttavia, i migliori panorami sul mare li hanno proprio alcune delle case della parte occidentale, che si affacciano direttamente sulla spiaggia. Un tramonto sul Mare del Nord viso da qui, con i colori dei pittori che piano piano si spengono lasciando spazio a quelli delle stelle è un'esperienza che non ha paragoni, accompagnati dal canto delle onde del Kattegat che immancabilmente si uniscono a quelle dello Skagerrak.


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Rita, la maga del peperoncino

9/13/2013

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Sono finalmente stata a conoscere Rita Salvadori, una bella e giovane signora che ha deciso di dedicare la propria vita al peperoncino. Nata a Bibbona, in provincia di Livorno, da una famiglia di produttori di olio, Rita da sempre ha avuto la “terra” come fonte di ispirazione. Piantare semi, vedere le piante germogliare, crescere e fruttificare: questo è il mondo di Rita, ma neppure lei poteva immaginare che un giorno al centro di questo mondo sarebbe entrato prepotentemente un elemento destinato a segnarne forme e colori: il peperoncino. La sua azienda si trova nel comune di Bibbona, in una frazione un tempo chiamata “Braccio di Bibbona” perché da lì parte la strada che conduce fino al bel paesino sulle colline e oggi invece denominata curiosamente La California. C'è incertezza sull'origine del nome, che potrebbero forse far riferimento proprio alla fertilità della terra che circonda il borgo: una California toscana, insomma.
Ma Rita si è invece ispirata al sud America, da cui proviene il peperoncino, portato per la prima volta in Europa dal solito Cristoforo Colombo, che evidentemente alla doti di navigatore univa quelle di agronomo-gastronomo. Pare che il peperoncino in Messico venisse coltivato già 7000 anni fa. Se ne conoscono 5 diverse specie che danno origine a circa 4000 varietà. Ma bisogna far attenzione, perché il peperoncino tende a ibridarsi facilmente e quindi ne nascono nuove varietà in continuazione. Rita ne coltiva 16, che non è un piccolo numero visto che pare sia l'unica azienda europea (e forse anche al mondo) ad averne così tante e a produrne altrettante polveri.
La vista delle piante è spettacolare: un susseguirsi di colori e di forme incantevoli e a volte bizzarre: colori sgargianti che coprono tutta la gamma dal giallo al marrone passando attraverso l'oro, l'arancio e naturalmente il rosso. Tra agosto e ottobre il “campo di Rita” è un tripudio che attanaglia gli occhi e che rende palese il perché questa vivace signora della costa toscana abbia deciso di dedicare la propria vita al peperoncino.
Ma il lavoro di Rita non è semplicemente quello di coltivare 16 specie di peperoncino e di farne polveri da utilizzare in cucina, perché insieme a Paolo Valdastri – un amico giornalista considerato tra i massimi esperti italiani di peperoncino – organizza corsi per insegnare il giusto utilizzo del peperoncino in cucina. Il peperoncino infatti non si limita a rendere il cibo piccante, perché è in grado di arricchire ogni singolo piatto con aromi che vanno a esaltare quelli originari degli ingredienti. Sapere fare bene gli abbinamenti è un'arte frutto di un lungo e faticoso studio che Rita e Paolo stanno portando avanti da qualche anno e che ben presto si tradurrà in un libro che personalmente attendo con impazienza per poter cominciare anche io a utilizzare il peperoncino in cucina nella giusta maniera. Ci sono infatti peperoncini che si adattano alle verdure e altri alla carne e altri ancora al pesce. Se usati in maniera errata invece di esaltare il piatto ne rendono amari i sapori.
Vediamo adesso come si chiamano le 16 varietà del campo di Rita, messe in ordine dal meno piccante al più focoso: Ajì, Banana Pepper, Erotico (il nome deriva dalla curiosa forma che ricorda il sesso maschile), Caienna (quello tradizionalmente coltivato in Calabria), Jalapeño, Scotch Bonnet (detto così perché la forma ricorda il tipico cappello degli scozzesi), Habanero Red Savina, Habanero Fatali, Habanero Chocolate (che oltre ad avere il colore del cacao si abbina perfettamente al cioccolato), Bhut Jolokia, Naga Morich, Naga Yellow, Naga Chocolate, Seven Pod (ossia “sette pentole” perché uno solo di questi peperoncini è in grado di condire sette pentole di sugo), Trinindad Scorpion, Trinindad Scorpion Moruga Yellow. L'intensità del piccante è facilmente comprensibile già dalla buccia: più rugosa è e più “forte” sarà l'apporto del peperoncino nel cibo. Da un punto di vista scientifico, il piccante è dovuto alla presenza di capsaicina, un alcaloide presente nella placenta dei frutti. Se sezionate un peperoncino in senso verticale, la placenta è quella parte interna biancastra dove sono attaccati i semi. La placenta è un vero e proprio concentrato naturale di vitamina C, ma i peperoncini sono ricchi anche di sali minerali come potassio, sodio, cloro, fosforo e magnesio. Dunque il peperoncino – oltre a far aumentare la sudorazione e quindi abbassare la temperatura corporea – è un disinfettante intestinale e modera la sensazione di appetito e brucia calorie. La capsaicina in piccole dosi aumenta la sensibilità del palato e intensifica il gusto del cibo. In dosi eccessive invece anestetizza e quindi invece di esaltare i cibi ci rende insensibili ai loro sapori.
Gli abbinamenti che Rita ha proposto a me e ai colleghi dell'Aset dopo la visita all'azienda sono stati stupefacenti. Gli spaghetti alle vongole veraci con bottarga erano arricchiti da Scotch Bonnet, i maltagliati al ragù di anatra da Habanero Chocolate, il coniglio in bianco con patate e olive da Naga Yellow e per finire la torta al cioccolato era ancora abbinata all'Habanero Chocolate.
Chi volesse conoscere meglio il lavoro di Rita può visitare il sito www.peperita.it. Ebbene sì, l'azienda si chiama Peperita, che sta naturalmente a significare una Rita tutta pepe(roncino). Oppure potete visitare i 3 negozi che Rita ha aperto a Castagneto Carducci, a Volterra e a Roma. Il vostro senso del piccante non sarà più lo stesso.

