Patrizia Cantini Wine & Food Communication
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Honduras, un posto nei Caraibi

2/1/2022

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Uno degli isolotti di Cayos Cochinos
Domanda: Dov’è l’Honduras? Risposta: è un posto nei Caraibi. Con queste parole l’ambasciatore in Italia Mariano Jiménez Talavera ha presentato il suo paese a Firenze, presso Ditta Artigianale. L’occasione è nata dalla pubblicazione di uno splendido volume fotografico di Lizzette Kattan e Ronald James Pozzi dedicato all’incantevole isola di Roatàn, che fa parte dell’arcipelago delle Islas de la Bahia. Il titolo esatto del libro è “Roatàn & The History of Bay Islands” (www.roatanbook.com) e oltre alle 200 immagini dell’isola offre un ampio spaccato della sua storia e del suo patrimonio culturale che l’hanno resa meta di turismo internazionale costantemente in crescita.
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Roatàn
Per me è stata anche occasione di fare una prima conoscenza di questo straordinario paese e di venire a scoprire alcune perle della sua produzione agricola e delle sue tradizioni culinarie. Partiamo dal caffè: l’Honduras è il sesto produttore mondiale e il terzo dell’America latina dopo Brasile e Colombia. L’Arabica è la sola varietà coltivata e le piantagioni si trovano tutte in altitudine, anche oltre i 1000 metri sopra il livello del mare. Circa un terzo della popolazione del paese del Centro America lavora nella filiera del caffè.  Secondo Francesco Sanapo di Ditta Artigianale, il caffè honduregno si contraddistingue per la sua complessità e la produzione sta molto crescendo sia in termini quantitativi che qualitativi. In più i produttori seguono tecniche sempre più sostenibili in modo da preservare lo splendido ambiente dove questo prezioso caffè nasce. Il 62% della produzione totale di caffè honduregno arriva in Europa e il 6% qui da noi in Italia. Oltre al caffè l’Honduras è un importante produttore di cacao e in questo caso si tratta di una produzione veramente ancestrale, risalente all’epoca Maya e quindi a circa 3000 anni fa. Altre produzioni agroalimentari sono quelle delle banane, del mais, dei fagioli, della manioca, delle patate e degli ortaggi. Lungo i 673 chilometri di costa (sull’Atlantico e sul Pacifico) si trovano invece allevamenti di gamberi, di frutti di mare e di pesce, che vanno a formare il cuore della gastronomia costiera. Nel nord del paese, caratterizzato da un’agricoltura vivace, i piatti naturalmente si basano sui prodotti della terra. 
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Santa Lucia
Dalle parole dell’ambasciatore è emerso il quadro di un paese piccolo per estensione territoriale ma con circuiti turistici molto diversificati. Si può scegliere il mare, e ritrovare qui un’atmosfera caraibica antica e lontana dal turismo di massa, oppure si può optare per i circuiti culturali che naturalmente portano alla scoperta dei Maya e del sito archeologico di Copán, protetto dall’Unesco oppure ancora dirigersi verso le montagne per andare a scoprire le piantagioni del caffè. Naturalmente si possono scegliere tutte e tre le opzioni visto che le distanze non sono enormi, e alla fine immergersi nelle acque cristalline di Roatàn. Per altro l’Honduras vanta la seconda più grande barriera corallina dopo quella dell’Australia.

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Il sito Maya di Copan
Quindi, se siete in cerca di una meta lontana per i vostri prossimi viaggi l’Honduras è senza dubbio una delle migliori scelte da fare. 
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La barriera corallina
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Seggiano e l'olivo sospeso

1/30/2020

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Seggiano, www.patriziacantini.it
Seggiano è uno dei borghi dell’Amiata, ed è l’unico dal quale si possa ammirare la montagna in tutta la sua bellezza. Questa parte di Toscana è riuscita a mantenere un carattere proprio e non alterato da una presenza turistica invadente. I borghi, come le campagne, offrono molto da vedere, e passare qualche giorno in questi luoghi, magari a maggio – quando la fioritura selvatica raggiunge una bellezza struggente – può regalare emozioni profonde, e la possibilità di sentirsi parte di una natura bellissima e di comunità molto orgogliose delle proprie radici e tradizioni.
Seggiano conta meno di mille abitanti su tutto il territorio comunale, ma nel borgo ne sono rimasti assai meno, intorno a un centinaio. E’ anche il comune dell’Amiata che conta il maggior numero di agriturismi, perché ha una sua vocazione turistica grazie ad alcuni elementi importanti che vedremo subito. Partiamo dalla luna. Da queste parti ai bambini si dice: “sei bello come la luna di Seggiano”, e il detto nasce dal fatto che grazie alla posizione e alle condizioni atmosferiche Seggiano offre una visione magnifica della luna che fa capolino da dietro l’Amiata per poi andare a posizionarsi in mezzo al cielo. L’Amiata per altro era considerata una montagna sacra dagli aruspici etruschi, perché essendo un antico vulcano che conserva calore ed energia attirava fulmini e saette, che – diremmo oggi – andavano a comporre il giusto scenario per le divinazioni dei sacerdoti. 

PictureLa fascia olivata dell'Olivastra Seggianese. thatsamiata.com, Archivio Consorzio Tutela Olio Seggiano Dop
Alle pendici di questa montagna che culmina a 1.738 metri, nella fascia collinare e pedemontana che va dai 200 ai 650 metri, cresce l’Olivastra Seggianese, una particolare varietà di olivo che regala un olio profumatissimo e in genere più delicato di quello di altre varietà toscane. Si tratta di un olivo imponente, con la chioma folta e arrotondata, che cresce soltanto su questo versante del monte Amiata e che ha dato vita alla Dop Seggiano, il cui disciplinare prevede che nel blend l’Olivastra sia presente almeno all’85% (www.consorzioolioseggiano.it). Nel supermercato ai piedi del centro storico si possono acquistare alcune etichette della Dop Seggiano (oltre ad altri prodotti locali), e accanto si trova anche la sede della Cooperativa La Seggianese, che ha da poco inaugurato il nuovo frantoio (www.laseggianese.com). Altrimenti, girando per le campagne si incontrano i cartelli indicatori che portano alle aziende produttrici, dove è possibile acquistare direttamente. 

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Il Giardino di Daniel Spoerri. Foto di Bruno Bruchi, Archivio Consorzio Tutela Olio Seggiano Dop
Se l’olio è senza dubbio il prodotto agroalimentare più importante di Seggiano, non è certo però l’unico. Qui siamo in terra di funghi e di castagne, di tanta selvaggina e di trote di torrente, e se si vuole avere un assaggio delle prelibatezze del territorio, nella frazione Pescina troviamo il ristorante Il Silene di Roberto Rossi, che con la sua stella Michelin richiama gourmet e appassionati ad assaggiare i frutti di questa terra. I suoi porcini in padella sono probabilmente i più buoni che abbia mai mangiato (www.ilsilene.it).
Non lontano dal ristorante di trova Il Giardino di Daniel Spoerri, il giardino di sculture voluto dall’artista svizzero che si stabilì sull’Amiata alla fine degli anni Ottanta. e che lo aprì al pubblico negli anni Novanta. Il Giardino si sviluppa per 16 ettari nei quali sono esposte 113 installazioni realizzate da Spoerri e da un’altra cinquantina di artisti. Il Giardino è visitabile da Pasqua a ottobre (www.danielspoerri.org).  


