“In questo momento sono come uno che sogna e che vede delle cose che teme gli sfuggano”. Così scriveva il pittore Eugène Delacroix sbarcando a Tangeri. Oggi nella maggior parte dei casi si arriva a Tangeri con l’aereo, ma deve essere bellissimo giungervi via traghetto dalla costa spagnola, godendosi l’avvicinamento di quella Medina bianca che si inerpica sulla collina fino a culminare nella Kasbah.
E’ un viaggio letterario, quello che porta a Tangeri, perché tutti noi la ricordiamo come la città del “Tè nel deserto” di Paul Bowles. Ma Tangeri non è solo questo, perché è anche la mitica città delle Colonne d’Ercole e la vera Porta d’Africa che si affaccia sullo Stretto di Gibilterra. Tanto vicina all’Europa nel suo Lungomare – la Corniche - e tanto lontana nella Medina, del Grand Socco e nel Petit Socco, i due principali mercati cittadini.
Ma cosa temeva di perdere Delacroix? Forse la luce, quella splendida luce che avvolge Tangeri e che la penetra anche nei vicoli più stretti della Medina e del Petit Socco.
E’ un viaggio letterario, quello che porta a Tangeri, perché tutti noi la ricordiamo come la città del “Tè nel deserto” di Paul Bowles. Ma Tangeri non è solo questo, perché è anche la mitica città delle Colonne d’Ercole e la vera Porta d’Africa che si affaccia sullo Stretto di Gibilterra. Tanto vicina all’Europa nel suo Lungomare – la Corniche - e tanto lontana nella Medina, del Grand Socco e nel Petit Socco, i due principali mercati cittadini.
Ma cosa temeva di perdere Delacroix? Forse la luce, quella splendida luce che avvolge Tangeri e che la penetra anche nei vicoli più stretti della Medina e del Petit Socco.
Sono stata a Tangeri in ottobre, un momento magnifico per visitarla e per cercare di immaginare come doveva essere negli anni Cinquanta quando era mèta di pellegrinaggio per gli scrittori americani, o negli anni Sessanta quando era battuta da attori, cantanti e dal jet set internazionale. Era l’epoca in cui il tè alla menta al Cafè Hafa di Tangeri era un’istituzione, perché questa città - tornata al Marocco solo nel 1956 dopo decenni di regime internazionale – esercitava un fascino irresistibile, legato a storie di spie, intrighi internazionali e affari loschi.
A me a Tangeri invece hanno portato le Colonne d’Ercole e lo Stretto di Gibilterra. Volevo provare il brivido di sentirmi vicina a quel lontano e immaginario confine messo dall’uomo che ancora non aveva esplorato l’Atlantico, e allo stesso tempo volevo godermi il celebre tè alla menta del Cafè Hafa ammirando lo Stretto di Gibilterra e la costa spagnola. La grande sorpresa, che non aspettavo, è stato invece il tramonto presso la necropoli fenicia di Hafa, goduto insieme a tanti tangerini che vengono ad ammirare il sole morente con gli occhi persi nell’oro del mare, con l’Europa lì di fronte. Un’atmosfera da puro incanto; un momento senza tempo e un ricordo indelebile.
A me a Tangeri invece hanno portato le Colonne d’Ercole e lo Stretto di Gibilterra. Volevo provare il brivido di sentirmi vicina a quel lontano e immaginario confine messo dall’uomo che ancora non aveva esplorato l’Atlantico, e allo stesso tempo volevo godermi il celebre tè alla menta del Cafè Hafa ammirando lo Stretto di Gibilterra e la costa spagnola. La grande sorpresa, che non aspettavo, è stato invece il tramonto presso la necropoli fenicia di Hafa, goduto insieme a tanti tangerini che vengono ad ammirare il sole morente con gli occhi persi nell’oro del mare, con l’Europa lì di fronte. Un’atmosfera da puro incanto; un momento senza tempo e un ricordo indelebile.
La città offre molto da vedere, a partire dalla Kasbah che domina la città e al cui centro si trova il Museo delle Culture Mediterranee ambientato nel palazzo Dar-Al-Makhzen, residenza del sultano durante la dominazione araba e poi passato ai governatori portoghesi e britannici. Reperti archeologici di varie epoche – tra i quali alcuni splendidi bronzi romani – sono ambientati nel bellissimo palazzo con al centro un giardino in stile marocchino-andaluso.
I vicoli della Medina, con i suoi mercanti, i suoi artisti e le sue moschee sono uno dei luoghi più caratteristici della città, e nel dedalo di viuzze si nasconde la tomba di Ibn Batouta, noto come il Marco Polo africano nato a Tangeri nel 1304 e autore di importanti resoconti di viaggi, dalla Russia, dall’India e dalla Cina.
Nel Grand Socco ci sono due luoghi da non perdere. Il primo è l’associazione femminile Darna, che si occupa di donne e di bambini in difficoltà e che ha un ristorante dove gustare tajine, cous cous e altri piatti della tradizione marocchina. L’altro luogo è il fondaco dei tessitori, dove vengono realizzati con telai manuali dei bellissimi teli di cotone che possono essere utilizzati sia in bagno che in spiaggia. Il fondaco dei tessitori non fa parte del normale circuito turistico di Tangeri, e io ci sono arrivata solo grazie al suggerimento della proprietaria della libreria Les Insolites alla quale avevo chiesto consigli su luoghi poco conosciuti ma meritevoli di una visita. E’ stato un consiglio prezioso.
Il Petit Socco è forse più bello del Grand Socco, e non a caso in passato rappresentava il vero cuore dei commerci e degli affari cittadini, tanto che nel 1907 vi venne aperta la prima sede della banca di stato. Oggi il bel palazzo con legni decorati sede della Banca del Marocco è diventato l’hotel Palais Zahia, con un ristorante di cucina marocchina tradizionale. Non vi servono alcolici e i piatti sono a base di prodotti locali, spesso da agricoltura biologica. Un’ottima cucina marocchina moderna viene invece offerta da El Morocco Club, che si trova nella piazzetta subito dopo la porta di ingresso alla Kasbah. Ho molto apprezzato la particolare versione di cous cous con orzo perlato e l’insalata di gamberi rossi con mango, pompelmo rosa e vinaigrette d’arancio. Ma a Tangeri è anche molto viva la cucina spagnola, e il ristorante sulla Corniche El Tangerino ne è uno dei migliori interpreti. Ambiente moderno, personale giovane e atmosfera internazionale fanno da cornice ai piatti a base di pesce tipici del sud della Spagna.
Visto che una delle ragioni che mi avevano portata a Tangeri erano le Colonne d’Ercole, ho preso un taxi e sono andata a visitare Cap Spartel, dove il Mar Mediterraneo si incrocia con l’Oceano Atlantico e all’ombra del suo bel faro ho cercato di immedesimarmi nello spirito degli antichi che ritenevano che quello fosse il luogo più prossimo al confine del mondo. Non lontano si trovano le Grotte d’Ercole, scoperte nel 1906. Si tratta della cavità ipogea più grande d’Africa, che si sviluppa per circa 30 chilometri e che in passato era in parte utilizzata dai berberi come cava. Nella sala centrale un’apertura naturale permette la visione del mare. Viene chiamata “la mappa d’Africa” perché questa fenditura nella roccia ha una forma che ricorda quella del continente africano. Le sfumature dell’oceano sono spettacolari e da lì – e solo da lì – ho finalmente visto le mitiche colonne.