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Procida, l'isola di Arturo

9/2/2013

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Ho passato l'ultima settimana di agosto a Procida. Il tutto è nato a gennaio da una mia lettura – tardiva, lo ammetto – dell'Isola di Arturo di Elsa Morante. Con pochi click su internet ho trovato la casa perfetta per me e la mia famiglia: isolata, di fronte al mare, con un giardino arricchito dal barbecue. Insomma, la casa dei sogni. Il proprietario, il signor Francesco Lubrano Lavadera è un procidano doc, e lo zio Michele, che coltiva l'orto attorno alla casa, è stato particolarmente generoso: ci ha donato un bella busta di pomodori che ci hanno accompagnato per tutta la vacanza. La casa si trova sulla costa sud-ovest dell'isola, quella che volge verso la punta di Solchiaro e che è nota per essere la zona degli orti. In effetti, Procida, con i suoi 12.000 abitanti in soli 4 chilometri quadrati si presenta come un'isola fortemente abitata, ma Solchiaro è ancora una zona tranquilla e al di là della strada dove possono transitare le auto e i piccoli autobus che attraversano più o meno tutta l'isola le case sono appartate e normalmente vi si accede a piedi.

La nostra si affacciava direttamente sul bel mare che separa Procida dall'isolotto di Vivara, un'oasi naturale protetta, e dal giardino si vedevano le case della vicina Ischia. Sotto, i colori verde blu del mare solcati da barche di turisti e da quella di un pescatore che ogni giorno percorreva il piccolo golfo alla ricerca del suo quotidiano bottino. Insomma, un piccolo covo dove aspettare il tramonto all'ombra del profumo dei limoni e dove arrostire sulla brace il pesce acquistato a Marina Grande nelle pescherie dove dopo le 4 del pomeriggio arriva tutto il tesoro raccolto dalle barche dei pescatori locali. Non mi ha meravigliata sapere che questo angolo di paradiso che è stato nostro per una settimana avesse già conquistato lo scrittore inglese Frederick Forsyth che lo aveva scelto prima di noi.

Una vacanza a Procida è una vacanza diversa, e non a caso in ogni negozio o ristorante isolano ti danno la mappa “Procida a passi”, perché questa è un'isola da visitarsi a piedi, al massimo annullando le distanze più lunghe prendendo l'autobus e chiudendo gli occhi tutte le volte che la Linea 2 imbocca la ripida e stretta discesa per Chiaiolella con una disinvoltura che a me dava brividi di spavento. Ogni angolo dell'isola è meraviglioso, a partire dai colori della case di Corricella che appaiono incantevoli al primo sguardo e da qualunque parte l'occhio si fermi ad ammirarli bramoso di farli propri. Ma è Terra Murata – il luogo più alto dell'isola dove l'antico carcere si affaccia sul mare e custodisce geloso i segreti delle tante pene che qui sono passate – il posto per eccellenza di Procida. Qui tutto è perfetto: dalle segrete della bellissima Abbazia di San Michele Arcangelo dove si raduna l'omonima confraternita allo spettacolare cortile di Casale Vascello, una delle più antiche costruzioni dell'isola risalente al XVI secolo e dove si possono ammirare le particolari architetture di Procida con il mezzo arco che nasconde le scale che si inerpicano esternamente da un ballatoio all'altro. Dalla terrazza panoramica che si affaccia sull'antico carcere ho cercato di ricostruire i passi di Arturo che segue di nascosto il padre in pena per l'amico prigioniero e ho cercato di immaginare a quale finestra l'uomo inviasse il suo fischio di richiamo. Ma le finestre sono rimaste mute: freddi occhi puntati sul mare incuranti delle curiosità di noi piccoli turisti.