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Il Castello di Potentino. thatsamiata.com, Archivio Consorzio Tutela Olio Seggiano Dop
Tornando a Seggiano, il suo primo nucleo abitativo sorse tra la fine del 1.100 e gli inizi del secolo successivo non dove oggi si trova il centro storico, ma dove si erge il bellissimo Castello di Potentino, di proprietà della famiglia inglese Greene (sono i diretti discendenti dello scrittore Graham) che lo ha perfettamente restaurato e che lo ha reso sede di un’azienda agricola che produce olio e vino. 
PictureParticolare degli affreschi dell'Oratorio di San Rocco a Seggiano, www.patriziacantini.it
Per scoprire tutte le bellezze artistiche del centro storico conviene contattare la Fondazione Radici di Seggiano che organizza visite guidate. Una delle tappe della visita è all’oratorio di san Rocco, eretto alla fine del Quattrocento e che preserva pregevoli affreschi del pittore senese Girolamo Di Domenico. Una curiosità: negli affreschi alla sinistra dell’altare si leggono incisi dei nomi di donna: erano le mogli dei pellegrini in cammino verso l’abbazia di Sant’Antimo. Altra tappa è alla Chiesa della Madonna della Carità, che si trova ai piedi del borgo, risalente alla fine del Cinquecento e considerata uno dei rari esempi europei di tardo manierismo.
C’è poi il frantoio ipogeo costruito dalla famiglia Ceccherini verso il 1885 e rimasto in funzione fino agli anni Cinquanta del secolo scorso. Si tratta di uno dei primi frantoi che invece di utilizzare animali per far girare la grande mola di pietra aveva installato un motore elettrico.


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L'antico Frantoio Ceccherini di Seggiano, www.patriziacantini.it
Ma la vera sorpresa del nucleo storico di Seggiano è l’incontro con il così detto “olivo del cisternone”. Si tratta di un esperimento scientifico unico al mondo, perché l’olivo – della cultivar Olivastra Seggianese naturalmente – è stato collocato nel 2014 nello spazio che copre l’antica cisterna del paese, e il suo apparato radicale è sospeso nel vuoto proprio all’interno della cisterna. L’olivo dunque è coltivato con tecnica aeroponica e un sistema computerizzato vaporizza acqua e sostanze nutritive all’apparato radicale al momento del bisogno. Si tratta della più grande pianta al mondo con le radici sospese, e l’esperimento è nato grazie all’incontro tra l’amministrazione comunale di Seggiano e il professor Stefano Mancuso, il neurobiologo che studia l’intelligenza delle piante. L’esperimento prevede una seconda fase per la quale il Comune sta cercando di reperire fondi. Questa seconda fase consiste nel collegare dei sensori alla radice della pianta per studiarne il comportamento e l’interazione con la presenza umana. Non solo, perché i segnali elettrici provenienti dalle radici saranno interpretati prima sotto forma di scrittura e quindi di suoni. Insomma, secondo la visione di Mancuso l’olivo del cisternone di Seggiano darà origine a una musica che i visitatori potranno ascoltare. Speriamo dunque che il Comune riesca a trovare presto i fondi per portare a termine il progetto, così che tutti noi potremmo goderci la musica dell’olivo sotto la grande luna di Seggiano.
Per informazioni sulle visite guidate contattare la Fondazione Le Radici di Seggiano, www.leradicidiseggiano.it, email: radicintelligenti@gmail.com. 

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L'olivo sospeso di Seggiano, www.patriziacantini.it
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Un tè alla menta a Tangeri

1/21/2020

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Panorama di Tangeri, www.patriziacantini.it
“In questo momento sono come uno che sogna e che vede delle cose che teme gli sfuggano”. Così scriveva il pittore Eugène Delacroix sbarcando a Tangeri. Oggi nella maggior parte dei casi si arriva a Tangeri con l’aereo, ma deve essere bellissimo giungervi via traghetto dalla costa spagnola, godendosi l’avvicinamento di quella Medina bianca che si inerpica sulla collina fino a culminare nella Kasbah.
E’ un viaggio letterario, quello che porta a Tangeri, perché tutti noi la ricordiamo come la città del “Tè nel deserto” di Paul Bowles. Ma Tangeri non è solo questo, perché è anche la mitica città delle Colonne d’Ercole e la vera Porta d’Africa che si affaccia sullo Stretto di Gibilterra. Tanto vicina all’Europa nel suo Lungomare – la Corniche - e tanto lontana nella Medina, del Grand Socco e nel Petit Socco, i due principali mercati cittadini.
Ma cosa temeva di perdere Delacroix? Forse la luce, quella splendida luce che avvolge Tangeri e che la penetra anche nei vicoli più stretti della Medina e del Petit Socco. 

Sono stata a Tangeri in ottobre, un momento magnifico per visitarla e per cercare di immaginare come doveva essere negli anni Cinquanta quando era mèta di pellegrinaggio per gli scrittori americani, o negli anni Sessanta quando era battuta da attori, cantanti e dal jet set internazionale. Era l’epoca in cui il tè alla menta al Cafè Hafa di Tangeri era un’istituzione, perché questa città - tornata al Marocco solo nel 1956 dopo decenni di regime internazionale – esercitava un fascino irresistibile, legato a storie di spie, intrighi internazionali e affari loschi.
A me a Tangeri invece hanno portato le Colonne d’Ercole e lo Stretto di Gibilterra. Volevo provare il brivido di sentirmi vicina a quel lontano e immaginario confine messo dall’uomo che ancora non aveva esplorato l’Atlantico, e allo stesso tempo volevo godermi il celebre tè alla menta del Cafè Hafa ammirando lo Stretto di Gibilterra e la costa spagnola. La grande sorpresa, che non aspettavo, è stato invece il tramonto presso la necropoli fenicia di Hafa, goduto insieme a tanti tangerini che vengono ad ammirare il sole morente con gli occhi persi nell’oro del mare, con l’Europa lì di fronte. Un’atmosfera da puro incanto; un momento senza tempo e un ricordo indelebile. 

