Patrizia Cantini Wine & Food Communication
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L'anima del Prosecco.

4/16/2012

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Per comprendere un prodotto bisogna carpirne l’anima, e quella del Prosecco se ne sta tutta in quel suo territorio che fino a circa 3 decenni fa era ben lontano dall’attuale contesto economico e sociale. La fortuna del Prosecco è iniziata negli anni Ottanta, ma fino ad allora questa era rimasta una terra marginale, ben lontana dai fasti di altri angoli del Veneto, dal mare alle Dolomiti. “Qui non c’erano né le montagne di Cortina né il mare Adriatico, e tanto meno le bellezze di Venezia. Qui non ci veniva nessuno, se non per sbaglio”: in questa maniera gli abitanti ricordano quello che accadeva nel territorio trevigiano fino a tutti gli anni Settanta. Qualche sparuto nord europeo ogni tanto ci si fermava per una notte lungo il proprio itinerario che lo avrebbe portato più a sud in Italia, ma non c’era possibilità di immaginare un turismo organizzato né tanto meno un enoturismo a giro per cantine e in cerca di Prosecco. La collina di Cartizze, oggi stimata in circa 2 milioni di euro a ettaro, era talmente ripida che nessuno voleva coltivarla. Riceverla in eredità era considerata una sorta di disgrazia, e non a caso chi possedeva piccoli o piccolissimi appezzamenti di terra sulla collina di Cartizze li lasciava in eredità alle figlie femmine, oppure al figlio più “semplice”, quello meno brillante e meno promettente. A pensarci adesso sembra incredibile ma era così.
Poi nel giro di 30 anni è tutto cambiato. Le persone che abitano questo territorio hanno smesso di andare all’estero a cercare lavoro e oggi godono di una ricchezza che proviene in parte preponderante dal vino. Qui le persone ormai non aspirano più a comprare un appartamento con doppi servizi e ampia terrazza, perché l’aspettativa di queste persone è la “casa”, singola e rigorosamente circondata da giardino.
Ma gli anni duri hanno lasciato a queste persone una gran voglia di raccontarsi, e un sorriso aperto per farlo. C’è chi si è inventato l’Osteria senza l’oste, proprio sulla collina del Cartizze, dove le persone trovano la porta aperta, un listino prezzi, tante buone cose da mangiare sui tavoli che si affacciano sulle vigne e una semplice cassettina dove mettere il denaro. E c’è chi ha chiamato il proprio Prosecco “. G”, (da leggersi “punto g”) ad ammiccare al fatto che si tratta di un vino prodotto da due donne. Insomma, qui c’è ancora voglia di essere creativi, di essere allegri e ironici pur lavorando sodo e non tirandosi mai indietro.
Lo stesso vale per l’ospitalità: qui si mangia bene e si trovano alberghi estremamente ospitali a prezzi ben diversi da quelli offerti, per esempio, dalla mia amata e tanto cara Toscana. E poi magari trovi anche la sorpresa che il wi-fi à gratuito come pure le consumazioni del frigo bar.
Insomma, questo vino spumeggiante che furoreggia in tutto il mondo all’ora dell’aperitivo, che in molti ristoranti di alto livello viene scelto per aprire il pasto in compagnia dell’immancabile amuse bouche, che dà allegria e che ha saputo parlare al mondo dei giovani anche grazie a prezzi non elevati è nato da tempi duri, da un lembo di terra rimasto a lungo marginale e da gente che pur essendo spesso costretta a emigrare per trovare lavoro non ha venduto la terra. Quella stessa terra che oggi vale una fortuna, visto che dà origine a bollicine ricercate in tutto il mondo.
C’è da augurarsi che queste persone che ci hanno regalato un Prosecco così buono e così facile a bersi senza prima doversi leggere il manuale delle istruzioni non si lascino prendere la mano dal buon andamento del mercato e continuino a lavorare con questa tenacia e con quel sorriso che mi ha assolutamente conquistata durante in mio viaggio tra Valboddiadene, Vittorio Veneto e Conegliano.


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