Salendo a Torre Murata è necessario fermarsi al bar che si trova proprio lungo l'erta che porta alla chiesa per una granita al limone. Ma si può anche ottenere una insalata di limone, piccola perla della gastronomia isolana rimasta intatta per secoli. L'insalata viene preparata con la parte bianca del limone, accuratamente strizzata dal succo, e viene condita con olio, foglioline di menta e un po' di peperoncino. Fresca e saporita nella sua sorprendente semplicità, questa insalata assomiglia agli abitanti di Procida, così diretti e così pronti al saluto per le strade e i tanti vicoli.

Il limone è il principe dell'isola ma purtroppo la produzione di limoncello è ormai solo a livello familiare e le bottiglie che si trovano nei negozi non sono fatte a Procida. Ma se chiedete alle deliziose signore della biglietteria del Museo dell'Abbazia di San Michele loro vi aiuteranno a trovarne di quello autentico fatto per le sagre paesane dalle donne di Procida, il cui ricavato per altro va in beneficenza. Pochi metri fuori dell'Abbazia si trova il Museo della Graziella, dedicato alla vita di casa delle donne procidane. Graziella è la protagonista di un romanzo dello scrittore francese Alphonse de Lamartine, che come dice il nostro padrone di casa Francesco, “in Francia non se lo fila nessuno, ma qui da noi è un mito”. De Lamartine approdò sull'isola durante un viaggio in Italia e qui incontrò Graziella, la donna dagli occhi scuri e profondi che lo fece innamorare e alla quale dedicò un romanzo praticamente introvabile nelle librerie italiane, ma ben presente nel museo insieme ad altri tesori in vendita. Le famiglie procidane infatti donano antichi pizzi tipici dell'isola per supportare il museo, e io mi sono regalata una splendida tovaglietta ricamata a intaglio che adesso fa bella mostra di sé nel mio salotto. Chi preferisce ricami moderni può trovare dei begli asciugamani ricamati e arricchiti di trine a uncinetto nelle boutique “Noi Due” di Marina Grande e di Marina di Chiaiolella. Notevoli anche le ceramiche di Vietri dipinte a Procida in vendita a Corricella nel negozio Fine House, proprio sul porto. E a proposito di ceramiche, la regina dell'isola è Loredana, che nel suo negozio Le Coccinelle di Marina di Chiaiolella mostra la sua gentile arte che si traduce in mattonelle dipinte a mano con gli stessi colori vivi delle case di Corricella.

E veniamo infine alla gastronomia, che non si esaurisce certo con il limone. Il pesce è il re della tavola procidana, e non potrebbe essere altrimenti visto che siamo su un'isola. Dalle barche arrivano giornalmente totani, moscardini, polpi, cicale, gamberetti, cefali, mormore e tante altre delizie del mare. Noi abbiamo provato il ristorante La Conchiglia sulla spiaggia di Chiaia, raggiungibile da una lunga scalinata che vale proprio la pena di scendere prima e di risalire dopo. Cucina veramente buona, prodotti eccellenti e posizione stupefacente, con una vista che spazia da Terra Murata al profilo roccioso di Capri. A Marina Grande, invece, al ristorante Fammi Vento ho mangiato il miglior sauté di frutti di mare della mia vita, con cozze, vongole veraci, canolicchi, tartufi e fasolari. Veramente notevole, anche se gli isolani considerano questo ristorante turistico.

Ma siamo in terra campana, e come farsi mancare una pizza? Ottima quella del Dolce Vita, proprio in fondo al porto di Marina Grande. L'ambientazione è assai poco tipica ma la pizza è proprio buona.

Adesso sono qui, nella mia casa fiorentina, alle prese con una marmellata di limoni che spero duri per tutto l'inverno, affinché non mi manchi mai il profumo dell'isola e il sapore di un luogo ancora stranamente autentico, dove a volte mi sono sentita una forestiera non per la presenza massiccia di turisti stranieri, ma semplicemente perché non riuscivo a capire il dialetto locale.

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