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Il Cafè Hafa, www.patriziacantini.it
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Donne alle tombe fenice di Tangeri, www.patriziacantini.it
La città offre molto da vedere, a partire dalla Kasbah che domina la città e al cui centro si trova il Museo delle Culture Mediterranee ambientato nel palazzo Dar-Al-Makhzen, residenza del sultano durante la dominazione araba e poi passato ai governatori portoghesi e britannici. Reperti archeologici di varie epoche – tra i quali alcuni splendidi bronzi romani – sono ambientati nel bellissimo palazzo con al centro un giardino in stile marocchino-andaluso.
I vicoli della Medina, con i suoi mercanti, i suoi artisti e le sue moschee sono uno dei luoghi più caratteristici della città, e nel dedalo di viuzze si nasconde la tomba di Ibn Batouta, noto come il Marco Polo africano nato a Tangeri nel 1304 e autore di importanti resoconti di viaggi, dalla Russia, dall’India e dalla Cina. 
Nel Grand Socco ci sono due luoghi da non perdere. Il primo è l’associazione femminile Darna, che si occupa di donne e di bambini in difficoltà e che ha un ristorante dove gustare tajine, cous cous e altri piatti della tradizione marocchina. L’altro luogo è il fondaco dei tessitori, dove vengono realizzati con telai manuali dei bellissimi teli di cotone che possono essere utilizzati sia in bagno che in spiaggia. Il fondaco dei tessitori non fa parte del normale circuito turistico di Tangeri, e io ci sono arrivata solo grazie al suggerimento della proprietaria della libreria Les Insolites alla quale avevo chiesto consigli su luoghi poco conosciuti ma meritevoli di una visita. E’ stato un consiglio prezioso. 
Il Petit Socco è forse più bello del Grand Socco, e non a caso in passato rappresentava il vero cuore dei commerci e degli affari cittadini, tanto che nel 1907 vi venne aperta la prima sede della banca di stato. Oggi il bel palazzo con legni decorati sede della Banca del Marocco è diventato l’hotel Palais Zahia, con un ristorante di cucina marocchina tradizionale. Non vi servono alcolici e i piatti sono a base di prodotti locali, spesso da agricoltura biologica. Un’ottima cucina marocchina moderna viene invece offerta da El Morocco Club, che si trova nella piazzetta subito dopo la porta di ingresso alla Kasbah. Ho molto apprezzato la particolare versione di cous cous con orzo perlato e l’insalata di gamberi rossi con mango, pompelmo rosa e vinaigrette d’arancio. Ma a Tangeri è anche molto viva la cucina spagnola, e il ristorante sulla Corniche El Tangerino ne è uno dei migliori interpreti. Ambiente moderno, personale giovane e atmosfera internazionale fanno da cornice ai piatti a base di pesce tipici del sud della Spagna.
Visto che una delle ragioni che mi avevano portata a Tangeri erano le Colonne d’Ercole, ho preso un taxi e sono andata a visitare Cap Spartel, dove il Mar Mediterraneo si incrocia con l’Oceano Atlantico e all’ombra del suo bel faro ho cercato di immedesimarmi nello spirito degli antichi che ritenevano che quello fosse il luogo più prossimo al confine del mondo. Non lontano si trovano le Grotte d’Ercole, scoperte nel 1906. Si tratta della cavità ipogea più grande d’Africa, che si sviluppa per circa 30 chilometri e che in passato era in parte utilizzata dai berberi come cava. Nella sala centrale un’apertura naturale permette la visione del mare. Viene chiamata “la mappa d’Africa” perché questa fenditura nella roccia ha una forma che ricorda quella del continente africano. Le sfumature dell’oceano sono spettacolari e da lì – e solo da lì – ho finalmente visto le mitiche colonne. 
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La Mappa d'Africa nelle Grotte d'Ercole, www.patriziacantini.it
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Splendori d'Abruzzo

6/12/2019

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Rocca Calascio nell'aquilano
Che l’Abruzzo sia una terra straordinariamente ricca da un punto di vista naturalistico, culturale, artistico e gastronomico è un fatto che conoscevo già da tempo. Ho studiato Gabriele d’Annunzio all’Università e ho avuto modo di recarmi a Pescara varie volte per i convegni che negli anni Ottanta si tenevano presso il Centro Studi Dannunziani, fondato da Edoardo Tiboni nel 1979. Ogni anno approfittavo per andare a visitare i luoghi dannunziani, da San Vito Chietino a Casalbordino, dal lago di Scanno a Guardiagrele. All’epoca la Costa dei Trabocchi era ben diversa da come ci appare oggi, e i trabocchi erano in buona parte abbandonati e pochi erano ancora utilizzati per la pesca. Poi c’erano i paesi dei Peligni, con la bella Sulmona e la spettacolare valle del Sagittario. Infine, la Maiella, la “montagna madre” e suoi borghi incantati come Pacentro, Anversa degli Abruzzi, Cocullo e la sua celebre Festa del Serparo alla quale ho partecipato con due serpi in mano.
Terra di rocche e di castelli, alcuni dei quali niente hanno da invidiare a quelli catari sui Pirenei; terra di pastori e di lunghe transumanze; terra di poeti, scrittori e filosofi (Ovidio, d’Annunzio, Flaiano, Croce, Silone). Terra martoriata da un terremoto crudele che ha spento vite e speranze, ma che non ne ha spezzato la dignità e la voglia di farsi conoscere e amare. Non a caso nei borghi d’Abruzzo tutti ti salutano per farti sapere che sei il benvenuto; il benvenuto tra loro; il benvenuto nella loro terra. 

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Punta Aderci sulla Costa dei Trabocchi. ph Renato Cieri
Una terra, l’abbiamo detto, che offre tanto, anche da un punto di vista enogastronomico: dal pesce dell’Adriatico agli agnelli dei monti passando attraverso i vini che nascono appunto nella fascia mediana, tutta compresa tra il mare e il Gran Sasso e la Maiella. E proprio per il vino stavolta ho viaggiato verso Pescara, che è anche un po’ la “mia” Pescara.
I vigneti abruzzesi sono in gran parte nella provincia di Chieti, che da sola copre oltre l’80% della produzione regionale di vino. Il vitigno più presente è il Montepulciano d’Abruzzo, che dà vita all’omonimo vino a Doc. Seguono il Trebbiano e una serie di vitigni autoctoni come il Pecorino, la Passerina, la Cococciola e il Montolico. E’ indubbio che il Montepulciano sia in assoluto il vino abruzzese più noto in Italia e all’estero. Le comunità abruzzesi nel mondo sono molto forti e hanno non poco contribuito al successo internazionale del loro vino principe. Negli ultimi anni stanno poi avendo un buon successo il Pecorino e la Passerina. Il Pecorino gode anche di un nome che gli stranieri pronunciano facilmente visto che lo conoscono già e la piacevolezza del vino ne ha ulteriormente facilitato la sua diffusione. A me tuttavia pare che il cavallo di razza dei bianchi abruzzesi sia il Trebbiano, che in questa regione riesce a raggiungere espressioni complesse da vino bianco importante, e passibile di invecchiamento medio-lungo. E’ un vino elegante, destinato alle carni bianche come pure alle zuppe di pesce elaborate e dal sapore deciso. Insomma, non certo un bianco da aperitivo o da party sulla spiaggia. Io ne ho abbinato una versione elevata in legno ai classici arrosticini e devo dire che il connubio è riuscito benissimo. Il problema del Trebbiano – raccontano i produttori – è legato al nome, considerato in linea generale sinonimo di un vitigno dal profilo non di altissimo livello. E’ indubbio che su questo i produttori e il Consorzio devono lavorare, ma è certo che un esperto degustatore, come pure un consumatore un minimo educato, di fronte a un Trebbiano d’Abruzzo non può che riconoscerne il valore. 
   
PictureVigneti del Teramano. www.patriziacantini.it
E veniamo dunque ai produttori e alle tante cantine che costellano le colline abruzzesi. In questa regione è ancora molto forte la presenza di cantine cooperative, che sono una quarantina e che da sole coprono circa i ¾ della produzione totale, ma molte sono anche le aziende private, tra piccole e grandi. Ci sono cantine importanti, alcune delle quali concepite in maniera moderna con spazi per l’accoglienza, e non poche sono anche quelle dotate di agriturismo. Il Consorzio di Tutela Vini d’Abruzzo - che rappresenta praticamente tutta la produzione abruzzese – sta facendo un grande lavoro per portare tutte le aziende associate a ottimi livelli, ma c’è ancora molto lavoro da fare. Un suggerimento che mi sento di dare e che ho condiviso con i colleghi presenti con me al tour organizzato dal Consorzio e riservato alla stampa specializzata italiana ed estera, è di organizzare degustazioni alla cieca tra i produttori in modo che ognuno di loro possa confrontarsi e capire quale sia la strada migliore da intraprendere. Molte sono le denominazioni che in queste degustazioni alla cieca hanno trovato un notevole impulso al miglioramento dei vini, perché ogni produttore riesce a confrontarsi con gli altri in maniera anonima e – soprattutto – può prendere spunti e può capire pregi e difetti del proprio vino. In una parola, insomma, può migliorarsi.

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Vigneti sul mare. ph Giovanni Di Prinzio
Ma l’impegno dei produttori è anche molto concentrato sul fronte dell’enoturismo, e per questo il Consorzio ha dato vita a un’iniziativa che intende proprio incrementare il numero delle presenze in cantina e far conoscere ai turisti bellezze artistiche e naturalistiche della regione insieme alle perle enologiche e gastronomiche d’Abruzzo. 
PictureL'Abbazia di Santa Maria d'Arabona nel pescarese. www.patriziacantini.it


​Si chiama Percorsi – Discover Abruzzo Wines ed è una app pensata per tutti gli amanti di un turismo che permetta una scoperta intelligente del territorio. La app, che si può scaricare gratuitamente, permette di scegliere tra 15 diversi itinerari a seconda delle personali inclinazioni ed esigenze. Si può filtrare per interessi (mare, sport, avventura, cultura ecc.) o a seconda della zona che si desidera visitare e per ognuno dei 15 itinerari sono indicati i ristoranti e, naturalmente, le cantine.
Scaricatela e rimarrete impressionati da quanto questa regione ha in serbo per un turista che non si accontenti dell’ombrellone estivo o dello skypass invernale. Resterete folgorati.
Buon Abruzzo a tutti.


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Colline vitate. ph. Pierino Dinicola
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Bergen

5/30/2017

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Panorama di Bryggen, www.patriziacantini.it
Nonostante il suo clima non certo clemente (è la città più piovosa d’Europa), Bergen è il centro più visitato di tutta la Norvegia. Il quartiere di Bryggen, che si affaccia direttamente sull’importante porto cittadino, è l’attrazione principale di Bergen, ed è un sito Unesco. La storia di Bryggen e delle sue casette di legno colorato risale al XIV secolo, quando Bergen (fondata da re Olav nel 1070) si era già affermata come porto commerciale. Fu così che i mercanti tedeschi della Lega Anseatica (ossia l’unione dei commercianti tedeschi all’estero) aprirono una sede a Bergen e cominciarono a costruire i propri magazzini in legno, il primo piano dei quali fungeva da abitazione. Purtroppo nel 1702 un enorme incendio distrusse quasi tutta la città, e dunque le case di legno che possiamo ammirare oggi risalgono all’epoca della successiva ricostruzione. Nel 1944 poi un battello olandese pieno di dinamite scoppiò all’interno del porto, portandosi via con sé una buona parte delle casette di Bryggen, e lasciando intatte solo quelle che erano sul lato destro del porto.
Bryggen, www.patriziacantini.it
Una piazzetta di Bryggen, www.patriziacantini.it
Bryggen illuminata, www.patriziacantini.it
Un scorcio di Bryggen, www.patriziacantini.it
Protette dall’Unesco, le casette non possono più essere abitate. Vi si aprono ristoranti e pub, negozi di artigianato norvegese e atelier di artisti. Per poterle proteggere da eventuali episodi di vandalismo notturno, i vicoli di accesso alle casette di Bryggen vengono chiusi alle 11 di notte per poi essere riaperti la mattina. Affollatissimi di turisti, molti dei quali arrivano con navi da crociera, i vicoli di Bryggen sono irresistibili, con i loro bei negozi di artigianato norvegese, a partire dai maglioni di lana locale e dal design di interni tipicamente scandinavo. Oppure i negozi di arredi natalizi, che fanno venire la voglia di rinnovare completamente il nostro albero di Natale anche se magari è ancora agosto. E viene anche voglia di riempire la casa di bellissimi ricami a punto Hardanger – da noi chiamato punto norvegese – che si possono acquistare da Blonder Og Stas, nella piazzetta principale di Bryggen. Poi ci sono i ristoranti, con un’atmosfera quasi incantata fatta di legno e di luci soffuse. Il pesce naturalmente è il re delle tavole di Bergen e non potrebbe essere altrimenti visto che siamo in un porto.
PictureIl negozio di ricami Blonder Og Stas, a Bryggen. www.patriziacantini.it
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PictureIl Museo Anseatico, www.patriziacantini.it
 

Una visita al Museo Anseatico ripercorre la dura vita dei mercanti tedeschi, che in queste casette per noi oggi così attraenti hanno vissuto anni solitari, senza svaghi e – soprattutto – privi di mogli, visto che fino a che restavano a Bergen era loro proibito il matrimonio.

Al centro del porto di Bergen, il sabato, si tiene il farmer market, con i produttori che vendono direttamente. Salmone e trota affumicata sono tra le specialità locali. Molto buoni quelli di Leiren Laks, un’azienda storica con sede in un piccolo fiordo a nord di Bergen. I salmoni e le trote vengono affumicati lentamente, utilizzando piccoli ramoscelli dei boschi intorno allo stabilimento. Leiren Laks produce anche salmoni e trote marinate in aneto, limone e pepe secondo un’antica ricetta norvegese. Per quanto riguarda i formaggi se ne trovano sia di latte vaccino che caprino. In particolare, non va perso il Geitost, ossia il “formaggio marrone” eletto qualche anno fa presidio da Slow Food. In realtà, il Geitost non è un vero e proprio formaggio, perché viene prodotto con il siero di latte di capra, e quindi dopo la produzione dei formaggi veri e propri. Il siero viene bollito insieme a un po’ di panna di latte di mucca per circa 10 ore, nel corso delle quali l’acqua evapora e gli zuccheri del siero assumono il tipico colore del caramello. E in effetti il formaggio ha un sapore dolciastro che ricorda la liquirizia. Il Geitost tradizionalmente viene mangiato su fette di pane caldo tostato. Poi il mercato offre carni essiccate e le terrine di pecora, anch’esse molto tradizionali. Con la pecora vengono prodotte anche salsicce affumicate o condite con sale e bacche di ginepro. E sempre di pecora sono le bellissime pelli che vengono utilizzate per ricoprire le sedie delle case come dei ristoranti, per scaldare gli ospiti durante i lunghi inverni norvegesi. 
Sempre al centro del porto si apre il mercato del pesce, un vero e proprio tripudio di gamberetti, crostacei e conchiglie. Alcuni banchi offrono piatti pronti, e vale davvero la pena concedersi un pranzo al mercato insieme ai locali.
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Il mercato del pesce di Bergen, www.patriziacantini.it
Ma Bergen è una città che offre molto anche da un punto di vista culturale. Il polo museale si chiama KODE, ed è diviso in quattro blocchi dedicati all’arte norvegese e a grandi artisti europei. Notevole è la collezione di quadri di Edward Munch, la seconda più importante al mondo dopo quella di Oslo. Nello stesso edificio (il KODE 4) si trova anche il ristorante Lysverket, al quale ho già dedicato un articolo che potete trovare nella sezione “L’arte di ospitare” di questo stesso sito. 
Infine, vi consiglio una bella passeggiata fino alla Fantoft Stavkirke, la chiesetta di legno situata all’estremità nord est della città. Eretta nel 1150 a Fortun e poi spostata qui nel 1883, la chiesa fu purtroppo distrutta da un incendio doloso nel 1992, per poi essere ricostruita esattamente com’era. Altre belle passeggiate portano nei quartieri di Nøstet, Nordnes e di Fjellsiden, anch’essi caratterizzati da casette di legno e strade tranquille. Dal monte Fløyen, alla cui cima porta una funicolare, si domina tutta la città, il suo mare e le sue isole. Un vero incanto. 
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Monte San Savino, a different Tuscany 

12/15/2016

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PictureMonte San Savino, the Town Hall


















If you are looking for a different Tuscany, still not overrun by tourism, then you should think of the countryside between Siena and Arezzo, near Monte San Savino, a beautiful medieval town considered the birthplace of the Chianina cattle which produces an excellent meat. The Florentine T-bone steak is one of the dishes to be tasted in the many restaurants in Monte San Savino, but you can also buy it in the butchers inside the walls of the historic village. The butcher’s shop  “ Da Aldo”, for example, is the right place for steak lovers. 
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Aldo Iacomoni is a maître à penser of Chianina and supplies only from local farms who knows personally. In the square Gamurrini, next to the butcher, Aldo has also opened a sort of restaurant where you can sample its sausages and its legendary porchetta. Porchetta is a typical Tuscan dish and consists of a whole roasted pork, seasoned with garlic, fennel seeds and other spices. The Porchetta from Monte San Savino is well known because it comes from local pigs that have the right dose of fat. But the real peculiarity of this porchetta lies in cooking, which takes place into ovens with a fire made from heather. The woods around Monte San Savino are very rich of heather, and its wood in just 20 minutes brings the oven to a temperature of 400 ° C, and as it is an aromatic essence, it gives to the meat a particular scent. Just outside Monte San Savino, in the direction of Siena, you will find the Belvedere restaurant, the best place to taste the local dishes accompanied by wines produced in the vineyards around Monte San Savino. Massimo Rossi, the owner, has invented a Chianina meat sauce with laurel that was later copied by all other local restaurateurs. Massimo pays much attention to the products, and he has the possibility to find many biological products around. The whole area around Monte San Savino and the nearby Val di Chiana (one of the largest plains of Tuscany) offer organic meats, grains, vegetables and extra virgin olive oil. In short, if you want to taste a product, for example a bread made by ancient grains flours, the restaurant Belvedere is the ideal place (www.ristorante-belvedere.net).
The best place to stay is Mansalto and Montemaggiore, a beautiful estate that produces excellent wines and a great extra virgin olive oil and possesses many ancient farmhouses renovated for hospitality. You can rent apartments or large villas with swimming pool, immersed in beautiful countryside and quiet. When you stay in one of the Mansalto and Montemaggiore houses you can easily  understand how these places are part of a different Tuscany. 
PictureOne of the villas of Mansalto e Montemaggiore estate



​A stroll through the dirt roads on the property (which covers 2000 hectares) reveals some real corners of paradise, as the small village of Rapale, with its castle and its stone houses. Being away from the tourist jam does not mean having to give up comfort and convenience. Mansalto and Montemaggiore infact studied a hospitality formula practically tailor-made for each one, and you'll discover that you can do many things besides walking, relaxing and swimming. Food lovers can request a chef at home for a barbecue on the lawn or for a candlelit dinner. If you like to cook you can take cooking class to learn about traditional recipes and local products. Finally, those who love the “do it yourself” can request grocery shopping and then cook the products as they prefer  (www.montemaggioretuscany.it). 

​In short, your next trip to Tuscany could really be "different", without giving up visits to Florence, Siena and Arezzo, which are not far from Monte San Savino and its beautiful countryside. I am Tuscan and I've always lived in Florence, and I can assure you that these places I have left in the heart.
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Il Wadden Sea, in Danimarca

1/31/2016

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Se state pensando a una vacanza primaverile in luoghi non scontati, allora lo Jutland del Sud potrebbe rappresentare una buona meta. Siamo nel Parco Nazionale del Wadden Sea, che rappresenta il parco più grande d'Europa e comprende il mare tra Olanda, Germania e Danimarca. Si tratta di un mare interno con una particolare ricchezza floro faunistica. Qui approda un terzo di tutti gli uccelli migratori del mondo, perché le maree lasciano sui fondali abbondante cibo. Nei mesi di marzo-aprile e ancora in settembre-ottobre si puà anche assistere al curioso fenomeno detto dai danesi “sole nero”. In questo caso di tratta di migliaia di storni che danzano nel cielo disegnando figure e appunto oscurando il sole. Le maree hanno anche creato tre deliziose isolette, che si sono staccate dalla terraferma in epoche recenti, tra il X e il XIV secolo. Le tre isolette di chiamano Rømø, Mandø e Fanø. A Rømø c'è la sede danese del Parco del Wadden Sea (www.nationalparkvadehavet.dk), che organizza escursioni e soprattutto safari alla ricerca di ostriche. Questi safari vengono organizzati tra settembre e aprile, con una guida locale che porta piccoli gruppi di turisti a raccogliere le ostriche sui fondali melmosi. La caccia è molto semplice, perché qui le ostriche sono a migliaia ed è facile raccoglierle (se ne calcolano anche una tonnellata per ettaro di fondale). Per altro il governo danese ha deciso di lasciare libera la raccolta di ostriche, che non possono essere venduto o commercializzate in alcune modo. Tuttavia, la presenza della guida è necessaria perché i fondali possono essere pericolosi, le maree crescere a ritmi ben più veloci di quanto potremmo aspettarci e poi esiste il pericolo nebbia, che fa completamente perdere il senso dell'orientamento. Capita spesso infatti che turisti non accompagnati si trovino in difficoltà, e invece di tornare verso le coste dell'isola si dirigano verso il mare aperto.

Mandø è la più piccola tra le tre isole, ed è raggiungibile attraverso una strada che passa direttamente sul mare. Anche in questo caso sarà bene fare attenzione alle maree che inevitabilmente sommergono la strada. A Mandø c'è un piccolo villaggio dal quale partono dei trattori che trainano una sorta di grandi carri dove prendono posto i turisti. Questi trattori conducono nella parte orientale e completamente disabitata dell'isola, formata da una grande e piatta distesa di sabbia dove i branchi di foche approdano per stendersi comodamente al sole. Il paesaggio è lunare, alcuni alberi secchi indicano la strada da seguire e per il resto non esistono altri punti di riferimento. Solo sabbia e intorno il Wadden Sea, che oltre alle ostriche regala anche ambra. Dopo le mareggiate infatti lungo le coste dello Jutland meridionale e nelle tre isolette il mare deposita un'ambra pregiatissima alla quale nella cittadina di Varde è dedicato un museo con alcuni pezzi di gioielleria antica veramente pregevoli (www.vardemuseum.dk).
Fanø invece è l'isola più grande, molto amata dai danesi e dai turisti del nord Europa, tedeschi in maniera particolare. Qui è facile trovare una casa da affittare, oppure ci sono locande come la deliziosa Sønder Ho Kro nell'omonimo villaggio (www.sonderhokro.dk). Il ristorante della locanda per altro offre uno spaccato interessante della cucina locale, che varia dai conigli agli agnelli, dai pesci alle ostriche. L'isola è divisa in due comunità quella di Nordby, che è da considerare la capitale e dove arrivano i traghetti che partono dal porto di Esbjerg. Cittadina molto vivace nei mesi estivi e durante i fine settimana, Nordby offre ristoranti e negozi, oltre che a un piccolo ma interessante museo dedicato alla civiltà isolana (www.fanomuseum.dk). Nel mese di settembre Nordby è teatro di uno spettacolare festival della maglia che richiama circa 10.000 persone amanti del tricot e che appana sbarcate tirano fuori dalla borsetta i “ferri del mestiere” e si mettono a lavorare ovunque. A giugno invece si tiene il festival degli aquiloni, certamente più spettacolare di quello della maglia e dedicato stavolta soprattutto ai bambini. A Fanø si produce un ottimo salmone in vendita nei negozi locali e vi si trova anche un birrificio tra i più apprezzati in Danimarca. La Fanø Bryghus produce sei diverse birre, e nel periodo natalizio ne commercializza anche alcune speciali con caffè, cannella e vaniglia (www.fanobryghus.dk). Praticamente di fronte al birrificio artigianale si apre un locale perfetto per uno spuntino a base di prodotti dell'isola. I proprietari del Rudbecks Ost & Deli (www.rudbecks.dk) sono due ex agricoltori che hanno deciso di dedicarsi alla cucina a base di prodotti organici. Famoso è il loro gelato di crema di latte e acqua di mare concentrata, ma vi si trovano anche marmellate, pane e torte. Qui si può anche incontrare il cacciatore di ostriche più famoso dell'isola, Jesper Voss (www.fanosportevent.dk) che si diverte a cucinare le ostriche per quei danesi o turisti che non amano mangiarle crude.
L'altro villaggio di Fanø è Sønderho, unito a Nordby da una strada oppure dalla spiaggia. In Danimarca è permesso guidare sulle spiagge e dunque conviene fare questa esperienza da noi proibitissima. Sønderho è assai più appartato di Nordby, e forse proprio per questo più affascinante. Particolarmente amato dagli artisti che lo hanno immortalato in molti dipinti, Sønderho ha pochi negozi, tra i quali assolutamente da visitare è quello di Lis Brink Jensen, allevatrice di pecore dalla cui lana lei stessa insieme ad altre donne dell'isola confeziona maglioni e coperte, molto belli e naturalmente anche molto cari.
Insomma, un viaggio affascinante e non comune, sicuramente adatto a tutti coloro che dal mare cercano qualcosa di più di semplici bagni e abbronzature. Ma le ostriche, i panorami, la natura e la cucina locale non vi deluderanno. Per ulteriori informazioni sullo Jutland del Sud vai al sito http://www.visitdenmark.it/it/danimarca/natura/jutland-del-sud.



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Friburgo, la golosa

6/23/2015

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La Svizzera ha grandi formaggi, e alcuni tra i più famosi nascono nel cantone di Friburgo, la bella città che si affaccia sulla Sarine. Non a caso il piatto cittadino per eccellenza è la Fondue Fribourgeois, che si differenzia da quelle che si possono trovare in altri cantoni o città svizzere per gli ingredienti. Questa fondue infatti è fatta solo ed esclusivamente da formaggio Vacherin Fribourgeois Aop e acqua. Non vengono aggiunti né aglio né vino bianco, e non vengono utilizzate misture di formaggi come altrove. Il Vacherin è un formaggio di latte vaccino a pasta semi dura, che viene prodotto solo ed esclusivamente nel cantone di Friburgo. Affinato almeno 9 mesi – che per le tipologia Extra, Rustic e d'Alpage salgono a 12 – il Vacherin è un formaggio dagli aromi molto intensi e per questo la fondue fribourgeois è un piatto che non ha bisogno dell'aggiunta di vino bianco o della sfregata di aglio all'interno della pentola prima di mettere il formaggio a fondere. Probabilmente questa sua naturalezza la rende più difficile da realizzare, perché il formaggio deve arrivare a ebollizione molto lentamente, altrimenti impazzisce come la maionese. La temperatura poi viene mantenuta grazie alla classica candela sotto il tegame, mentre le proporzioni esatte sono di un piccolo bicchiere di acqua per ogni 200 grammi di Vacherin. Due etti di formaggio è dunque la dose per una persona, e la fondue si mangia con i classici tocchetti di pane che si intingono nella miscela per mezzo di una lunga forchetta.

L'altro grande formaggio che nasce nel cantone di Friburgo è il Gruyère, la cui produzione comunque interessa anche i cantoni di Vaud, Neuchâtel, Jura e Berna. Se il Gruyère non entra nella preparazione della fondue, lo ritroviamo in molti altri piatti tipici della città, come il celebre “vassoio di Friburgo”, composto da lardo, salsiccia, prosciutto affumicato, patate, cavolo e carote, ma ne esiste anche una variante con carne secca, lardo secco di campagna, Vacherin e Gruyère. Nel cantone di Friburgo i piatti tipici sono segnalati nei menù dal simbolo della mucca, che indica appunto le specialità locali, e in queste il formaggio è quasi sempre presente.

La gastronomia di Friburgo è molto nota in Svizzera, e vanta un buon numero di ristoranti di alto livello. Questa concentrazione in una città così piccola è dovuta al fatto che il cantone abbonda di prodotti agroalimentari di qualità, a partire da quelli lattiero caseari fino a quelli ortofrutticoli, per arrivare poi ai funghi e alla cacciagione nelle rispettive stagioni. Gli chef di Friburgo trovano dunque al mercato una grande quantità di prodotti per preparare i propri piatti, e tra questi non manca il pesce della Sarine, il bel fiume che attraversa la parte bassa della città, con il caratteristico ponte di legno coperto. Chi ama la pesca può tentare di prendere una trota e poi portarla all'Auberge de l'Ange per farsela cuocere, oppure ordinarla direttamente dal menù. Tutto attorno alla Sarine si trova il centro medievale della città, con le sue viuzze strette e le belle case che vi si affacciano. La parte alta della città è nata invece in un secondo momento, ed è qui che a partire dal 1283 è stata eretta la cattedrale di San Nicola, finita due secoli dopo e caratterizzata dalla tante vetrate, alcune delle quali moderne. Tra i molti alberghi della città ne voglio consigliare uno un po' fuori, che si chiama Auberge au 4 Vents, con poche camere tutte diverse, una delle quali è dotata di una buffa vasca da bagno in metallo che scorre su rotaie uscendo dalla finestra per permettere un'abluzione all'aria aperta, e senza essere visti naturalmente.

Per gli amanti della cioccolata invece l'indirizzo giusto è quello di Villars, la casa fondata nel 1901 e che ancora oggi ha sede in piena città. Nella caffetteria che si trova a fianco del laboratorio si può sedere per godersi in pace una buona cioccolata calda, mentre nel negozio di vendita si può fare incetta di tavolette e cioccolatini, anche approfittando delle offerte su alcuni prodotti.

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Viaggio alla Faroe

6/16/2015

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Se ancora non avete deciso quale sarà la vostra prossima meta vacanziera, fate una riflessione sulle Faroe, le isole a nord della Scozia che dal 2013 si raggiungono con un volo diretto da Milano nei mesi di luglio e agosto. Le diciotto isole che formano l'arcipelago sono uno spettacolo naturale unico al mondo. Sono isole praticamente senza alberi, di origine vulcanica e coperte da un sottile strato di terra sulla quale cresce un'erba lunga, eternamente bagnata e dal colore verde scuro. La mancanza di alberi è dovuta alla costante presenza del vento, che a volte spazza le isole in maniera brutale e non permette agli abitanti di erigere serre e di coltivare frutti, a parte il rabarbaro – che non a caso è una radice – e da qualche anno un po' di fragole. L'alimentazione degli isoli tradizionalmente si basa sul pesce e sulla carne di pecora e di agnello, tutto il resto viene regolarmente importato.

Isolate e lontane, la Faroe sono una regione autonoma della Danimarca, dalla quale dipendono per quanto riguarda polizia, affari esteri e giustizia, ma hanno una propria bandiera e una propria moneta, come pure una propria lingua e un proprio inno nazionale. Il Parlamento si trova nella capitale Tórshavn, dove vivono 20.000 dei 47.800 abitanti delle isole. Il turismo nelle Faroe si sta molto sviluppando, e insieme ad alberghi incominciano a nascere anche alcuni Bed & Breakfas, oltre ad alcuni ristoranti di buon livello tra i quali spicca Koks, del quale ho già ampiamente scritto nella mia rubrica sull'arte dell'ospitalità. La parte vecchia Tórshavn è un luogo delizioso, con le caratteristiche case in legno con il tetto coperto di terra ed erba, per ripararsi dal freddo e anche per contrastare con il peso le tempeste di vento. Queste casette di legno sono generalmente piccole, e alcune piccolissime, ma non bisogna farsi ingannare dalle apparenze perché in questo quartiere storico abitano persone assai benestanti perché i prezzi di queste case sono piuttosto alti. Nei vicoli e nei piccoli cortili spesso ornati da piante giocano i bambini e tutto intorno si respira la tranquillità che caratterizza tutto l'arcipelago e i suoi abitanti. Sorridenti e disponibili, i nativi delle Faroe trasmettono quella serenità tipica della gente abituata all'isolamento e alle lunghe attese, e per noi invece avvezzi alla vita frenetica tutta fatta di incastri la vacanza in queste isole può diventare un'utile fonte di riflessione sull'inutilità di un'esistenza spesso più incentrata sull'esteriorità che sull'interiorità.

Insomma, andare alle Faroe significa anche prendersi un momento tutto per noi, per immergerci in una natura assai diversa dalla nostra, e che se regala panorami splendidi fa anche capire le difficoltà di chi vive qui. Basta uscire da Tórshavn per rendersi bene conto di come sono fatte le isole, con le loro rocce a strapiombo sul mare, con i tanti faraglioni coperti di muschio che le circondano e con quei colpi d'occhio mozzafiato che si trovano solo qui. Una natura selvaggia e incantata alla quale fa da contraltare la grazia delle casette di legno nero con gli infissi bianchi delle finestre, e con quel senso di calore tutto nordico che si ritrova negli interni.

A breve distanza da Tórshavn si trova Kirkjubøur, il primo insediamento abitativo delle isole con i resti della trecentesca cattedrale di San Magnus del XIV, dichiarata patrimonio Unesco. Nei pressi della cattedrale è visitabile la più antica fattoria delel Faroe, che da 17 generazione appartiene alla famiglia Patursson. Oggi Jóannes Patursson, insieme alla moglie, continua il tradizionale allevamento di agnelli e di pecore, e ha aperto una parte della sua bella casa settecentesca alle visite pubbliche. La fattoria inoltre organizza pranzi di gruppo facendo assaggiare le carni dei propri agnelli e altre specialità locali, come i dolci a base di rabarbaro e fragole.

Le altre isole di girano comodamente in macchina, e ci sono anche due tunnel sottomarini di collegamento. I nuclei abitativi sono spesso piccoli, ma offrono notevoli suggestioni. Tra i villaggi da non perdere c'è Giógv, nell'isola di Eysturoy, con il grazioso albergo ristorante Gjáargardur e il vicino e minuscolo Saksun, agglomerato di case caratterizzato dalla presenza di una lunga lingua di sabbia che rappresenta una delle poche spiagge delle Faroe. Alla Faroe tuttavia non si viene per fare il bagno, ma per ammirare la natura e fare lunghe passeggiate alla scoperta dei vari aspetti delle isole. La passeggiata più celebre è quella nell'isola di Mykines, dove vanno a nidificare le pulcinelle di mare. Si tratta di un vero e proprio trekking per il quale è bene partire attrezzati, e che dal villaggio di Mykines porta fino al faro dall'altra parte dell'isola. Alla fine del tragitto si troviamo sotto un continuo incrocio di voli: a quelli delle pulcinelle in cerca di acciughe per i piccoli si incrociano quelli dei gabbiani, che cercano di rubare il cibo alle pulcinelle. E poi, in un continuo gioco di intrecci di traiettorie, appaiono le bianche ali delle sule, che nidificano sui faraglioni attorno all'isola.

Se c'è un posto al mondo dove vale ancora la pena andare è questo, e se c'è un luogo delle Faroe dove è più facile capire l'essenza di questo isola è ancora questo : a Mykines, tra le ali delle sule e i richiami delle pulcinelle di mare.

Per informazioni sui collegamenti, sugli alberghi e le escursioni alle Faroe andate al sito www.visitfaroeislands.com.

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A Castelnuovo Magra per il Vermentino

3/26/2015

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Vermentino mon amour: ebbene sì, io amo moltissimo il Vermentino. Mi piace per quelle sue caratteristiche di sapidità e di mineralità che lo caratterizzano e che lo rendono inconfondibile e particolarmente facile da abbinare a tanti piatti di pesce (ma non solo). E' un vino solare, ma attenzione, perché la sua solarità è elegante e non pacchiana, è sottile e non ridondante. E' – secondo me – un vino che non si lascia capire subito. Quando si è giovani sono in genere i vini aromatici che colpiscono, e solo con gli anni e con l'esperienza si comincia ad apprezzare sempre di più quei vitigni più sobri, ma che regalano sensazioni più intime e anche più durature. Il Vermentino è senza dubbio tra questi. In un viaggio in Corsica di qualche anno fa ho avuto modo di apprezzare quei Vermentini quasi salati che nascono sul Capo Corso, da dei vigneti strappati alle rocce a picco sul mare, ma amo anche quelle versioni floreali e fruttate che nascono tra Liguria e Toscana e che vanno a formare la Doc Colli di Luni. La Doc interessa quattordini comuni delle province di La Spezia e di Massa Carrara. E' qui che da qualche anno si tiene una vera e propria festa del Vermentino che si svolge nel bellissimo borgo di Castelnuovo Magra, che domina il mare del Golfo dei Poeti e che vale proprio la pena di essere visitato. E' il classico borgo ligure, con nobili palazzi e un numero infinito di terrazze che dominano il panorama sul Mar Ligure e su vigneti di particolare bellezza.
“Benvenuto Vermentino” - così si chiama la manifestazione – è l'occasione giusta per conoscere questo lembo di Liguria. Quest'anno si terrà il fine settimana del 23-25 maggio, e in quei giorni si apriranno palazzi e cortili privati all'interno dei quali i produttori faranno degustare i propri vini e parleranno con gli appassionati. Il giovane sindaco di Castelnuovo Magra Daniele Montebello ha anche annunciato per quella data la riapertura della Torre della Querciola, eretta insieme al castello agli inizi del XIII secolo per volere del vescovo di Luni. La torre sarà visitabile a gruppi di 15 persone e vi assicuro che la salita fino alla terrazza regala notevoli emozioni.

Le aziende che partecipano a “Benvenuto Vermentino” sono oltre 40, delle quali 22 appartengono alla Doc Colli di Luni, mentre le altre provengono da Sardegna, Toscana (soprattutto dalla zona di Bolgheri), Liguria e Corsica. E' dunque l'occasione ideale per una full immersion in tutte le sfumature del Vermentino, che personalmente mi paiono assai più stimolanti di tutte quelle sfumature di grigio che da due anni cercano di venderci in libreria e al cinema. Vale poi la pena andare a visitare alcune delle aziende locali. Per esempio quella di Ottaviano Lambruschi (www.ottavianolambruschi.com), nata negli anni Settanta dalla felice intuizione di un cavatore di pietra di Carrara. Ottaviano acquistò due ettari di terreno nel comune di Castelnuovo Magra. All'inizio piantò vari vitigni, ma ben presto di rese conto che quello che meglio si esprimeva era proprio il Vermentino. Oggi il Vermentino di Ottaviano e del figlio Fabio risulta il più premiato dalle guide, e le due etichette Costa Marina e Il Maggiore, che nascono dai due vigneti più alti e vocati dell'azienda, rappresentano tra le massime espressioni del vitigno. C'è poi la Cantina Lunae della famiglia Bosoni, che ha creato ai piedi di Castelnuovo Magra un luogo di accoglienza e degustazione di altissimo livello, con tanto di piccolo museo della civiltà contadina (www.cantinelunae.it). Al suo interno c'è anche un piccolo laboratorio artigianale di liquori fatti rigorosamente a mano per infusione tra i quali imperdibile è il limoncino prodotto con limoni naturali della costa che da Castelnuovo Magra va fino alla Cinque Terre. Ma tante sono le aziende che vale la pena di conoscere: tra i vini degustati, mi è molto piaciuto l'Oro d'Isèe dell'azienda La Baia del Sole – Federici, come pure il Vermentino del Podere Lavandaro. “Benvenuto Vermentino” è utile anche a capire i propri gusti, e a sperimentare se si preferisce il Vermentino floreale e fruttato tipico della Doc Colli di Luni oppure quello più minerale e sapido della Corsica. Ma si può anche decidere, a ragione, che ogni interpretazione del Vermentino vale la pena di essere compresa e abbinata al piatto giusto, a partire da quelli tipici della cucina ligure. E per la cucina ligure a Castelnuovo Magra c'è un indirizzo importante: la Trattoria Armanda (www.trattoriaarmanda.com) che si trova proprio all'interno del borgo. Le frittelle di baccalà sono uno dei piatti più rinomati del locale, e a queste l'abbinamento con il Vermentino è praticamente obbligatorio.

Per dormire invece c'è un nuovo indirizzo, aperto da meno di un anno e ambientato in un palazzo del Settecento: la Dimora Garibaldi (www.dimoragaribaldi.it). Si tratta di una bellissima casa di famiglia dalla quale sono state ricavate sei camere. I proprietari hanno deciso di non sacrificare i salotti (come quello del pianoforte e la sala da gioco) che restano a disposizione degli ospiti e all'interno dei quali fanno bella mostra di sé i mobili d'epoca. Un luogo intimo che non ha perso niente della dimora privata, con un'ospitalità aggraziata e un punta di piedi. Quella che piace a me.





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